Tappa 07: Montelungo - Arzengio

5h:30m
12,5 km
407 mslm
831 mslm
830 mslm
460 mslm
Tempo di percorrenza: 5h:30m
Lunghezza percorso: 12,5 km
Altitudine minima: 407 mslm
Altitudine massima: 831 mslm
Altitudine partenza: 830 mslm
Altitudine arrivo: 460 mslm

Località toccate

Montelungo – Canale della Lonzola – Valfondia – Fosso Noce – Fosso del Cucchero – Canale dell’Acqua Solfurea – Cavezzana d’Antena – Groppoli – Torrente Civasola – Previdè – Groppodalosio – Fiume Magra – Casalina – Fosso della Galesa – Fosso Ortese – Volpara – Fosso Canè – Fosso del Pratello – Fosso della Casarella (o Fosso della Spergiura) – Toplecca di sopra – Fosso della Borghesa – Fosso Saporito – Caselle – Fosso di Carnacaldo – Fosso delle Vetrici – La Crocetta – Saletto – Arzengio.

La tappa

Con questa tappa il Trekking Lunigiana cambia rotta, ossia volge sul versante orografico sinistro della vallata del Magra, per intenderci quello che resta maggiormente a contatto con l’Appennino toscoemiliano. Oltre a nuclei interessanti, gli assi nella manica sono la splendida Valdantena, l’attraversamento del Magra e l’ameno culmine della Via Crucis de "La Crocetta”, a monte di Arzengio. Assolutamente consigliabile la variante del Monte Cucchero (via Passo del Righetto), la cui deviazione s'incontra a sinistra prima di Valfondia e ritrova il Trekking Lunigiana in quel di Cavezzana d'Antena.

Di fronte alla chiesa di Montelungo superiore (m. 831), a lato del Ristorante Appennino, si discende una stradina asfaltata che passa fra campetti erbosi colonizzati da castagni, faggi e carpini. A un vicino bivio, si volta a sinistra e in pochi minuti si perviene appena al disotto del ripiano che ospita un campetto di calcio in erba da tempo caduto in disuso. Tra radure e pascoli, si raggiunge nei pressi di una curva il bivio con a sinistra, incassato fra cinte a secco, una variante (consigliata!) del tracciato alto della Via Francigena che sale verso il Passo del Righetto, raggiunge la splendida sommità del Monte Cucchero per poi calare abbastanza ripidamente a Cavezzana d’Antena.

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Variante del Monte Cucchero

In curva, di fronte a un ampio campo prativo, ci si diparte a sinistra lungo un viottolo chiuso da cinte a secco, (foto a) con il quale si fa ingresso in un bosco perlopiù costituito da noccióli. Con moderata pendenza, si sale fiancheggiando un paio di radure che si scorgono fra gli alberi, ma con molta attenzione, a una prima biforcazione ingannevole, è importante tenersi a destra. Oltrepassato il Canale della Lonzola, nei cui pressi riceve le acque del Fosso del Fusone, si sale in modo più sostenuto compiendo alcune svolte, ora in compagnia pure della quercia. (foto b) Guadagnato un ripiano, lo si attraversa proprio sull’intaglio del Fosso di Pendesena, poi, in un ambiente fresco, alberato a magro e alto fusto, si continua a strappetti, talvolta più intensi, su traccia ben battuta, (foto c) fino a pervenire su una gobba pronunciata curiosamente suddivisa a metà da querce e noccióli. Mantenendo la rotta verso est, si raggiunge la sommità (m. 961), ove si piega a sinistra per uscire immediatamente dal bosco, ora all’aperto su ampia distesa prativa ben panoramica verso il Monte Orsaro. Fiancheggiando a sinistra il pendio prativo, (foto d) in breve si sbuca su un ampio piazzale sterrato poco distante dal Passo del Righetto che rimane qualche metro più sopra, nei cui pressi, a sinistra, corre sinuosa la Strada Statale della Cisa. Trascurata a sinistra la mulattiera che sale appunto al Passo del Righetto, al Tecchio dei Frassi e al Passo della Cisa, ci s’innesta sulla Via Francigena imboccando a destra, nei pressi di una torretta, una sterrata inizialmente sbarrata da un cancello. In leggera salita, costeggiando piante arbustive, si guadagna il crinale (foto e) e si prosegue in falsopiano prima all’aperto e poi all’interno d’un fresco bosco di noccióli, fino ad andare a impattare nel bel mezzo di un deturpante impianto di ripetitori. Qui si scolletta e ondeggiando fra salite e discese, si resta ben panoramici sul versante destro orografico della Lunigiana, ove si osservano Montelungo (foto f), Pollina e Colla di Succisa, mentre sullo sfondo si delinea la tratta appenninica che separa la Val di Magra dalla Val di Vara. Toccata un’ultima gobba (foto g), ci si affaccia sul lungo rettilineo da percorrere fino alla sommità del Monte Cucchero (m. 994), segnalata da un evidente cippo sul cui basamento sono riportati i borghi della Valdantena ben identificati dai rispettivi campanili impressi in rilievo sulla pietra. (foto h) Inaugurato nell’agosto 2017, su un’idea di Mauro Zamarioni, Fabio Bagatta e Fratel Giuseppe Maestri (sua la lettera incisa sulla base del cippo), l’intento fu quello di unire idealmente e simbolicamente tutti i paesi della Valdantena. Il campanile sul cippo è una fedele riproduzione di quello presente a San Rocco di Gravagna, mentre l’impianto fonico che si nota in alto permette all’intera vallata di udire il suono delle campane. Davvero spettacolare lo scenario aperto a 360°, ora illuminante su Cargalla, Molinello, Cavezzana d’Antena, Groppoli di Valdantena, Casalina, Toplecca, tutti dominati dalla mole dal gruppo Orsaro-Braiola-Marmagna (foto i), mentre verso nord si delinea il crinale che dal Monte Fontanini coinvolge il Groppo del Vescovo e il Monte Valoria, sentinelle dei caseggiati di San Rocco e Montale di Gravagna. (foto j)

Proseguendo lungo il crinale prativo, a un certo punto si comincia a scendere, facendo presto ingresso in un bosco di faggi. Abbastanza ripidamente, per qualche minuto occorre prestare attenzione a non scivolare, poi, meno ripidamente (foto k), su terreno rottamato, sempre all’ombra del bosco, si percorrono per intero le pendici meridionali del Monte Cucchero senza mai incontrare variazioni di rilievo. La perdita di quota è costante (foto l), almeno finché non si perviene in località Le Votate alla Foce di San Rocco (m. 759), punto in cui si riceve da nord (sinistra) il vecchio tracciato provvisorio della GEA che per qualche anno dal Groppo del Vescovo anziché proseguire per il Monte Valoria scendeva a Gravagna e poi a Cavezzana d’Antena per collegarsi al Trekking Lunigiana fino a Cervara (oggi per fortuna non è più così). Qui si volge a ovest, si percorre un lungo rettilineo ancora cosparso da rocce rottamate (foto m), si attraversa un fosso (asciutto in estate) affluente del Civasola e, finalmente, con meno pendenza, ci si muove su sporadici affioramenti dell’antico selciato oramai quasi del tutto scomparso. Toccato un secondo fosso sempre asciutto, s’incontra una cappelletta assai rudimentale con all’interno un bassorilievo dedicato alla Madonna col Bambino, quindi, un ultimo tratto in ripida discesa, ci conduce nei pressi di alcuni baraccamenti che fanno da contorno ad un’area in parte coltivata. Un paio di minuti ancora e la mulattiera confluisce sul Trekking Lunigiana, a sud di Cavezzana d’Antena, raggiungibile a destra in un paio di minuti.

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Il Trekking Lunigiana invece prosegue sempre sullo stradello, scavalca il Canale della Lonzola e perde l’asfalto. Con un ultimo sguardo rivolto verso Montelungo, s’arriva all’isolato sito rurale di Valfondia (m. 815), (foto 1) costituito da un paio di abitazioni, un rudere, qualche appezzamento coltivato e tutto l’occorrente per la gestione di animali d’allevamento.

Apparentemente insignificante in realtà questo luogo fino al 1555 ospitava il nucleo originario di Montelungo, trasferitosi successivamente nel sito attuale perché interamente travolto e seppellito da un imponente smottamento della costa soprastante. Dati storici raccontano che prima del tragico evento i nuclei familiari presenti in Valfondia erano tredici. In loco è presente un’azienda agricola con allevamento animali.

Restando sullo stradello (fino al 2018 si passava fra le case sotto l’attenta sorveglianza dei numerosi cani presenti), si attraversa un ambiente boschivo chiaramente tormentato dalle frane e tagliato a un certo punto dalla goletta del Fosso Noce. In discesa, tra i cerri, si lascia in basso a destra un grosso lamierato che custodisce macchinari agricoli, quindi, con una piega netta a sinistra, si continua nel querceto (foto 2) portandosi allo scavalcamento di un altro fosso che precipita da una stretta incanalatura di roccia sedimentaria e friabile.
In ripida discesa, si compiono diverse svolte prima di raggiungere il facile guado del Fosso del Cucchero con la sua graziosa cascatella, (foto 3) la quale durante il periodo estivo si riduce fin quasi a scomparire.

Usciti dalla goletta, si riprende a calare fra cerri e faggi a magro e basso fusto, purtroppo disturbati dai rumori provocati dal traffico veicolare che corre sul ben visibile e non lontano viadotto autostradale.
Scavalcato un altro fosso asciutto ed evitato un tracciato secondario che cala a sinistra, si confluisce velocemente sulla strada sterrata che collega Montelungo inferiore a Cavezzana d’Antena. La si segue a sinistra, andando a passare proprio al disopra del viadotto autostradale che qui fa ingresso in galleria (Galleria Cucchero), poi, evitate in successione due diramazioni a sinistra, ci si abbassa compiendo una netta torsione fino a riportare lo sguardo verso Montelungo, con lo sfondo del Ronco Nudo, un quadro però non certo ingentilito dalla presenza del viadotto. (foto 4)

Sempre sulla sterrata, si scavalca per due volte lo stesso rio, poi, alti sulla valletta della Lonzola, interamente coperta da bosco misto, si prosegue lungamente aggirando in séguito, alle pendici meridionali del Monte Cucchero, la goletta del Canale dell’Acqua Solfurea. Di lì a poco si perviene all’ingresso della frazioncina di Cavezzana d’Antena (m. 578), (foto 5) più precisamente al caseggiato superiore (quello inferiore rimane una ventina di metri di quota più in basso), dove si trova la grande chiesa dedicata a Santa Maria Assunta. (foto 6)

Nominata negli estimi della diocesi nel 1470-71 come dipendente dalla pieve di Saliceto, fu per un certo periodo unita alla parrocchia di Cargalla. All’interno si trovano statue di Sant’Antonio Abate, Sant’Antonio da Padova e Santa Rita. Di fondazione benedettina, ha copertura a capanna e facciata decorata da lesene e cornici; l’interno, ad aula unica, è riccamente voltato e adornato da cornici, lesene e decorazioni pittoriche; l’abside ospita un coro ligneo e tre imponenti edicole.
Nelle vicinanze del borgo si trovano sorgenti sulfuree note già dal XVIII secolo, le quali, dopo accurate analisi, sono oggi risultate particolarmente indicate per alcune terapie dell’apparato digerente, per quello genitale e per la cura di patologie dermatologiche.
Come buona parte dei paesi della Valdantena, Cavezzana conta appena una decina di abitanti.

Sottopassata l’arcata all’ingresso, si evita la discesa alla chiesa e passando tra orticelli, scantinati e tipiche case in sasso, ci si dirige verso un pontetto romano nei cui pressi è sistemata una marginetta devozionale.
Al di là del rio, confluisce da sinistra il tracciato ufficiale della Via Francigena proveniente dal Passo del Righetto nonché dal rilievo del Cucchero. Successivamente si passa fra coltivi, boschi e pascoli non più utilizzati, toccando poi un ruscello che durante le stagioni meno calde per un buon tratto bagna il nostro percorso. Con attenzione a non scivolare, si cala tra cerri, faggi e ginestre, (foto 7) confinando nuovamente pascoli in parte riconquistati dal bosco.
Sul residuo di un acciottolato alla fine s’incontrano una serie di vigneti disposti su larghe terrazze fiorite di ranuncoli e margherite, anticamera d’ingresso all’abitato silente di Groppoli di Valdantena (m. 496), (foto 8) sede di un oratorio privato dedicato a Sant’Anna edificato nel XVIII secolo.

Anche se a Groppoli non esistono punti di ristoro è bene ricordare che la cucina della Valdantena (in questo caso fa testo la località di Molinello distante soltanto un paio di chilometri) è rinomata per le tagliatelle di farina di grano mescolate a quelle verdi, ottenute aggiungendo bietole e ortiche cotte nell’impasto iniziale. Particolare rilevanza assumono però i vari modi in cui vengono cucinati i funghi porcini: si va dalla crema di funghi, ai funghi trifolati per arrivare ai porcini fritti, a quelli ripieni e infine ai funghi al forno. Per apprezzarne pienamente il gusto bisognerebbe mangiarli con il pane cotto nei testi sulle foglie di castagno e magari accompagnare il tutto con un vino bianco (ma va bene pure il rosso) secco, fragrante e leggermente frizzante, proprio come quello che viene prodotto nei vigneti di Groppoli.

Attraversata la strada, si discende di fronte l’acciottolato fra le case (foto 9) che sùbito presenta un paio di fonti e una marginetta posta sotto un volto dedicata a San Luigi (1905). A una terza fonte (c’è una casa che da anni tradizionalmente tiene appese decine di pannocchie), si esce dal paese, dove s’attraversano in discesa gli splendidi vigneti che digradano attorno al poggio dominato dal borgo. (foto 10)

Proseguendo ancora sull’acciottolato, s’arriva ad incontrare la Provinciale 64 che sale a Gravagna, da attraversare per imboccare quasi di fronte una mulattiera diretta all’interno d’un bosco misto. Inseriti dunque nella valletta del Civasola, si cala malagevolmente su tratti invasi da ruscelli confinanti boschi e ripiani appartenenti ad ex pascoli, il tutto finché non s’arriva al fatidico guado del Torrente Civasola, (foto 11) che si supera tramite un nuovo ponticello ballante posizionato a sinistra dell’ultimo ripiano.

Dall’altra parte, si risale l’ambiente intricato (ma ben percorribile) di Tralacolla, ricco di prugnoli, ornielli, liane, rovi e più sopra noccioli, faggi, felci, edera, viburno, terebinto, cerri e primule. Dopo un breve tratto pianeggiante, si riprende a salire con bellissime panoramiche verso la valle del Civasola, dove oltre al caseggiato di Groppoli, dominato dal Monte Cucchero, si osservano le aree verdeggianti di Ronco Bianco, Campicione, Campose e Valsina.

Un ultimo breve strappetto conduce su una stradina di collegamento proveniente da Molinello per Groppodalosio, da attraversare verso destra, per scendere poi a sinistra lungo un sentiero in parte erboso che conduce piuttosto velocemente al minuscolo caseggiato di Previdè (m. 451). (foto 12)

In questa antica borgata, probabilmente sorta con lo scopo di controllare le vie commerciali della Valdantena, sono presenti il B&B Eremo Gioioso e La Casa nel Borgo, validissime soluzioni d’appoggio al Trekking Lunigiana dotate di tutti i comfort necessari i cui proprietari associano alle loro capacità gestionali una particolare sapienza nella cura della selezione dei fornitori locali per proporre prodotti con garanzia di freschezza ed elevata qualità. A Previdè (anticamente Previdale) risiedono stabilmente una decina scarsa di persone.

Si entra nella frazioncina trascurando la strada e una volta fuori, all’altezza di una cappelletta dedicata alla Madonna con marginetta del XIX secolo, si prende a sinistra una via campestre che confina terrazze erbose e vigneti.

Inseriti nella Valle del Magra, a monte di Barcola, si procede con un bel camminamento che, guadagnato un impianto ad ulivo, piega a destra su una traccia di sentiero a ridosso d’un vigneto, sulla cui cinta a secco crescono borraccine. Questo alternarsi continuo di pascoli, uliveti e vigneti, (foto 13) sprigiona un fascino del tutto particolare, intanto, una volta affacciati sulla vallata del neonato Magra, si continua a salire fino ad arrivare all’ultimo terrazzamento ad ulivo, dov’è importante tenersi a destra ad un bivio di sentieri. Alcuni saliscendi lungo la costa de La Chiusa portano ad altri terrazzamenti, poi, con un ultimo taglio in costa, a monte di un uliveto, si perviene in quel di Groppodalosio inferiore (m. 505), posizionato una trentina di metri di quota più in basso rispetto al gemello superiore. (foto 14)

Questo caratteristico borgo lunigianese d’epoca altomedievale (Gropumtalosium), esteso alle pendici occidentali del Monte di Co’, ha sapientemente mantenuto intatta la sua originalità soprattutto nel suo interno, ricco di particolari architettonici che richiamano i tempi della sua fondazione. Infatti, il tessuto urbano attuale è rimasto pressoché inalterato rispetto al XVI secolo, come dimostrano le strutture murarie, i passaggi voltati, gli stipiti e i portali. Difficile reperire dati certi etimologici, quello che si sa però è che probabilmente, per un certo periodo di tempo, il luogo veniva chiamato Groppo d’Alessio e la sua vallata sottostante “Valle dell’Oro” perché terra fertile (vi si coltivavano castagne, frumento, orzo, segale, ceci e la vite) e abitata da persone facoltose. Di particolare interesse, l’oratorio (oggi sconsacrato) dedicato a Maria, probabilmente risalente al XVI secolo. Da sempre di vocazione agraria, oggi a Groppodalosio vi risiedono circa una sessantina di persone.
In paese si trova la casa vacanza “La Bedina”, interamente in pietra arenaria, disposta su due livelli, denominata pure Ca’ del Governatore per i suoi trascorsi residenziali, e Casa Temperance, casa privata dotata di cinque posti letto e uso cucina.

Trascurata una scalinata a sinistra, si segue l’arteria di mezzo (civico 14) e camminando su pavimentazione tipica opus incertum, si perviene ad una maestà raffigurante San Pietro e la Madonna, posizionata a breve distanza dalla caratteristica fontanella del paese. (foto 15)
Alla maestà però si piega tosto a destra, su una scalinata acciottolata che cala ripida al fianco di case, stie (foto 16) e coltivi fino a raggiungere l’antico ponte alto sul Fiume Magra. (foto 17, foto 18)

Chiamato pure Ponte della Valle Oscura, fu realizzato nel 1574. Esso si presenta ad ampia arcata unica e misura in altezza circa sedici metri.

Dall’altra parte, si attraversa un’area recintata con capanne e radure, poi, attraverso un castagneto che annovera esemplari secolari, si sale per boscaglia e piane abbandonate fino ad incontrare la vicina strada asfaltata diretta a nordest verso il Passo del Cirone. Notata una maestà del 1891 dedicata a Sant’Angelo Custode, si va a destra, ma dopo una cinquantina di metri, si rimonta a sinistra un ripiano erboso da cui, fra coltivi e mura a secco, si fa ingresso in quel di Casalina (m. 490). (foto 19)

Considerato uno dei borghi più suggestivi del territorio pontremolese, Casalina si presenta perlopiù costruito in pietra, ricco di passaggi voltati e impreziosito dalla bella e grande chiesa dedicata a San Matteo, caratterizzata dalla cupolina squamata dello svettante campanile. Di realizzazione antecedente al XIII secolo, presenta copertura a capanna ed è curiosamente preceduta da un portico a tre campate, voltato a botte e sorretto da pilastri a base quadrata e setti in muratura dal capitello dorico; al centro, il portale in pietra, scolpito e decorato. In alto, al difuori del portico, appare un rosone in vetri policromi. All’interno, interessanti decorazioni e affreschi conferiscono maggiore importanza al presbiterio sopraelevato da due scalini.
Il borgo ad oggi ospita una trentina di residenti.

Camminando sull’acciottolato, si supera la deviazione a destra per la chiesa. Al civico 50, si tocca una fonte e dopo breve salita, si esce dal borgo al civico 44. Successivamente, uno stradino conduce velocemente al guado del Fosso della Galesa, dove nei pressi è collocato un mulino con vasca per la riserva d’acqua, sorto nel 1901 dalle spoglie di un antico oratorio. (foto 20)
Evitato un sentiero a sinistra, si cala fra i castagni alle pendici settentrionali della Musellara, fino a ritrovare la Strada Comunale di Versola che conduce pure ai Prati di Logarghena. In questo punto si trova una lapide marmorea che ricorda Battista Piagneri, di Versola, qui ucciso all’età di cinquantatré anni il 6 febbraio 1945, per mano di un barbaro straniero, mentre tornava a casa dopo una giornata di lavoro.

Dinamica paradossale fu l’uccisione di Piagneri, sacrificato per un fatto accaduto oltretutto a lui non imputabile. Qualche giorno prima della sua morte un gruppo di sbandati rubarono un camion tedesco carico di alimentari di vario genere e lo nascosero proprio a Casalina. La mattina del 6 febbraio 1945 un centinaio di soldati tedeschi risalirono la vallata alla ricerca del carico che in parte ritrovarono in una cascina di Toplecca. Piagneri, che si trovava a Casalina, decise di far ritorno a casa, in quel di Versola (un chilometro circa), ma durante il breve tragitto venne fermato da un soldato dai caratteri somatici orientali (forse un mongolo) che gli chiese i documenti. Impacciato e spaventato, a Piagneri cadde il portafoglio e all’atto di raccoglierlo il soldato decise di freddarlo con una raffica di mitra.    

Toccato il vicino cimitero (fontanella), ci si allunga ancora su strada per una ventina di metri circondati da estesi campi prativi, quando, oltrepassato il Fosso Ortese, nei pressi di un rustico ci si diparte a sinistra su una bella mulattiera acciottolata che rimonta un poggio erboso colonizzato da querce e faggi. (foto 21)
Circondati da cinte a secco ammorbidite da muschi, in località Volpara s’attraversa il Fosso Canè sempre asciutto, quindi, si continua a salire fino a raggiungere un crocicchio presenziato da un pilone votivo e, purtroppo, pure da un grosso traliccio dell’alta tensione.

Evitata a sinistra una traccia che risale verso la Musellara, si scende ad una pista a fondo naturale, chiusa tra rovi e sterpi, da seguire verso sinistra (a destra la stessa cala a Versola). Alla prima curva però la si abbandona (essa compirà un giro ad anello sui pascoli del Pratello) per intraprendere sulla destra un tracciato comunque evidente che da una parte confina il vasto pianoro di Scaio, mentre dall’altra è letteralmente assalito da un incredibile groviglio di sterpi e piante arbustive. (foto 22)
Nel punto in cui riaffiora un antico selciato, s’inizia a scendere nel bosco arrivando piuttosto velocemente al ponte romano (foto 23) sul Fosso del Pratello coi suoi bellissimi saltelli che a più riprese discendono la gola. (foto 24)

Dall’altra parte, si sale andando a ritrovare il selciato che tra querce, noccioli e castagni conduce fino ad un ciglio panoramico su Molinello e i due nuclei di Cargalla; a nord, invece, il Tecchio di Pram Bram e il Monte Pelata sono sullo sfondo di Montelungo.
Con un tratto pianeggiante, si perviene all’arcata che salta il Fosso della Casarella (non si sa il perché ma viene pure chiamato “Fosso della Spergiura”), (foto 25) meno vivace rispetto al precedente, quindi, dopo essersi affiancati a un ruscello, lo si guada per avvicinarsi ai campi prativi e successivamente alle poche case di Toplecca superiore (m. 589). (foto 26)

Questa frazione, suddivisa in due nuclei (inferiore e superiore) è una fra le più piccole della Lunigiana e ad oggi conta soltanto una decina di anime impegnate nella conservazione e nella lavorazione dei coltivi che circondano il territorio. Conversando con i “superstiti”, è emerso quanto il tarlo dello spopolamento qui abbia registrato a partire dalla seconda metà del XX secolo effetti esponenziali. A testimonianza della vitalità scomparsa a Toplecca, desta stupore una fotografia emersa da un cassettone risalente al periodo prebellico in cui è ritratta una scolaresca paesana, composta da un numero piuttosto considerevole di alunni. (foto 27)
Ancora oggi il toponimo Toplecca non è molto chiaro a tutti: documenti, mappe e persone lo citano pure Topelecca, Topleca, Tapolecca, mentre in passato, antichi scritti lo riportavano come Toppoleca o Topolecca. Il paradosso è che neppure domandando agli abitanti stessi si riesce a fornire una certezza.
Entrambi i caseggiati si sviluppano con tessuto compatto e chiuso lungo le vie interne che racchiudono un nucleo centrale più antico, caratterizzato da stretti percorsi acciottolati, con tratti di passaggi voltati in gallerie su strutture in pietra a vista. Le strutture murarie, i passaggi voltati, gli stipiti e i portali documentano un’edilizia rurale risalente al XIV-XVI secolo. A Toplecca inferiore vi sono i resti di un oratorio dedicato allo Sposalizio di Maria, edificato nel 1697 dalla famiglia Caffoni, ma che ad oggi si presenta diroccato poiché rimangono soltanto le murature perimetrali e parte della volta.

Una volta sulla strada, si va a sinistra e con molta attenzione alla segnaletica, alla prima curva (presenza di una baracca in lamiera) si piega ancora a sinistra sul residuo di un selciato che, aggirata un’abitazione, sale fra bei ripiani prativi. Tutto ciò porta nuovamente sulla carrozzabile di collegamento per i Prati di Logarghena, proprio di fronte ad una maestà dedicata alla Mater Dolorosa, alla cui destra si riprende l’acciottolato che discende il bosco. (foto 28)

Scavalcato su un ponte romanico il Fosso della Borghesa, ci si alza su ampi spazi alle pendici settentrionali del Monte Brusciol, rivestito di querce, faggi e castagni a magro fusto. Dopo aver scavalcato pure il Fosso Saporito (a carattere stagionale), con la comoda salita (foto 29) ci porta a varcare una sorta di selletta in località Caselle, oltre la quale si è al guado del Fosso di Carnacaldo, il cui toponimo si rifà ad un’area boschiva soprastante. Più avanti il percorso tende a pianeggiare e nella sua intensa solitudine aggira una modesta altura tagliata a un certo punto dalla linea del metanodotto (in basso è visibile una postazione di caccia). Ciononostante si resta comunque sufficientemente appagati di fronte allo splendido scenario panoramico rivolto verso Villa Vecchia, Montelungo e il crinale appenninico che dal Tecchio di Pram Bram coinvolge il Monte Pelata e il Molinatico. Oltrepassato un fossetto sempre asciutto, in cinque minuti circa ci si inserisce nel valloncello in cui è incanalato l’ampio Fosso delle Vetrici, vivo perlopiù nei mesi invernali, poi, qualche metro più avanti, ci si cimenta in alcuni saliscendi attraversando un ambiente più arido, piantonato da un pullulare d’arbusti, oltre i quali si muovono silenziose famiglie di cinghiali.

Non appena è il nocciòlo a prendere il sopravvento, con un ultimo sforzo in salita, in meno di cinque minuti, si perviene al Passo della Crocetta (m. 705), (foto 30) antico punto di ristoro dei pellegrini che passando da qui si recavano verso il parmense.

Ci troviamo su un comodissimo poggio prativo, dove sono presenti due edifici, uno dei quali utilizzato per custodire materiale impiegato soprattutto nel giorno di ferragosto, quando viene celebrata la festa della Madonna; l’altro edificio è la chiesetta dedicata a San Francesco (monaco ricordato da un bassorilievo incastonato sopra il portale) edificata nel 1841 e ristrutturata nel 1957.
Oltre all’ambiente favorevole, al Passo della Crocetta si gode di un valido panorama comprensivo del vicinissimo Monte Brusciol e delle cime appenniniche dell’Orsaro, del Braiola e del Marmagna.

Trascurata a sinistra una bella variante diretta alla Cima dei Piaggi, ai Prati di Logarghena e al Rifugio Mattei, si segue lo sterrato che sale da Arzengio, lasciandolo però quasi sùbito per intraprendere sulla sinistra una buona traccia in erba (foto 31) e acciottolata che cala verso una macchia arbustiva in località Saletto. Accompagnati da belle vedute sulla Val di Magra, si percorre al contrario la cosiddetta “Salita dei Massacri”, una storica Via Crucis formata da quattordici stazioni testimoniate dalla presenza di una serie di crocette recanti l’effigie di Cristo. (foto 32)

Pruni, ginestre, erica arborea, lippie, noccioli, castagni, cerri, vitalba, rovi, rosa canina e poi ancora edera, felci e margherite, un mix floreale che contorna costantemente la discesa di un antico acciottolato che, di stazione in stazione, talvolta ripido, talvolta in falsopiano, resta a cavallo fra le vallette del Pradalina e del Bagarano. Poi la discesa diviene sempre più ripida, scopre qualche conifera e all’ultima stazione (in realtà sarebbe la prima), incontra le prime case poste a nord di Arzengio. All’altezza di una maestà, si confluisce su uno stretto stradino asfaltato che a destra raggiunge l’isolato campanile (foto 33) rimasto da tempo orfano della chiesa distrutta alla fine degli anni ’20 del XX secolo.
Il Trekking Lunigiana però séguita a diritto, passando nei pressi della nuova chiesa di San Basilide, (foto 34) ricostruita nel 1931, dove una pietra, un tempo posta su un piccolo campanile a vela appartenente alla vecchia chiesa (XV secolo), reca l’iscrizione latina “hoc opus fecit io do doadis sugno 1565”.

In breve si perviene sulla perimetrale d’Arzengio (m. 432), (foto 35, foto 36) caratteristico borgo curiosamente privo di parcheggi per le auto.

Posizionato sulla sommità di un poggio esposto ad ovest sulla valletta di Bagarano e a sud su quella dell’Angelo, circondato da coltivi, risale all’epoca romana, infatti, la prima parte del toponimo rimanda ad “arx”, ossia roccaforte, mentre la seconda ha origine sconosciute.
Di forma circolare, Arzengio fu probabilmente sede di un castello distrutto nel XIII secolo, i cui resti delle antiche mura sono inglobate nelle abitazioni in una piazzetta al centro dell’abitato. È comunque interessante compiere un giro ad anello attorno al borgo, sfruttando pure le viuzze laterali per spiare gli angoli più bui che conservano indizi d’architettura remota.
La chiesa si presenta con una facciata tinta di color ocra, divisa in tre fasce da quattro lesene, dove in quella centrale si apre il grande portale sormontato da un arco a tutto sesto e da un rosone circolare. Le fasce laterali invece ospitano due finestre cieche corniciate allo stesso modo dell’arco sul portale. L’interno, ad aula unica, mostra un soffitto cassettonato in cemento armato totalmente decorato e affrescato.
Da Arzengio (una quarantina di abitanti), percorrendo la carrozzabile d’accesso per una trentina di minuti circa è possibile raggiungere il grosso centro di Pontremoli, dove trovare comodamente vitto e alloggio.
La tradizione culinaria del luogo annovera: la torta di patate e porri; i testaroli; la pattona (a base di farina di castagne); la bomba di riso; la barbotta (a base di fiori di zucca); la polenta di castagne; le frittelle di sedano.

 

L’immagine numero 19 è stata gentilmente concessa dagli amici di Lunigiana World

Legenda

Tempo di percorrenza
Lunghezza del percorso
Altitudine minima del percorso
Altitudine massima del percorso
Altitudine tappa di partenza
Altitudine tappa di arrivo

Profilo altimetrico

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