Tappa 06: Cervara - Montelungo
Località toccate
Cervara – La Mura – Lama di Ciatén – Torrente Darnia – la Mistà – Tartaglia – Fosso del Mescolone – Torrente Verde – Borgallo – Montesano – Torrente Verdesina – Campo Molino – Fosso del Dardagneto – Grondola – Le Fontanelle – Madonna di Montemese – Campo Vecchio – Fosso della Bora – Fosso di Sermara Maggiore – Canale delle Pagine – Villa Vecchia – Colla di Succisa – Fosso della Costa del Pozzo – Case Tobia – Ca’ di Pinotti – Pollina – Fosso della Beguzza – Pianello – Fosso dei Noccioli – Torrente Magriola – Fosso del Colaro – Fosso del Provetto – Montelungo superiore.
La tappa
Tratta interamente sviluppata a nord di Pontremoli, con passaggi attraverso boschi, stradine per nulla trafficate e paesini di campagna silenti che annoverano cenni storici di una certa rilevanza. Il territorio calcato è quello di Succisa, nome collettivo di agglomerati che sorgono tra i 400 e i 600 metri di quota alle pendici meridionali del Monte Molinatico; ma la tappa comporta pure una porzione del pontremolese, qui generoso nell’offrire all’escursionista lampi affascinanti tra le vallate del Verde, del Verdesina e del Magriola.
Lasciato il paese di Cervara (m. 725), (foto 1) si ritorna sulla stradina che sale al cimitero, panoramica verso la vallata del Verde che qui dispone a tasselli lungo una costa le microfrazioni di Monti, Strada, San Lorenzo, Navola, Pian di Valle, Veserada, Serra e Baselica. In curva, all’altezza del cimitero vecchio, ci s’immette sullo sterrato percorso nella tappa precedente, ma dopo neppure una decina di metri, ci si diparte a sinistra su una traccia poco evidente e ripida, solitamente ricoperta da fogliame secco, che penetra all’interno di un fitto castagneto. (foto 2)
Dopo aver piegato a sinistra, si perde vistosamente quota in località La Mura compiendo serpentine irregolari piuttosto scomode, ma che non destano alcuna preoccupazione. Lungo la discesa s’incontrano esemplari secolari di castagno, ma anche residui di muretti a secco, ruderi di antiche capanne e rare tracce di un selciato oramai inghiottito dal terreno. Con un ultimo tratto assai ripido, si cala definitivamente sulla carrozzabile della Lama di Ciatén, una recente stretta stradina asfaltata che collega Cervara a Pra’ del Prete.
La si segue verso destra, andando velocemente a scavalcare il corso del Torrente Darnia, (foto 3) ove nei pressi, sottostrada, sono dislocate un buon numero di capanne facenti parte di un complesso di mulini, tipiche testimonianze di una cultura rurale un tempo assai diffusa.
Siamo sul tracciato de “la Mistà”, circondati da castagni che in parte s’arrampicano su coste in cui affiorano elementi rocciosi ammantati da muschi. Nonostante ci si trovi su una strada, veicoli non se ne vedono, intanto, per quanto concerne la visuale panoramica, alle frazioncine prima citate ora s’aggiunge pure quella di Guinadi. Continuando sulla comoda stradina, (foto 4) ci si allunga finché a un certo punto, dove la costa si fa decisamente meno ripida, occorre deviare a sinistra su un sentiero che, tornando a muoversi fra i castagni, (foto 5) riprende a perdere quota nella località boschiva di Tartaglia.
All’altezza del sempre asciutto Fosso del Mescolone, si piega a sinistra e arrangiandosi un po’, a svolte, per una quindicina di minuti circa, si precipita fino a ritrovare molto più in basso il fosso prima citato, questa volta da attraversare per arrivare definitivamente su un appezzamento verdeggiante alle porte del ponte stradale alto sul Torrente Verde. (foto 6)
Questo torrente, la cui origine è da ricercare nei pressi del Passo dei Due Santi, ha un percorso assai lungo e del tutto particolare: dalle molteplici località boschive, come l’ingresso tra la Macchia di Baselica e quella di Cervara, nonché la Tecchia del Codi, esso mantiene una decisa rotta in direzione nordest. Poi, una volta sceso ai piedi delle borgate di Serra, Monti e Strada, si accinge ad eseguire una piega addirittura a sud (come a disegnare una sorta di ferro di cavallo) e alimentato da numerosissimi canali secondari si appresta a tuffarsi proprio in quel di Pontremoli sul Magra, costituendone così uno dei suoi maggiori affluenti di destra. Pare che l’idronimo derivi dal volgare dialettale vergêma, etimo ricavato dall’instabilità del terreno dovuta alla plasticità delle argille inumidite e all’irrequietezza delle faglie resa particolarmente attiva al verificarsi di scosse telluriche, come nel terremoto del 1834. Il Torrente Verde ospita la trota fario, la trota iridea e il gambero di fiume.
Attraversato il ponte, si raggiungono immediatamente le case di Borgallo (m. 422), (foto 7, foto 8) sistemate appena al disopra della linea ferroviaria Parma-La Spezia, la cui stazione di Grondola-Guinadi da qualche anno è stata dismessa dal servizio viaggiatori perché utilizzata soltanto come punto di manovra.
Questa località, nata alla fine del 1800 in occasione della costruzione della ferrovia, è perlopiù ricordata per il tragico scoppio provocato da una fuga di gas verificatosi il 7 aprile 1893, proprio nel corso dei lavori per la ferrovia, causando la morte di ben tredici persone.
Fino al 2018 il Trekking Lunigiana imboccava la stradina che taglia in due il caseggiato, per poi rimontare verso la parte esposta più a nord del borgo. Oggi si resta in strada, si evita a destra la carrozzabile che conduce all’imbocco della Galleria del Borgallo e si confina un’area rurale recintata con all’interno animali da cortile (foto 9) oltre la quale ci attende in curva un cippo eretto alla memoria di Giovanni Marioni e Gianni Lusardi, uomini che in passato si sono assai prodigati per la prosperità della Valle del Verde.
In salita, dopo pochi minuti, si perviene al bivio di Montesano con la strada che a sinistra conduce a Guinadi e a tutto il versante settentrionale della Valle del Verde. Procedendo dalla parte opposta, in discesa, ci si appresta ad affrontare con pazienza e monotonia gli oltre due chilometri di asfalto che ci separano da questo punto al paese di Grondola.
Velocemente ci si porta in discesa verso la gola del Torrente Verdesina, originato dagli impluvi dei monti Zuccone, Borraccia e Ferdana, dove in località Campo Molino (m. 443), (foto 10) si trovano due stabili ristrutturati (ex mulini) e un faggio di gigantesche proporzioni (occorrono almeno tre persone per abbracciarlo), nonché di rara bellezza. (foto 11)
Continuando lungo la strada scarsamente trafficata, si supera un affluente del Verdesina, quindi, oltre una curva, si rampa faticosamente restando circondati da rovi e castagni. La monotona e lunga salita a un certo punto si fa più decisa e, all’altezza del cancello che chiude il passaggio per Campolungo, piega ad est, portandosi verso il poco visibile Fosso del Dardagneto.
Evitata a destra una stradina che conduce sul versante occidentale del paese di Grondola (variante interessante), si confluisce una volta per tutte, all’altezza della cosiddetta “Curva della Pace”, inaugurata in occasione dell’ottantaduesimo Giro d’Italia (1999), sulla Provinciale 39 che collega Pontremoli a Borgotaro, via Passo del Brattello.
Siamo a Grondola (m. 631), (foto 12) centro geografico del prelibato fungo di Borgotaro, il più famoso porcino al mondo, e sede di un castello (oggi ridotto alle spoglie di un rudere) risalente al XIII secolo.
Curiosamente disposto in estensione, a lato della strada, sul crinale di un ripiano erboso affacciato verso ovest sulla Valle del Verde, fu territorio dei Malaspina fin dai tempi di Obizzo il Grande. Il borgo probabilmente è contemporaneo al dirimpettaio castello, di cui restano i pochissimi avanzi della torre e porzioni della cortina muraria. L’importanza di questo luogo, legata alla viabilità per il Brattello, andò scemando una volta in funzione la più praticabile strada di Monte Bardone. Colla, Casale, Costa e Chiesa sono i toponimi di cui è formato Grondola, borgo conservatosi fino alla metà del ‘900, quando le trasformazioni edilizie ne compromisero l’integrità. L’abitato si sviluppa lungo una doppia via che si dirama da Piazza della Repubblica, la prima in Italia a foggiarsi di questo nome dopo il famoso referendum del 2 giugno del 1946. Tracce delle strutture più antiche si conservano in alcune parti murarie ancora visibili e negli architravi di pietra lavorata (foto 13) che mostrano i simboli dell’epoca. Camminando lungo il selciato che si dirama a sinistra, (foto 14) si notano un secondo architrave posto nei pressi di un circolo, un portale della prima metà del XIX secolo, la chiesa (XIII secolo) ristrutturata nel XVIII secolo dedicata a San Nicomede (fatto rarissimo) e l’interessante distaccato campanile del 1908 bucato da una monofora a forma di petali.
La chiesa, (foto 15) di modeste dimensioni, ha copertura a capanna e facciata semplice, tripartita da quattro lesene. Sopra al portale in pietra poggia una lunetta affrescata dominata da una bifora divisa da un’esile colonnina. L’interno, ad aula unica, è voltato e affrescato; sulla parete fondale un’edicola ospita l’immagine di San Nicomede.
Le settanta anime che popolano il borgo hanno quale punto di ritrovo un circolo. Nei dintorni è inoltre presente l’Agriturismo Musetti Angela, con camere in stile rustico e appartamenti ubicati in case coloniche ristrutturate (Cascina di Baruccia e Casa del Sarto).
La segnaletica ci invita ad attraversare la strada per imboccare uno stradino aperto fra una cappelletta dedicata alla Madonna e un monumento eretto in memoria ai Caduti di guerra.
Dopo una trentina di metri circa però (in pratica prima d’arrivare al camposanto), ci si stacca sulla destra con una larga traccia a fondo naturale che passa fra case, orticelli e baraccamenti. Dove s’incontrano una fonte e una macchia di pini mista a castagni, si lascia la sterrata per seguire a destra un sentiero che, al di là di una casa, confluisce su una stradina asfaltata fra aree recintate con animali d’allevamento. La si segue in salita per meno di una decina di metri, allorché, mantenendosi all’estrema destra, prima del civico 34b, si ricerca l’imbocco di un sentiero poco evidente che più avanti s’insinua fra le canne. Pochi secondi e si esce fra i castagni, (foto 16) ove si cammina sull’unica traccia evidente che in piano taglia la costa di una modesta altura ricoperta di faggi, querce, castagni e rare conifere. Superato un rivolo, si continua fra pianelle con capanne, sbucando su una pista di esbosco da seguire verso destra. Sempre all’interno del castagneto, (foto 17) dove non è esclusa la possibilità d’incontrare caprioli e cinghiali, si guada un altro rio da cui, in breve, si sale a guadagnare la sterrata che muore all’isolata casa de “Le Fontanelle” (m. 693). (foto 18)
Seguendo in leggerissima discesa questa sterrata, improvvisamente ci si spalanca al disotto d’una radura su cui poggia, splendidamente affacciato verso il Monte Orsaro, l’oratorio della Madonna di Montemese (m. 677), (foto 19) dove ogni ultima domenica di luglio viene celebrata una processione.
Conosciuto pure come oratorio della Santissima Annunziata (nel 1768 era citato come oratorio della Beata Vergine Maria di Monte Masio), è una chiesa sussidiaria le cui prime menzioni risalgono all’anno 1470. Più volte restaurato, l’edificio mostra una facciata in stile classico, simmetrica, tripartita da quattro lesene in laterizio che contrastano con il colore bianco.
Una breve scalinata accede al portale sormontato da una lunetta in laterizio, mentre ai lati sfilano due esili finestrini ad arco. Al di sopra del cornicione segnato da archetti ciechi, si apre il timpano che ospita al centro un semplice rosone circolare. L’interno, ad aula unica, è segnato da un capitello che corre lungo le pareti laterali a sorreggere direttamente la volta a botte ribassata. Presbiterio e volta sono riccamente affrescati, il primo con tecniche a drappeggio, il secondo con motivi pittorici di vario genere. La parete fondale ospita l’altare marmoreo con edicola recante Maria, un angelo e lo Spirito Santo in forma di colomba.
Nella toponomastica la dedicazione spesso viene compromessa dalla variazione di una vocale: Montamese.
Superato un crocicchio (le vie a sinistra risalgono la valletta della Bora), si continua lungo la comoda pista che, piegando a sud, torna nel castagneto per uscirne proprio dove si aprono splendide distese pascolive (foto 20) in parte chiuse da recinzioni. Confluiti sulla strada asfaltata diretta a Villa Vecchia (fino a pochi anni fa questa era una sterrata), si va a sinistra e la si segue in un ambiente misto disturbato dal frastuono provocato dalla seppur lontana autostrada della Cisa; appagano in compenso le visuali che comprendono buona parte dell’Appennino toscoemiliano nonché le Alpi Apuane.
Alle pendici meridionali del Mondado, si attraversa per intero la località boschiva di Campo Vecchio, ove s’incontra una capanna con area pascoliva (m. 627), poi, con decisa piega a nord, ci si porta sul margine dell’ampia ansa impluviale originata dal versante sud orientale del Monte Ballo del Lupo. Si tratta a questo punto di compiere una vera e propria semi circonvallazione (almeno trenta minuti di cammino), durante la quale si superano diversi guadi (Fosso della Bora fra questi), ma, nonostante ci si trovi su una strada, “non si vede un’anima in giro”. (foto 20b)
Lasciato dopo un bel po’ a sinistra il bivio per le capanne di Borica, si guada il Fosso di Sermara Maggiore, dove, volendo, è possibile uscire sulla destra per seguire una buona traccia nel bosco che conduce all’antico ponte Madonna delle Grazie, al guado del Canale delle Pagine. (foto 21) Questa breve bretella costituisce tra l’altro l’unico segmento sopravvissuto della vecchia mulattiera purtroppo irrimediabilmente scomparsa a causa d’un grave movimento franoso avvenuto decenni addietro.
Per chi è rimasto su strada bastano una decina di minuti prima di far ingresso in quel di Succisa, sùbito accolti da una cappelletta con bassorilievo del 1815 dedicato alla Madonna. Le prime case indipendenti, circondate da appezzamenti prativi e qualche coltivo, sono il preludio all’ingresso del borgo di Villa Vecchia (m. 623), (foto 22) oramai sul versante del Magriola.
Adagiato sulla costa di un pendio che digrada dal Monte Borella, il borgo è curiosamente tagliato in due dalla Provinciale 38 che, paradossalmente, è possibile percorrerla soltanto con mezzi di trasporto di piccole dimensioni. In sostanza, se abiti nel versante occidentale di Villa Vecchia e hai una berlina, dall’altra parte non ci vai e viceversa ovviamente. L’origine del toponimo risale al fatto che il borgo probabilmente fu il primo nucleo degli agglomerati che formano Succisa. Ad oggi in paese vivono una cinquantina di persone, una delle quali vanta il record di aver raccolto dal proprio orto una patata dal peso di 820 grammi.
Si cammina lungo la graziosa via selciata interna, scendendo poi a destra per andare a confluire sulla rotabile proveniente da est. Restando sull’asfalto, oppure attraversandolo per imboccare sùbito di fronte una via erbosa che taglia la parte bassa del paese e che nei pressi di una fonte prosegue a diritto in via Ca’ dei Preti, dove si nota un bel portale, si finisce in ogni modo sulla carrozzabile (Strada Vicinale delle Tre Giare) che a sinistra sale verso il Pian della Faggiola. In discesa, si oltrepassano un impianto dell’Italgas e altre belle case indipendenti, poi, ad un bivio si va a diritto e senza possibilità d’errore ci si porta verso lo sgradevole sottopasso autostradale collocato incredibilmente ad un nulla dalle case della Colla di Succisa (m. 584). (foto 23)
Oltre all’imponente campanile, alto venticinque metri circa, costruito nella seconda metà del XIX secolo (l’orologio è stato aggiunto nel 1936), sono interessanti la chiesa dedicata alle S.S. Felicita e Perpetua (foto 24) e la cappella di Santa Zita. Le origini di una chiesa a Succisa risalgono addirittura al IX secolo, ma il primo documento ufficiale si rifà a un atto matrimoniale del 1565. A dirla tutta però fino al 1813 la chiesa era ubicata in quel di Villa Vecchia, ma con l’integrazione di Pollina fu spostata in posizione più centrale, alla Colla (infatti, un documento la dà esistente o in costruzione dal 1814).
All’interno sono interessanti gli affreschi del pittore fivizzanese Luigi Battistini e il battistero a sinistra dell’entrata principale, opera di Alberto Sparapani. Poco più avanti della chiesa si trova la Cappella di Santa Zita, (foto 25) edificata sul sito in cui anni addietro i succisani vi avevano eretto una piccola cappella. Ridotta ad un semplice basamento, nel 1883, grazie a fondi raccolti in paese, fu sostituita da quella attuale che negli anni ’30 subì rifacimenti e migliorìe.
Curiosa la storia legata alla campana posta sopra la facciata dell’oratorio, alla quale è attribuita la prerogativa d’allontanare dalle campagne circostanti fulmini e grandine se suonata in tempo. Essa apparteneva all’Oratorio di San Giuseppe alla Pollina (Ca’ d’Nibalu), ma alla chiusura dello stesso (1870), fu venduta a dei paesani che a loro volta la donarono all’Oratorio di Santa Zita. Il culto di Santa Zita a Succisa nasce dal fatto che, secondo diverse testimonianze, la Colla sarebbe il luogo natio di tutta la famiglia, successivamente emigrata nella lucchesia.
Alla Colla ad oggi risultano meno di venti residenti.
Dalla piazza monumentale dedicata ai Caduti di guerra, affacciati verso il Monte Orsaro, si segue la rotabile arrivando velocemente nei pressi del cimitero locale, dove si trascura a destra la strada che sale da Mignegno (a un chilometro circa, in località Poderi, è presente il B&B Casa Florida). Con rotta a nord, ci si porta verso una casa isolata (ex alimentari Francesca e Ristorante Pizzeria Il Testo) e successivamente, per bosco, al guado di diversi affluenti di destra del Magriola, tra i quali il Fosso della Costa del Pozzo.
Una volta giunti al bivio di Case Tobia (m. 588), (foto 26) si devia a sinistra per uno stradino che sale fra case, orticelli e appezzamenti prativi con pecore e agnelli.
Continuando sull’asfalto che taglia il caseggiato, si raggiunge nuovamente la strada principale da seguire in salita per una decina di metri, quando a sinistra ci si diparte su un viottolo che rampa sull’apertura di una cinta a secco. Dopo aver passato un vigneto, si attraversa il contesto rurale di Ca’ di Pinotti, (foto 27) già in località Pollina (circa 70 abitanti), il caseggiato esposto più a nord dell’area di Succisa. (foto 28)
Dietro le case si ricerca la mulattiera stretta fra un muro a secco e una recinzione che conduce a un secondo complesso abitativo caratterizzato da una maestà, un po’ pacchiana, tinta di rosa. Incontrata una stradina, la si segue verso destra calando velocemente fino a notare sulla sinistra un magro pontetto di legno che scavalca il Fosso della Beguzza.
Il caseggiato di Pollina è costituito perlopiù da abitazioni nuove e particolarmente facoltose, ma l’esistenza del luogo non è proprio recente, infatti, precedenti insediamenti sono stati vittime di smottamenti e frane che ogni volta ne hanno compromesso la stabilità di ubicazione. Chissà poi se il toponimo deriva per davvero dal concime organico prodotto dagli escrementi dei volatili domestici; per adesso vale molto di più il legame con le polle d’acqua presenti sul territorio. Di certo resta soltanto il fatto che la località è particolarmente rinomata per i funghi e la buona cucina la cui principale testimonianza purtroppo è andata perduta nel novembre 2023 con la definitiva chiusura della storica Trattoria Ferrari. Per tantissimi anni è stata a Pollina l’icona del fungo, del raviolo, del tagliolino all’ortica, dell’agnello, del cinghiale e dell’amaro di Succisa. Impossibile rinunciare al canonico appuntamento estivo con la fiera-mercato del porcino, evento organizzato dalla stessa trattoria, dove venivano messi in mostra esemplari raccolti nella Riserva gestita dalla Cooperativa Giogallo. Una delle poche realtà nascoste della media Lunigiana che hanno resistito finché han potuto, o meglio, finché gliel’hanno permesso.
Sforzandoci nell’evitare ogni polemica al vento, possiamo dire che dopo oltre sessant’anni di attività oggi nonna Lina, Donatella, Valentina e la loro mamma Milla non sono più ai fornelli, ma il loro ricordo resterà indelebile.
Oltre il pontetto e dopo aver aggirato coltivi nei pressi di alcune abitazioni, (foto 29) ci si sposta a sinistra, alla ricerca di una sterrata da seguire verso destra. Con questa ci si affianca all’autostrada e alla prima biforcazione ci si tiene a destra per salire con un po’ di fatica fino ad incontrare la stretta rotabile che dal Circolo Endas Ferrari sale al vicino campo di calcio di Succisa. La si segue in salita, ma alla prima curva si devia a destra su una carrareccia che, scavalcato un rio, sale decisa tra noccioli e castagni. Siamo sulla cosiddetta strada del Madro, dove si trascurano almeno un paio di diramazioni a destra prima di proseguire ancor più ripidamente nel bosco (foto 30) esposto sull’alta Valle del Magriola, alle pendici sudorientali del Piano di San Giorgio. Fra quest’ultimo e la Bora del Molosso, si oltrepassa la località boschiva Fontanelle e si compiono alcune svolte, fino ad adagiarsi mirabilmente alla sommità del Pianello (m. 777), dove si trascura la diramazione a sinistra della Strada Vicinale delle Tre Giare che, attraverso le vallette Lavacchine e Figarolo, torna alla Colla. Qui è inoltre presente una splendida baita in sasso, circondata da invitanti radure, racchiusa in uno spazio recintato a staccionata. (foto 31)
Sulla solita pista, si scende inizialmente in compagnia d’erica herbacea e ginestre (oltre a faggi e castagni), poi, si pianeggia godendo d’un habitat boschivo a dir poco affascinante, patria ideale per caprioli e ungulati.
Si sta attraversando uno dei boschi più integri e belli della Lunigiana, (foto 32) frequentato, oltre che per le passeggiate a piedi o in mountain bike, per l’abbondante riserva di sottobosco, come già accennato, qui assai rinomato. Il silenzio viene ogni tanto interrotto dai canti della fauna avicola, oppure dai richiami del capriolo, con quel suo strano abbaiare emesso non appena s’accorge della presenza dell’uomo.
Un paio di ruderi inframezzati da un guado preludono al lungo rettilineo al cui termine, dove il tracciato s’impenna e a sinistra si notano antiche pianelle, ci si sposta su una diramazione a destra (a sinistra si salirebbe al Pian della Faggiola), quindi, con un piacevolissimo tratto in falsopiano, nella valletta del Fosso dei Noccioli, s’arriva ad incontrare una capanna demolita. Nel frattempo, ai lati, il pendio s’inasprisce e si fa più scosceso, segno che ci si sta trasferendo nell’alta valle bagnata dal Torrente Magriola, il cui guado (foto 33) (foto 33b) si raggiunge dopo aver compiuto un ultimo taglio sulla costa delle Moline, alle pendici meridionali del Ronco Nudo. Nel caso in cui le acque fossero abbondanti (nei pressi il Magriola riceve le acque del Fosso delle Macchie, del Fosso Grosso, del Fosso delle Mandre, del Fosso Fontanone e del Canale del Vezzano), il passaggio verso l’altra sponda non è del tutto semplice, meglio a questo punto affrontarlo a piedi nudi e coi calzoni rialzati, se non addirittura tolti.
Sulla sinistra idrografica del torrente, si nota l’antico Mulino Di Battista, oggi ristrutturato. (foto 34)
Una volta sull’altro versante, si sale in forma leggera piegando verso sudest, poi, ricevuta una pista d’esbosco da sinistra, si guadano un paio di rii e fra le località Ariola e Le Muline si torna a pianeggiare (foto 34b) scorgendo di tanto in tanto qualche capanna mimetizzata all’interno del bosco. Dopo un lungo rettilineo, s’attraversa un rimboschimento a conifere ad altissimo fusto, dove tra l’altro sono presenti un paio di capanne, quindi, raggiunto un crocicchio, si va a diritto, verso il facile guado del Fosso del Colaro.
Con alcuni saliscendi (fioriture d’elleboro, primule e crochi), si confluisce sulla pista proveniente dalle vicine case di Camponato e con essa, tra noccioli, faggi e castagni, s’arriva pure al guado del Fosso del Provetto, dove per un periodo di tempo ha resistito un’ottima fresca fonte a getto continuo. (foto 35) (foto 35b)
Ancora un breve tratto di pista sterrata e si esce ai piedi di un pendio pascolivo, prossimi a confluire sulla Statale della Cisa, all’altezza di un tornante a nord di Montelungo superiore (m. 833), (foto 36) che si raggiunge seguendo l’asfalto, in discesa, per un paio di minuti.
La storia più che millenaria di Montelungo resta indissolubilmente legata nei secoli alla sua strada e alla sua chiesa, la priora di San Benedetto. (foto 37) La struttura risale molto probabilmente al 1555, ma importanti rifacimenti avvennero a partire dal 1930. La facciata presenta un ordine architettonico realizzato con paraste, trabeazione e timpano in pietra arenaria locale tagliata in blocchetti e bocciardata. Nella parte centrale, sopra al portone d’ingresso in legno, sono presenti una trifora e motivi geometrici decorativi realizzati con marmo bianco e rosa. L’interno presenta un’unica aula con nicchie e altari laterali; il soffitto è realizzato con volta a botte e lunette all’interno delle quali sono state inserite le finestre. Il soffitto dell’aula termina con l’arco trionfale che la separa dalla zona del presbiterio voltata a vela; dietro alla vecchia dossale dell’altare trova spazio il coro ligneo, all’interno nell’abside con catino semicircolare che conclude lo spazio interno. Controverso il riferimento alla prima citazione che gli storici locali rinviano all’unico documento epigrafico altomedievale per questo territorio, la lapide conservata nella chiesa di San Giorgio di Filattiera, che commemora il trapasso del corepiscopo Leodegar, avvenuto nel 752, esaltandone l’intensa opera di catechizzazione e diffusione del cristianesimo. Nel settimo versetto dell’epigrafe si legge “Benedicti almifici fundavit dochium aula”, dove il Benedicti, proposto da Ubaldo Mazzini nella sua ricostruzione delle parti mancanti, viene dedotto in base a vari frammenti di lettere. Nessun dubbio, poi, interviene nello storico per l’identificazione del “dochium” con l’Ospedale di San Benedetto in Monte Bardone sopra Pontremoli, anche in forza delle numerose citazioni che si riferiscono allo xenodochio di Montelungo nei secoli seguenti. Così, l’11 settembre 772 re Adelchi conferma all’abbazia di San Salvatore di Leno la concessione del Monastero di Montelungo; l’8 settembre 851, e ancora nell’861 e 865, appare nei diplomi degli imperatori Lotario e Ludovico II a favore di Gisla, loro figlia e sorella. Tra il 990 e il 994 è inserito tra le mansiones dell’itinerarium di Sigerico insieme a Pontremoli e Aulla. Il 12 maggio 1014 ulteriore menzione nel diploma di Enrico II a favore dell’abbazia di Leno. Ovviamente, nel tempo le citazioni si fanno sempre più frequenti a rimarcare l’importanza del sito nella doppia specificità di riferimento ineliminabile per chi affrontasse la via della Cisa o, valicato il Passo, cercasse un punto d’appoggio prima di scendere a valle. Ricovero per pellegrini, punto di sosta per mercanti e passeggeri, tappa fondamentale su un percorso non privo di rischi, specie nelle stagioni meno favorevoli. Una chiesa, quindi, dapprima inserita su un percorso monastico benedettino che percorreva tutta la Lunigiana sulla sponda destra del Magra, poi priora a servizio di una Villa (i due nuclei di Montelungo si chiamano pure Villa superiore e Villa inferiore) e del suo circondario, nodo centrale di una serie di rettorie, sempre di fondazione benedettina, da Cargalla a Cavezzana d’Antena, da Pracchiola a Casalina, che alla chiesa di San Benedetto guarderanno fino al XIX secolo, per i riti primari della liturgia cristiana, dai battesimi alla consacrazione degli oli santi.
La collocazione privilegiata a ridosso di un passo fondamentale per le comunicazioni tra la Padania e l’Italia centrale non evitarono però a Montelungo di subire pesantemente le conseguenze dell’assetto in un’area estremamente fragile dal punto di vista geologico. Il paese di oggi, infatti, diviso tra le Ville di Montelungo superiore e inferiore, non è quello di cui parlano i documenti medievali. Il paese antico, posto ad oriente rispetto all’attuale, nel luogo anticamente detto “il Lago”, fu travolto attorno al 1555 da una grandissima libia, un imponente smottamento del terreno che lo seppellì interamente senza scampo.
La ricostruzione fu immediata e già nel 1556 si cominciò a riedificare la chiesa di San Benedetto. La vita in paese dovette riprendere rapidamente e nessuno volle abbandonare il luogo, nonostante le inevitabili difficoltà. Anzi, se gli estimi del comune di Pontremoli per gli anni 1508 e 1533 segnalano la presenza di tredici fuochi o nuclei residenti e proprietari, la situazione non muta nell’elenco relativo al 1559, che propone quattordici fuochi, che diventano ventuno nel 1588, toccando un vertice non più raggiunto nei secoli a venire. Le famiglie vollero che la Villa di Montelungo conservasse tutta la sua importanza, come vollero che la chiesa fosse all’altezza dei luoghi sacri di Pontremoli. Chiamarono perciò a decorarla interamente, nella seconda metà del XVIII secolo, Antonio Contestabili, che ornò a quadratura tutte le parti aeree, mentre l’arredo mobile fu affidato ad importanti intagliatori piacentini. Sono presenti, infatti, nella chiesa una bella statua della Vergine col Bambino, ospitata in una cappella ornata a stucco da Pietro Portogalli, mentre nelle pareti della navata sono presenti quattro statue di santi in cartapesta, laccate in bianco.
Oggi Montelungo (il toponimo potrebbe derivare da Mons Longobardorum) è conosciuto anche come stazione termale per la presenza della Fonte della Virtù, una sorgente dalla quale sgorga un’acqua curativa.
Complessivamente, parte superiore e inferiore contano una cinquantina di abitanti.
Ottime le possibilità di vitto e alloggio a Montelungo, infatti, oltre al B&B Ca’ Battista, immerso nella quiete naturale sul versante orientale di Montelungo, struttura dotata di due comode camere e ampi spazi verdeggianti che la circondano, c’è la Locanda del Pellegrino, locale semplice ma fornito di tutto il necessario (offre tra l’altro piatti tradizionali rivisitati rispettando la stagionalità dei prodotti); il Ristorante Appennino, cucina casalinga che annovera torte d’erbi, frittelle di fiori di zucca (piatto delizioso che non tutti propongono), pattona con ricotta, testaroli, tortelli, pappardelle ai funghi, di castagno e al cinghiale, se lo fanno il gran prilà (zuppa a base di grano), agnello di Logarghena nei testi, scaloppine ai funghi, ecc.
- Agriturismo Federico Farm, a Grondola di Pontremoli – 3338841166 oppure 0187 433861
- B&B Casa Florida, a Poderi di Pontremoli – 3394366124
- Ferrari Camilla Circolo Endas, a Pollina di Pontremoli – 0187 874020
- Ristorante Appennino, a Montelungo superiore di Pontremoli – 3392897657 oppure 3273425073
- B&B Ca’ Battista, a Montelungo di Pontremoli – 393278387687
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