Tappa 01: Aulla - Novegigola

3h:30m
10 km
61 mslm
425 mslm
61 mslm
423 mslm
Tempo di percorrenza: 3h:30m
Lunghezza percorso: 10 km
Altitudine minima: 61 mslm
Altitudine massima: 425 mslm
Altitudine partenza: 61 mslm
Altitudine arrivo: 423 mslm

Località toccate

Aulla – Fiume Magra – Bagni di Podenzana – Calcinara – Saletto – Residence degli Ulivi – Castello di Podenzana – Madonna della Neve in Gaggio – versante nord Monte Croce del Bastione – Bosco del Gaggio – Ristorante Da Gambin (Barco) – Torrente Cisolagna – Meredo – Novegigola

La tappa

È ad Aulla che comincia e finisce questo lungo trekking la cui prima tappa già ci introduce in un ambiente selvaggio, talvolta quasi ostile, al punto da richiedere una vigile e continuativa manutenzione. Dopo aver approfondito la conoscenza del principale centro economico dell’alta Val di Magra, essa volge per boschi verso il Castello di Podenzana e il Santuario della Madonna del Gaggio, da dove, sempre all’ombra silvestre, sfiora il rinomato ristorante “da Gambin” e precipita al guado della valletta del Cisolagna.

Con un po’ di fatica fa poi ingresso nella prima delle tante microfrazioni toccate dal TL, ossia Meredo, nel territorio comunale di Tresana, in quel di Novegigola, ove in località Palazzina, al Ristorante le Querce la sosta è d’obbligo.

Aulla (m. 64), 11.000 abitanti circa,  (foto 1) è il principale centro economico dell’alta Val di Magra ed è crocevia d’importanti vie di comunicazione, quali le statali della Cisa, del Cerreto e del Lagastrello. Per la sua strategica centralità geografica (retrovia della Linea Gotica) ha subìto nel biennio 1943-44 la totale distruzione del centro storico ad opera delle truppe alleate, interessate a sbarrare la via di fuga ai tedeschi.
Interamente ricostruita negli anni ’50, è oggi sede d’importanti uffici pubblici comprensoriali, di numerose attività commerciali e artigianali.
Storicamente le vicende di Aulla sono legate al suo ruolo d’incrocio di strade, infatti, è documentata come una delle più antiche tappe della Via Francigena (o Romea). Aulla è anche una delle poche città italiane di cui si conosce la data di fondazione: nell’anno 884 Adalberto, marchese di Toscana, fondò un’abbazia nel luogo dove qualche anno prima aveva costruito un castello e un ospitale atto ad accogliere i pellegrini. Proprio per la sua importanza strategica subì l’invasione di Giovanni dalle Bande Nere che dette avvio alla costruzione della Fortezza della Brunella. Dal XVI al XVII secolo il feudo d’Aulla fu governato dalla potente famiglia genovese dei Centurione, la cui rosa di macchia divenne in séguito lo stemma del Comune.
La Fortezza della Brunella, (foto 2) oggi sede del Museo di Storia Naturale, offre la possibilità a numerosi visitatori di un’interessante visita guidata che riporta indietro negli anni. Eretta nel XVI secolo, su un’altura dominata dal leccio, è a forma rettangolare con massicci bastioni agli angoli. Circondata da un profondo fossato, prende il nome dal particolare colore della roccia su cui si erge. Un tempo era dotata di ponte levatoio, mentre alcuni rifacimenti, come l’abbattimento delle torri medievali, hanno portato alla creazione di spazi per le cannoniere e di feritoie da fucile.
Ad Aulla sono inoltre degni di nota il Palazzo del Centurione, dov’è possibile ammirare quel che rimane della porta di sotto, e la bellissima Piazza Cavour con il Vico della Dovana.

Con rotta verso ovest, all’altezza di Piazza Corbani, s’imbocca la carrozzabile per Bagni di Podenzana, con la quale si perviene in Piazza Garibaldi. Qui ci s’immette in via Galilei (evitare l’ingresso al centro storico percorso dalla Via Francigena), al cui termine s’incontra l’Abbazia di S. Caprasio, (foto 3) fondata nell’884 da Adalberto di Toscana.

Sede delle reliquie dell’eremita delle Isole Lérins della costa provenzale, ne sono visitabili l’abside esterna e l’area presbiterale con resti della chiesa risalenti all’VIII-IX secolo. Scavi archeologici hanno riportato alla luce molti artefatti antecedenti di alcuni secoli, tra i quali è famoso il capitello con il volto del diavolo che mangia un giglio. Particolarmente frequentata è l’annuale fiera dedicata al Santo che si svolge lungo le vie centrali della cittadina. L’ambiente museale di cui si fregia l’abbazia, espone particolari molto interessanti tra cui monete, ceramiche, il caratteristico vangelo di pietra e una fornace risalente al X secolo.
Tramandata oralmente la sua storia e date per disperse le spoglie, a séguito di scavi archeologici nel 2003 venne alla luce la sua tomba contenente alcuni resti ossei successivamente a lui attribuiti grazie al metodo del radiocarbonio.

Il Trekking Lunigiana volta a sinistra, in via Provinciale, che corre lungo il ponte alto sul Fiume Magra. Al termine del viadotto si è in località Bagni di Podenzana (m. 70), dove si devia a destra in via Calcinara, da percorrere per un centinaio di metri circa, finché non s’incontra a sinistra un’arteria della stessa.

Imboccata quest’ultima, in salita, confinando boschi e vigneti, si sottopassa il viadotto autostradale per poi alzarsi ancora più ripidamente, in compagnia di rovi e pini, fino a una biforcazione di strade cieche, sempre in località Calcinara (m. 130). Tenendosi a sinistra, s’arriva alla morte della via asfaltata, ove nei pressi dell’unica casa presente inizia una pista a fondo naturale che conduce velocemente, all’altezza d’un cancelletto, al guado di un rivolo. (foto 4) Al di là del corso d’acqua, tra felci, roverelle, ellebori, agrifogli, pungitopo e castagni, si sale con un po’ di fatica un sentiero in parte selciato (foto 5) diretto a sfiorare l’estremità bassa di alcuni terrazzamenti da sfalcio.

Con una piega tosta a sinistra, ci si porta verso le poche case di Saletto (m. 179), (foto 6) ubicate a nord di Montalini, quasi tutte sistemate in costa a ripiani digradanti, circondate da campi, giardini e capanni.

Toccata la strada d’accesso (piazzaletto), si prende sùbito a destra, a lato di una casa bianca, un tracciato parallelo ad una recinzione che, oltrepassato un canneto, fa il suo ingresso nel bosco misto.

Dopo aver salito per una quindicina di minuti circa, s’incontra una cinta muraria, oltre la quale è stata edificata da qualche anno un’abitazione. Qui, fino al 2018, il Trekking Lunigiana piegava a sinistra (oggi vi transitano i “misteriosi” Cammino di Assisi e Via Marchesana) e si dirigeva per mezzo di un bel selciato verso il bel caseggiato di Oliveto, (foto 7) sede di un piccolo castelletto edificato in pietra, con tanto di corte, portali e torre merlata.

Oggi, invece, si resta sul sentiero e dopo breve salita, si pianeggia lungamente all’interno di un contesto boschivo che non filtra immagini perché chiuso da promiscuità arborea privilegiata dal castagno. (foto 8) (foto 8 bis)
Questa comoda passeggiata oltrepassa alcuni fossati e all’altezza della testata della valletta del Tuffolo volge a ovest, trascura a destra un’ampia via a fondo naturale (collegamento per la Madonna del Gaggio e per la Greenway Fiume Magra), quindi riprende a salire, non troppo sostenuta, e con rotta a sud sbuca di fronte all’ingresso del Residence degli Ulivi, struttura socio-sanitaria per anziani, funzionante dal 1998, aperta dalla cooperativa Coopselios di Reggio Emilia.
Proseguendo lungo la stradina asfaltata d’accesso, in pochissimi minuti si raggiunge il sito del Castello malaspiniano di Podenzana (m. 322), (foto 9, foto 10, foto 11) di proprietà privata e pertanto visitabile soltanto previa autorizzazione.

Annunciato da un viale di lecci secolari, il maniero è posizionato sul ciglio di un rilievo idealmente affacciato a precipizio sull’alveo del Fiume Magra, panoramicissimo verso l’aspra cornice delle Alpi Apuane cui spiccano il Pizzo d’Uccello, il Pisanino e il Sagro. Edificato forse tra il IX e il X secolo, fu oggetto di contesa tra i vescovi di Luni e il casato dei Malaspina, con quest’ultimi che ne ripresero possesso a partire dal XIV secolo.
Questa possente struttura poligonale fu più volte rimaneggiata nei secoli, in particolare dopo il terremoto del 1920 e al termine della Seconda Guerra Mondiale, con le conseguenti perdite dei caratteri originali.

Senza proseguire sull’asfalto (qui ci si riallaccia al Cammino di Assisi e alla Via Marchesana entrambi saliti da Oliveto), una volta di fronte al cancello d’ingresso del castello si ricerca dalla parte opposta, a lato di una cinta con archi, una scalinata che in breve conduce su un ripiano prativo raggiunto pure da una pista a fondo naturale. Evitando quest’ultima, si continua a salire approfittando di un viottolo che si diparte quasi al centro del ripiano e che in pochi minuti va a confluire sulla carrozzabile di via del Gaggio, caratterizzata dalla presenza di una Via Crucis regolarmente dotata di stazioni che ripercorrono le tappe della Passione di Cristo. Un chilometro circa al fresco di ippocastani ed eccoci al cospetto del Santuario della Madonna del Gaggio o della Neve (m.390), (foto 12, foto 13) posizionato spettacolarmente a balcone sulla vallata del Magra, dominata dal cornicione naturale dell’Appennino toscoemiliano, in sostanza dall’Orsaro a La Nuda in un sol colpo d’occhio.

Non si hanno dati certi circa le origini di questo edificio sacro, tuttavia è sicuramente antecedente al primo documento in cui si attesta la sua esistenza (1608). Nel 1702 era già in rovina, ma il forte culto che attirava i pellegrini da molte parti della Lunigiana ne determinò la ripresa. Il toponimo, che deriva da “ga haga”, è antico ed evoca strutture d’insediamento longobardo; appare infatti già citato nella dotazione di Adalberto di Toscana all’Abbazia di San Caprasio nell’884. Durante il XVII secolo il santuario prese anche il nome di Madonna della Neve. Qui la tradizione popolare vuole che attorno a un secolare castagno sia apparsa la Madonna (o si sia rinvenuta una sua immagine miracolosa) convertendo un eretico boscaiolo che bestemmiava a ripetizione mentre tentava di abbattere la pianta. Ciò che resta del sacro castagno è ancora conservato nel santuario, questo perché era cattiva abitudine da parte dei devoti portare via frammenti della reliquia. Nel sagrato è presente un piedritto marmoreo che ricorda Don Bartolino, ex parroco di Podenzana in carica dal 1961 al 2005.

Alla sinistra del santuario, si sottopassa un volto per tornare nuovamente sulla strada, dove ci si avvicina ad uno spiazzo con a lato alcune strutture impiegate soprattutto ad agosto durante la celebre sagra del panigaccio di Podenzana.

Proseguendo sull’imminente sterrata, ci si appresta a compiere all’interno d’un bosco di pini e castagni un’ampia semitorsione a nord del Monte Croce del Bastione, che a un certo punto presenta pure una comoda area di sosta attrezzata con panche e tavolini.
Prima sul versante del Magra e dopo su quello del Cisolagna, si calcano in ordine i valloncelli del Piano, del Picco, dell’Ert e del Cuccarello, nonché la costa impluviale del Bosco del Gaggio, come gli altri poco evidente perché solitamente in secca.

Mantenendosi dunque sulla pista sterrata, (foto 14) la quale resta sempre poco al disotto dei quattrocento metri di quota, si perviene al nodo di Barco, nei pressi del rinomato ristorante “da Gambin” (m. 357), (foto 15) dove s’incontra la strada che sale da Bagni di Podenzana (collegamento con Bolano), qui panoramica sulla piccola frazione di Barco. (foto 16)

La sosta è d’obbligo, perché Gambin integra idealmente al trekking il piatto tradizionale del luogo, ossia il panigaccio. Si tratta in pratica di una focaccetta di farina di grano, cotta in una formella di terracotta, servita su un cestino di vimini per mantenerne la fragranza. Il panigaccio può essere degustato in vari modi, ma quello più tradizionale consiste nel farcirlo con formaggio molle di mucca (stracchino o gorgonzola), testa in cassetta, mortadella di produzione locale, assortimento di prosciutti, salame, pancetta e coppa. Esso dunque rappresenta la tipica ricetta “povera” dei contadini della Lunigiana, perché è un piatto molto semplice a base di farina e acqua. Nonostante lo scarso numero d’ingredienti, può però risultare un piatto difficile da preparare soprattutto nella gestione delle dosi. (foto 17, foto 18, foto 19) Ai panigacci normalmente si unisce un vinello bianco, leggermente frizzante e fresco, prodotto nelle colline che circondano Podenzana, Novegigola e Tresana.
Legato al territorio e ai sapori della Lunigiana, oltre al panigaccio, Gambin ha fra i suoi pezzi forti i ravioli, le lasagne bastarde preparate con la farina di castagne, le tagliatelle ai funghi porcini, la tagliata, il cinghiale e il rinomato minestrone. Inaugurato nell’agosto del 1978 dalla famiglia Podenzana, il locale venne intitolato al fondatore Attilio, soprannominato Gambin dagli amici. Ristrutturato e ampliato in più fasi, oggi offre pure la possibilità di alloggio.

Il Trekking Lunigiana non s’immette sulla strada, infatti, poco prima del locale, piega tosto a destra, su un buon tracciato che in discesa passa fra orti, piane e intrighi di rovi. Dopo una cinquantina di metri, al cospetto di una biforcazione, lascia a diritto il tracciato principale per seguire a sinistra una diramazione che continua tra piane erbose adibite a pascolo e coltivi in parte abbandonati. Superata una capanna con cancelletto, la traccia scavata entra in un nuovo contesto ambientale macchiato da cerri, castagni, erica e pini, (foto 20) poi, oltrepassato un traliccio, si tiene un po’ a sinistra per sbucare in una conchetta in cui si nota un sentiero che arriva da destra.

Continuando a diritto, si ritrova il sentiero nel bosco e tra minacce d’infrascamento dovute ai noiosi prugnoli misti a felci e rovi (qui la manutenzione dovrebbe essere garantita perlomeno ogni due anni), si precipita ripidamente fino a confluire su una sterrata (m. 230) che taglia di netto la vallata del Cisolagna (proseguendo verso ovest questa traccia arriva fino a Bocceda, in quel di Novegigola; a destra invece si stacca nuovamente dal TL il Cammino di Assisi che comunque ritroveremo a Meredo). La si segue in salita (sinistra), ma dopo pochi metri la si abbandona per imboccare a destra un viottolo che, fra la sterpaglia, conduce al guado del Torrente Cisolagna. (foto 21)

Originario del Monte Grosso e lungo circa sei chilometri e mezzo, questo anonimo corso d’acqua in realtà un tempo costituiva una risorsa importante per il territorio giacché le sue acque servivano per mantenere in vita un buon numero di mulini, infatti, buona parte delle coste che digradano verso il torrente venivano lavorate per la coltivazione del grano, mentre più in basso attivissima era la produzione del fagiolo.

Sull’altra sponda, prima per viottolo e dopo su acciottolato a tratti rovinato, si sale fra querce, castagni e ornielli a toccare un primo capanno, a cui fa séguito un secondo edificio ristrutturato denominato “Ai due Porconi”, (foto 21 bis) (toponimo assai discutibile perché inciso su un ricovero sottostante; più appropriati invece “Ai due Porcini” oppure “La Pila”), posto a monte d’un declivio formato da terrazzamenti coltivati a vigna. Confinando la cinta a secco che li sostiene, lungo la quale crescono tra le altre borraccine, ombelichi di Venere e lamium maculatum (una falsa ortica con striscia bianca), s’attraversa per intero l’area agricola fatta pure di pianelle erbose corredate di capanni e cataste di legname. (foto 22) Questo finché non si confluisce sulla sterrata, la stessa incontrata poco prima del guado del Cisolagna (qui ritroviamo il Cammino di Assisi), da seguire a sinistra in osservazione d’un poggio coltivato a ulivo (dalla parte opposta essa conduce verso la valletta del Tarilla). Percorsi poco più di un centinaio di metri, meglio evitare sulla destra una scorciatoia (vecchia traccia del TL ad oggi non più percorribile), ma piuttosto proseguire sempre sull’ampia e comoda pista, la quale, compiuto un tornante, va a confluire sulla carrozzabile d’accesso della microfrazione di Meredo (m. 380), (foto 23) una ventina di case non tutte abitate, in buona parte ristrutturate, dalle viuzze interne che una volta profumavano di pane appena sfornato.

Si perché a Meredo forse qualcuno che ancora fa il pane c’è, ma non si sa per quanto tempo però dato che gli abitanti ad oggi sono ridotti a una ventina circa. A Meredo il tempo si è fermato da un pezzo, come si evince dagli scantinati lasciati aperti da decenni; dai passaggi voltati musicati soltanto dai ronzii degli insetti; dalle finestre spalancate in case dismesse, ma che un tempo raccontavano quotidianamente la vita di qualcuno; dalla cappelletta che non c’è più; dai portoni di legno in parte alla base ammantati da muschi e in parte aggrediti dalla proliferazione di muffe. Eppure fino a metà del secolo scorso Meredo era rifugio prediletto da agrari che lì coltivavano la vite e l’ulivo, ma anche terra di bestiame perché favorita da ampie zone pascolive che si allungavano dal colle di Barco fino a Novegigola. (foto 24)

Si punta l’interno del borgo, passando tra arcate, gallerie rustiche, scale in pietra, portali, fonti e case diroccate, (foto 25, foto 26, foto 27, foto 28, foto 29) fino a guadagnare, a monte dell’abitato, una sorta di crocevia capitanato da un pino, dove una pista erbosa proviene da sinistra: si sale a diritto, fino ad aggirare una casa color ocra con facciata in pietra a vista, quindi, con costanza e relativa fatica, si prosegue senza mai uscire dal sentiero finché non si raggiunge un’isolata abitazione (civico 3, Podda Guardiola) posta all’inizio della strada che cala a Meredo.

Una volta sulla Provinciale 20 che sale da Terrarossa, si va a sinistra, passando fra declivi prativi, boschi e colline verdeggianti, una passeggiata pianeggiante di neppure un chilometro che a un certo punto si pone in vista della pianella prativa in cui è ubicata in stile barocco la Chiesa di San Lorenzo Martire di Novegigola (m. 416). (foto 30)

Attestata fin dal 1619, ha la facciata in stile barocco, dal timpano segmentale e dalla robusta cornice animata dall’onda del piano d’imposta scandito in verticale da coppie di paraste che accompagnano l’alto fastigio centrale. L’aula interna, rivolta a oriente, è incastrata nel retrostante complesso canonicale unendosi al quale forma un perfetto rettangolo fiancheggiato a mezzogiorno dal campanile con la cupola loricata.
Un ritmo di tre campate scandisce lo spazio del vano ad aula unica ampliato con cappelle laterali della stessa altezza collegate con portali a sesto ribassato appoggiati su quattro spicchi semisferici.
A metà del secolo scorso, per illuminare maggiormente il vano dell’altare, l’assetto originario fu modificato con l’inserimento di un tamburo ottagonale estradossato, coperto da una soletta piana in cemento armato dalle ampie finestre.

Qui ha termine la prima tappa del nostro Trekking Lunigiana che come punto d’appoggio sfrutta il validissimo Agriturismo Le Querce, in località Palazzina (m. 436), sistemato alle pendici ovest del Monte Borali.

Antico feudo di Giovagallo, Novegigola (foto 31) non è un classico agglomerato di case, bensì una vasta area verdeggiante punteggiata qua e là da abitazioni indipendenti e capanne rustiche alternate a campi coltivati e terrazzamenti. Posizionata alle pendici sudovest del Monte Borali e sul fianco nord della valletta del Meredo, presenta in località Palazzina un ottimo punto di ristoro con servizio d’alberghetto. Si tratta dell’Agriturismo Le Querce, spesso utilizzato anche per banchetti e cerimonie, cui è possibile gustare diverse specialità come le torte di verdure, le classiche focaccette di granturco, ottimi salumi, formaggi (in particolare la ricotta), polenta fritta e ancora funghi, selvaggina, ecc., prodotti per la maggior parte lavorati con metodologia biologica perché derivanti dall’azienda stessa (carni, olio di oliva e vini in particolare).
A Novegigola esiste un piatto locale molto interessante, tipico della montagna lunense: “le tagliatelle di Novegigola”: il piatto è composto d’una miscela a secco di farina dolce e farina di frumento impastata con acqua tiepida, uova intere, olio di oliva e sale. Il condimento prevede un tritato di lardo rosolato nell’olio d’oliva assieme a porri finemente sminuzzati. Pronto in tavola va spolverato con pecorino grattugiato.
Splendidamente gestita da Angela e Sabrina, la struttura è dotata di nove camere e piccola piscina all’esterno.

Legenda

Tempo di percorrenza
Lunghezza del percorso
Altitudine minima del percorso
Altitudine massima del percorso
Altitudine tappa di partenza
Altitudine tappa di arrivo

Profilo altimetrico

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