Tappa 03: Villa di Tresana - Montereggio

4h:00m
9 km
350 mslm
697 mslm
355 mslm
645 mslm
Tempo di percorrenza: 4h:00m
Lunghezza percorso: 9 km
Altitudine minima: 350 mslm
Altitudine massima: 697 mslm
Altitudine partenza: 355 mslm
Altitudine arrivo: 645 mslm

Località toccate

Villa di Tresana – Poggio – Valle – Villecchia – Canale di Nasso – Parana – Provinciale 32 – Villa Libraio – Casa di Loja – Ponte San Giuseppe – Provinciale 69 – Torrente Mangiola – Montereggio.

La tappa

Trasferimento dalla Valle dell’Osca a quella del Mangiola, attraverso un percorso solitario che s’accentua una volta uscito da Villecchia, mentre torna ad essere antropizzato già all’ingresso del territorio comunale di Mulazzo. Anche questa tappa, come le due precedenti, in questi ultimi anni ha subìto delle variazioni importanti.

Dall’antico Ospitale (m. 352) in quel di Villa di Tresana, si prosegue lungo l’asfalto in direzione nord per circa duecento metri, quando in località Poggio (m. 358), di fronte a una cascatella che discende dalla costa di Porcola, ci si diparte a sinistra su una stradina secondaria aperta su una piana coltivata ad ulivo. (foto 1) Toccata una maestà dedicata alla Madonna dei Quercioli, s’arriva ai piedi del minuscolo caseggiato di Valle (m. 350), toponimo abbastanza abusato in tutto il territorio toscano, curiosamente adagiato su un poggio erboso circondato da campi e coltivi. (foto 2)

Si segue a diritto la carrareccia che in leggera ascesa attraversa un insieme di campi coltivati e piane erbose, (foto 3) una delle quali è conosciuta col toponimo di “campo armato”, termine eloquente la cui tradizione parla di ritrovamenti di armi del primo periodo dell’Età del ferro (qui si accenna a una gran disfatta romana) che sono andati dispersi.

Con un ultimo breve segmento in ripida salita si guadagna la viuzza che passa internamente alle abitazioni di Villecchia (m. 430) esposte più a sud e con passaggi fra i respiri delle antiche mura e suggestivi archivolti, (foto 4, foto 5) si arriva fino alla piccola e graziosa chiesetta con dedicazione a San Domenico. (foto 6)

Splendidamente adagiato sulle sinuosità di una collina rigogliosa e soleggiata, Villecchia è un tipico borgo che, grazie ai suoi numerosi vicoli e scalinate voltate, acquisisce il diritto di elencarsi fra i caseggiati modello che meglio identificano l’antica urbanizzazione della Lunigiana. Una trentina di anime sopravvivono nell’oblio di chi non sa vedere oltre, anche se, effettivamente, la vita qui non è facile se non si ha un mezzo di trasporto. Per ispezionare l’intero borgo sono sufficienti una trentina di minuti, magari riservando qualche secondo in più laddove pietre e architettura rustica si fondono in un passato remoto lontano pure dai ricordi di chi ci sta ancora. C’è un piccolo oratorio dedicato a San Domenico quasi sempre chiuso, un edificio a pianta rettangolare con il presbiterio rivolto a settentrione. Precede la facciata, esposta a mezzogiorno, un grazioso sagrato cinto da mura e ornato con sedute, ombreggiato da un antico ippocastano che vegeta alle spalle della fonte situata all’esterno, verso le case dell’abitato, appoggiata su uno dei setti murari ornati con cuspidi piramidali all’ingresso. Il prospetto presenta un andamento a onda convessa alterato nella parte centrale per inserire il campanile a vela. L’interno, ad aula unica, è ripartito in tre campate coperte da una volta a botte lunettata, irrigidita da arcate trasversali. Al centro del presbiterio rettilineo si colloca il dossale a sarcofago in stucco bianco, di gusto ligure, sormontato dalla nicchia con la Vergine del Carmelo. In paese è presente un B&B molto accogliente.

Per motivi di sicurezza e forse anche per un miglior aspetto paesistico, per più di un decennio il Trekking Lunigiana da Villecchia venne dirottato a nord, a raggiungere il sito rurale di Porcola e i successivi crinali del Monte Zucoletto (erroneamente citato pure Zucoletti) e de La Colletta, per poi scendere a Parana percorrendo le pendici sud del Monte Scopello, lungo una sterrata collegata pure a Terceretoli e alla Foce della Gattara.
Oggi tutto è tornato agli albori, si resta in basso, sempre inseriti nel solco dell’Osca, sulle tracce della chimerica Provinciale 23, prosecuzione della carreggiata di collegamento con Parana fortunatamente mai realizzata su asfalto nonostante più volte politicamente promessa, o meglio, fantasticata.

L’imbocco è esattamente sulla sinistra dello slargo dove fa manovra l’autobus di linea (a destra si diparte via Adolfo Rossi), una pista in cui si mescolano erba e sassi (foto 7) che procede a mezzacosta in direzione nordovest e che resta un centinaio di metri al disopra dell’alveo dell’Osca. Circondati da erica arborea e castagni, si osservano per l’ultima volta sull’opposto versante i borghi di Pera, Ortigaro e Camporella, quindi, in un contesto decisamente appartato e inalterato, si prosegue quasi in falsopiano senza particolari variazioni di rilievo.

Se da una parte la stradina resta sempre chiusa dalla ripida scarpata boscosa che digrada dal versante sud del Monte Zucoletto, dall’altra invece, a monte del solco vallivo, si apprezzano le alture del Monte Borra Grande, del Cornoviglio e a chiudere del Colle Carme del Duca. (foto 8)

Con l’avvento della ginestra s’intuisce che la zona è una vera e propria patria del cinghiale, qui assai popoloso e non difficile da scorgere se si ha la premura di restare in silenzio tenendo un passo felpato.

Fino al 2020, superato un primo valloncello, in pochi minuti si raggiungeva un punto critico generato da una frana (foto 9) che, con la dovuta precauzione, la si vinceva facilmente. Poi, scavalcato il vicino Canale di Nasso (m. 542), più che altro a carattere stagionale, ci si muoveva su una traccia che da tempo aveva cancellato i confini della vecchia provinciale, questo finché non si raggiungeva il guado di un terzo valloncello alle pendici occidentali de La Colletta, dove finalmente la pista tornava ad essere visibile e ammantata d’erba.

Successivamente però l’impercettibile salita ci accompagnava all’ombra del castagno prima verso un secondo tratto dirupato, nei cui pressi scorreva l’ennesimo affluente di sinistra dell’Osca, e dopo a un terzo e ultimo cedimento oltre il quale la strada riacquistava definitivamente il suo aspetto originale. (foto 10)

Oggi non è più così, infatti, grazie a un finanziamento europeo a fondo perduto, questa importante arteria con funzione d’antincendio boschivo è stata interamente riqualificata e soprattutto rinforzata laddove moti franosi e smottamenti ne compromettevano il transito. (foto A) (foto B)

Ancora castagni, ginestre, erica, querce e noccioli, essenze rigogliose che improvvisamente s’interrompono per lasciar spazio ad aree scoperte che mettono a nudo tutto il fascino dell’alta Valle dell’Osca. (foto 11)

Ora tutto è differente, bellissime piane erbose accolgono i primi stabili dei Castiglioni; un ultimo rettilineo (foto 11b) e più avanti, a destra, all’altezza della cosiddetta Malga Oscar, se ne va una stradina che potrebbe valere come alternativa al nostro percorso: tanto anch’essa conduce in paese.
Presto si confluisce sulla strada di collegamento tra Parana e il comune di Calice al Cornoviglio, interpoderale (più sopra diverrà sterrata) che come un cippo ricorda fu ideata e fortemente voluta dall’ex senatore Agostino Bronzi, primo sindaco di La Spezia dopo la Liberazione (area di sosta nei pressi). (foto 12)

Si va a destra, verso l’abitato di Parana (m. 685), (foto 13, foto 14, foto 15) che si raggiunge uscendo ancora a destra dalla strada principale, magari senza rinunciare alla cortesia e simpatia dei presenti al Circolo Arci Il Cavanon, unico battito del cuore sociale del borgo, dove è possibile fare spuntini e bere un buon vino bianco.

Se non è isolato, poco ci manca. Parana, toponimo derivato dal dialetto “paro”, ovvero terreno pianeggiante, ha sofferto parecchio con l’alluvione del 2011, quando per ben quattro anni l’unica via di comunicazione col mondo esterno si traduceva nell’improbabile comunale-carrareccia di via Crocetta e Madonna del Monte. La tenacia dei suoi abitanti però (non più di una ventina) è stata il cardine della sopravvivenza e oggi, nonostante rimangano le incertezze sulla stabilità della rotabile che dal borgo cala al Ponte San Giuseppe, tutto è tornato alla normalità, in un recinto silenzioso.
Terra natìa del celebre editore Emanuele Maucci, Cavaliere del lavoro d’Italia nel mondo, emigrato in Argentina poco dopo la metà del XIX secolo per fare l’ambulante di libri fino a divenire nel tempo imprenditore di successo nella stessa Argentina, in Messico e in Spagna, Parana si circonda di castagni e appezzamenti prativi, questi ultimi importanti risorse per chi ancora oggi alleva pecore e produce formaggi.
All’interno del borgo, di tanto in tanto si scorgono fissate alle pareti in sasso lastre d’arenaria in cui sono incise brevi frasi filosofiche firmate dal poeta locale Ferruccio Bardotti, figura importante della letteratura lunigianese e spezzina scomparso nel gennaio 2012.
Non solo ambulanti librai, un tempo a Parana la vita era improntata sulla pastorizia, sulla lavorazione e vendita delle pietre, sulla coltivazione della terra e l’allevamento del bestiame, in particolare pecore e capre; chi aveva i maiali era considerato benestante.
A monte del paese, di fronte a Ca Sovrana, in Piazza Don Luigi, è ubicata l’imponente chiesa intitolata a Santa Maria della Neve, (foto 16) annunciata da un breve viale alberato che ne impedisce la piena visuale. Essa risale probabilmente al XVI secolo, periodo in cui passò dalla giurisdizione di Montereggio a quella di Mulazzo. Realizzata in pietra e rivestita d’intonaco, si presenta con copertura a capanna e ad aula unica voltata. La facciata è tripartita da alte lesene, con al centro il portale affiancato da due nicchie oblunghe e dominato da un grosso rosone. Il cornicione superiore, chiuso a timpano, mostra ai lati due cuspidi che, come altre due lesene al centro inframezzate da una voluta, proseguono in asse il modello sottostante.

Una volta in Piazza Emanuele Maucci, s’imbocca a lato nel numero civico 5 il vicolo che sottopassa una serie di arcate tra le case sistemate più ad ovest del borgo. Con un breve passaggio fra orticelli, si confluisce su una stradina secondaria che velocemente cala fra radure fino a ritrovare la Provinciale 32, in bella vista di Montereggio che appare di fronte. Camminando fra nuove radure recintate, si scavalca su strada un corso d’acqua, quindi, per bosco, s’arriva all’altezza d’un castagno secolare spalleggiato da un’isolata conifera, punto in cui originariamente il Trekking Lunigiana fino al 2018 piegava a sinistra per andare verso il complesso de La Costa, sorto sui ruderi di una stalla. Oggi l’itinerario prosegue restando sulla Provinciale 32, uscendo allo scoperto nei pressi dell’elegante Villa Libraio, sentinellata da alti pioppi, (foto 17) conosciuta pure col toponimo di Casa Tobia, vecchio proprietario prima di una lunga serie di trasferimenti che la portarono pure in mano a inglesi, in particolare a un certo Geoff Moy, deceduto nel febbraio 2021.

In curva, si volta a destra (indicazioni La Piana e La Perticata), su una sterrata che però dopo pochi metri va abbandonata per scendere a sinistra una via erbosa collegata al minuscolo abitato di Casa di Loja (m. 575). (foto 18)

Suddiviso in due borgate che curiosamente occupano opposti lati lungo la rotabile, Casa di Loja si circonda di appezzamenti erbosi e bosco. Ad oggi è più che mai attivo un allevamento di pecore (foto 19, foto 20) nonostante anche qui i residenti non raggiungano le venti unità. Il toponimo pare derivi da un mercenario spagnolo, un certo Lojola, recatosi in questo territorio per appoggiare in battaglia i marchesi di Mulazzo. Al termine del conflitto, anziché essere retribuito in denaro, preferì ricevere in dono un terreno in cui nel tempo vi edificò alcune capanne che presero il nome di Casa di Lojola. La trasformazione del toponimo in Casa di Loja avvenne semplicemente per effetto del dominio dialettale. In loco è presente l’Oratorio dedicato a Santa Maria del Carmine (o del Carmelo), edificio in pietra a vista, in parte intonacato, curiosamente porticato sia su un fianco sia nel retro. La copertura è a padiglione nella parte absidale, mentre il resto è rivestito da tegole marsigliesi. L’interno, ad aula unica, è voltato, decorato e affrescato. Particolare insolito la cella campanaria, sistemata antistante l’ingresso, su colonnina in pietra. Fondata grazie alla volontà di dodici famiglie, un tempo vi si celebravano ben dodici messe (una per famiglia), con dediche alla Madonna del Carmelo, a Santa Rita e alla reliquia di Santa Lucia.

I segnavia ruotano attorno all’oratorio, fino alla campanella, dove proseguono lungo uno stradino interno che confluisce nuovamente sulla Provinciale 32, proprio di fronte al caseggiato inferiore di Casa di Loja. (foto 21) Qui, fino al 2018, il Trekking Lunigiana ufficiale imboccava a sinistra la via che conduce alle case per poi avventurarsi un po’ confusamente su traccia sentieristica fra castagni e piante invasive calando ripidamente verso il letto del Mangiola. Oggi tutto è più comodo, si resta sulla strada a scarsissimo traffico veicolare, ove si compiono alcune svolte, sempre circondati da vegetazione promiscua. Nel momento in cui s’ode rumoreggiare a destra il sottostante Canale di Parana, dopo un ulteriore tratto boschivo s’incontra a sinistra lo sterrato che, oltre a essere lo sbocco del vecchio Trekking Lunigiana, costituisce un punto di partenza del percorso che conduce alla Cascata di Parana, (foto 22) mentre assai più lungamente, conduce fino in località Conchetta, sull’Alta Via dei Monti Liguri, a ovest del Monte Cornoviglio.

Raggiungere la Cascata di Parana non è difficile, ma occorre tenere presente che sentieri veri e propri non ve ne sono, infatti, si cammina unicamente per un chilometro e mezzo nel letto del Canale della Carlina, in un ambiente tipicamente selvaggio, spesso ostacolato da alberi caduti e massi scivolosi. Dopo aver incontrato i resti di un antico mulino, si prosegue ancora per qualche minuto finché in lontananza si evidenzia una sorta di frattura con ripidissime pareti rocciose che formano una barriera semicircolare. È in questo punto che la cascata si manifesta compiendo un doppio salto inframezzato da una vasca abbastanza profonda, ma difficilmente accessibile.

Siamo praticamente al bivio stradale posto nei pressi del Ponte San Giuseppe (m. 458), (foto 23) ricostruito dopo l’alluvione del 2011 per la furia del Torrente Mangiola che spazzò via pure i resti dell’antico ponte che si celavano dietro al viadotto stradale. (foto 24)

Trascurata a destra la strada che conduce a Mulazzo, si attraversa il ponte che guada il Mangiola, (foto 25) originato dagli impluvi dei monti Coppigliolo e Scalocchia, passando così accanto alla cosiddetta Casa Rossa. Pochi metri sulla Provinciale 69 e a un certo punto, sulla destra, si piega su un ripido sentiero a tratti acciottolato che rimonta una costa boscosa. La magra traccia sale in parte tortuosa in un ambiente privilegiato dal castagno (foto 26) e che a un certo punto scopre antiche mura a secco, segno tangibile di un’arcaica antropizzazione del territorio.

Compiute alcune svolte, si passano un’area recintata e una macchietta a conifere, e dove la mulattiera si allarga (località Zeppa) ecco una cappelletta dedicata alla Beata Vergine di Fontanellato. (foto 27)

Incontrata poco più avanti una casa senza strada di servizio, si continua a salire con costanza attraversando la località boschiva di Fratta, oramai in vista del Monte Coppigliolo, alti su scoscendimenti prativi e coltivati. Alla comparsa di una recinzione, ecco le prime belle abitazioni indipendenti di Montereggio, adagiate su terrazzine prative affacciate sulla valletta del Gorgo e dominate dal Monte Colmo. (foto 28)

Gli ultimi metri ci conducono sulla strada principale che accede e muore in paese, in via Luigi Einaudi, proprio nei pressi dell’unica struttura ricettiva del luogo, il Ristorante Albergo La Gerla d’Oro, (foto 29) ampio locale in cui la cucina casalinga resta una priorità e la cortesia non è a pagamento. Fra le sue peculiarità spicca sicuramente il menù del giorno (qui non si va alla carta), semplice ma mai banale e soprattutto ogni volta variabile in tutte le direzioni.

Seguendo in salita la strada, oppure imboccando di fronte l’acciottolata via Tiziano Barbieri Torriani, presto s’arriva nel cuore di Montereggio (m. 643), (foto 30, foto 31) antico borgo che la buona ristrutturazione l’ha sapientemente restituito al suo originale splendore.

Osservando le intitolazioni delle vie, sùbito si capisce il perché Monte Regis (Monte del Re) viene considerato antica patria dei librai. La storia che c’è dietro è alquanto affascinante perché tratta di persone disposte a sacrificare intere stagioni lontani da casa per diffondere la cultura attraverso i libri.
Risale all’epoca rinascimentale il primo singolare caso d’emigrazione verso Milano, in viaggio con lo scopo di andare ad apprendere l’arte dei caratteri mobili. Qualche secolo più tardi invece ecco l’istinto prevalere: da venditori di pietre per affilare le falci, bigiotteria e prodotti agricoli, gli uomini di Montereggio si trasformarono in barattieri, raccogliendo con i loro poveri guadagni avanzi di magazzino, calendari, testi di magia, opuscoli e libri proibiti perché redatti da carbonari che auspicavano la loro massima diffusione. E così prima dell’estate partivano con la gerla piena di libri nella speranza di poterli vendere sia nei territori circostanti la Lunigiana sia nelle città del nord, tornando a casa soltanto all’alba della stagione invernale. Nel corso degli anni il mercato s’estese anche all’estero e i librai, grazie alla fama acquisita, da ambulanti con la gerla divennero bancarellai o addirittura editori. Oggi molti dei loro discendenti posseggono importanti librerie e proprio grazie allo stretto rapporto mantenuto con il paese sono nate diverse manifestazioni tra le quali senz’altro spicca l’annuale Premio Bancarella, la cui prima edizione risale al 1952.
Arroccato sulla sommità di una collina, disteso lungo un asse viario lineare (forse una variante altomedievale dell’Aurelia diretta in Val di Vara attraverso i Casoni) sul quale s’aggrega l’intero tessuto edilizio, Montereggio appartenne per un certo periodo al feudo di Mulazzo, da cui si distaccò per quasi tutto il XVII secolo, per poi tornare a farne parte prima di finire sotto la protezione del Granducato di Toscana.
I quasi quattrocento abitanti di un tempo oggi sono ridotti a una cinquantina, ben lontani dagli scenari quotidiani di una vita spesa a guadagnarsi faticosamente ogni giornata. Campi mangiati dalla vegetazione e antichi tracciati pedonali riconquistati dalla macchia, a Montereggio non c’è più interesse a coltivare la segale, i fagioli e le patate oppure lavorare le castagne per trarne la preziosa farina. Oltre a servire al sostentamento, era merce di scambio con la Val di Vara, dove al Passo dei Casoni i montereggini recuperavano olio e vino; da Mulazzo invece arrivavano pane, pasta, sale e zucchero, derrate che ritiravano una volta alla settimana al Ponte San Giuseppe.     

  • Circolo ARCI Il Cavanon, a Parana di Mulazzo – 346 8571653
  • Albergo Ristorante La Gerla d’Oro, a Montereggio – 0187 839316
  • B&B Ca di Barcola, località Barcola – 342 1295674
  • Locanda Il Rustichello, località Crocetta – 0187 439652

Legenda

Tempo di percorrenza
Lunghezza del percorso
Altitudine minima del percorso
Altitudine massima del percorso
Altitudine tappa di partenza
Altitudine tappa di arrivo

Profilo altimetrico

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