Tappa 09: Rocca Sigillina - Treschietto
Località toccate
Rocca Sigillina – Torrente Caprio – Maestà del Martinello – Vignolo – Casa Nadotti – versante nord Monte Bosta – Passo della Colletta – Canale di Caslonca – Capanna di Beppino – Torrente Fiumenta – Torrente Redivalle – Vico Valle – Montale – Vico Chiesa – Torrente Acquetta – Treschietto Castello – Fenale – Palestro.
La tappa
È una delle tappe meno impegnative del Trekking Lunigiana, ma è anche una fra quelle che più s’avvicinano alla catena appenninica, in particolare al Passo della Colletta, distante circa tre ore dall’aggancio al Monte Aquila. Oltre a segnare il passaggio dal territorio comunale di Filattiera a quello di Bagnone, la tappa offre la possibilità di conoscere da vicino importanti corsi d’acqua, boschi ricchi di fauna selvatica e paesi in parte rigenerati da una maggiore stabilità abitativa rispetto ad altre vallate. Unico neo il finale, un po’ monotono, che costringe l’escursionista a scarpinare per lungo tempo sull’asfalto.
Nella parte bassa di Rocca Sigillina, (foto 1) si segue la carrozzabile verso nord (direzione monte per intenderci), ma una volta superata l’ultima casa, in tinta bianca, ci si diparte a destra su una pista agricola che sùbito presenta alcuni baraccamenti e una maestà. (foto 2) In leggera discesa s’arriva all’antico ponte in muratura posto a scavalcare il Torrente Caprio, le cui acque provengono dai rilievi del Braiola e del Marmagna.
In zona sono presenti due antichi molini ad acqua (Cecconi e Staghezza), ad oggi non più funzionanti, i quali, a seconda della stagione, consentivano l’approvvigionamento di farina di granoturco e farina di castagne appena macinata. Il Molino Staghezza faceva parte di un complesso sistema di opifici che caratterizzava puntualmente tutto il corso del Caprio e nel mentre provvedeva a macinare i cereali e le castagne secche prodotte dalle limitrofe comunità, assolveva anche al compito di regimentare le acque ed eventualmente incanalarle nei fossi d’irrigazione.
Passata un’altra edicola depredata della sua marginetta, si rimonta il castagneto di una modesta altura (una traccia a sinistra consentirebbe una minor fatica) di cui se ne traccia tutto il versante sudoccidentale usufruendo di un magro sentiero che s’inerpica tosto senza pause. Il bosco, riccamente popolato da caprioli e impreziosito da alcuni esemplari secolari di castagno, presenta una serie di tornanti e scalate abbastanza impegnative, con le quali si sudacchia finché non si raggiungono la traccia alternativa a sinistra consigliata per le mountain bike e la oramai vicina Maestà del Martinello (m. 600 circa), (foto 3) al cui interno campeggia un bassorilievo dedicato a Maria Vergine dei Quercioli (1863, Angela ed Eugenio Polleti posero).
Davvero spettacolare la visuale che si ha sia su Rocca Sigillina sia verso la cornice appenninica che si pone in evidenza con il trittico Braiola-Marmagna-Aquila. (foto 4)
Con un cammino comodo e pianeggiante, si esce dal bosco e attraverso i terrazzamenti coltivati de La Pila, s’arriva a Vignolo di Lusignana (m. 544), (foto 5) (foto 5bis) ultimo insediamento che s’incontra appartenente al comune di Filattiera.
Vignolo (anticamente Vineola), assieme al piccolo borgo di Posponte, fa parte del casale di Lusignana, ex dominio del marchese Spinetta Malaspina prima di concedersi alla Repubblica Fiorentina (XV secolo). Nel 1845 passò dalla giurisdizione di Bagnone a quella di Filattiera. Dall’aspetto tipicamente rurale, Vignolo dai quasi duecento abitanti registrati nel XVIII secolo è passato oggi a meno di venti residenti. All’interno del borgo sono presenti numerose fontanelle e manufatti architettonici in arenaria.
Si continua restando a monte dell’abitato, poi, superata una fonte, al numero civico 16 ci si sofferma ad osservare un interessante portale datato 1806. Altri portali, bassorilievi e volti (foto 6) accompagnano verso una seconda fontanella con vasca, quindi, alla presenza di una doppia arcata, si sottopassa quella a sinistra per finire sulla carreggiata che sale da Gigliana. Si prosegue in salita sull’asfalto finché quest’ultimo non cede il posto a uno sterrato che, tagliando ampi pascoli, lascia a sinistra una bretella del TL oggi divenuta malagevole perché per buona parte infastidita dai rovi (è possibile però bordare la recinzione all’interno dell’ampio campo prativo seguendone la perimetrale fino a ritrovare la sterrata). Restando invece sulla strada a fondo naturale ci s’avvicina all’isolata e da poco ristrutturata Casa Nadotti (m. 598) (foto 7) e con attenzione a non sbagliare, a un successivo incrocio si piega tosto a sinistra (a diritto la sterrata si porta verso Biglio), a fiancheggiare una vasta area pascoliva splendidamente coronata dalle imponenti e ardite pareti appenniniche. (foto 8)
Agli occhi dell’escursionista, ancora fagocitato nella recente immagine di un paesaggio collinare e agreste, costituito da castagneti, terrazzamenti e declivi, si apre improvvisamente un panorama quasi alpino, connotato da ampie praterie contrapposte a boschetti di cerri e faggi, e più su, dalle rocce dei massicci appenninici che in inverno spesso sono ricoperti dalla neve.
Raggiunto un secondo crocevia, si va a destra (a sinistra col 124A si salirebbe verso il Monte Castello, dove sono ancora visibili i resti di una fortificazione bizantina con il basamento di una torre, avanzi di murature appartenenti a una caserma e un centinaio di metri di cinta muraria), ma facendo molta attenzione a non proseguire a lungo sulla pista, dopo pochissimi metri si rimonta sulla destra un affioramento roccioso che introduce al bosco (sentiero 124).
Fra cerri, noccioli e liane, (foto 9) si comincia a percorrere il versante settentrionale del Monte Bosta arrivando ad incontrare in leggera pendenza un trasandato abbeveratoio. Questa non faticosa, ma lunga salita, concede attraverso i suoi silenzi finestre importanti verso l’Appennino, ma anche l’opportunità di magici incontri con caprioli e, più raramente, daini. (foto 10)
Trascurato il sentiero per mountain bike a sinistra conosciuto localmente come “Il percorso del vecchio Henry”, si superano un tratto eroso e il rudere di una capanna, quindi, nuovamente in costante salita nel bosco, (foto 11) sempre fra cerri, carpini, noccioli, faggi e fioriture di bucaneve, si sbuca appena sotto la cima del Monte Bosta al Passo della Colletta (m. 828), sulla depressione che digrada a sud dal Bosta e a nord dal Portone, al confine comunale di Bagnone. Qui, adagiati sul manto prativo, si trovano un abbeveratoio fornito di freschissima fonte (purtroppo non sempre funzionante) (foto 12), una cappelletta al cui interno è conservato un bassorilievo dedicato alla Beata Vergine, donato dalla famiglia Sarti nel 1921 (foto 13) e la pista sterrata che sale da Biglio. Inoltre, di recente, il CAI di Filattiera ha realizzato un’area di sosta con panche e tavolino al coperto dotata di pronto soccorso e addirittura una presa USB alimentata da pannello solare.
Il Trekking Lunigiana ora s’impegnerà su un tratto un po’ complesso, spesso tormentato da smottamenti e piante invasive e per questo necessita di continuo monitoraggio. Con pazienza si ricerca l’imbocco a sinistra in corrispondenza dell’itinerario 124 che con rotta a nord conduce al Passo del Monte Aquila (via Portone e Bivacco I Porcili), facendo però attenzione a piegare sùbito tosto a destra in corrispondenza di una scarpata fra le piante invasive (attenzione perché nei pressi c’è un’altra traccia molto più evidente, ma da evitare).
Scomodamente e su traccia esplicitamente erosa, (foto 14) occorre ricercare i punti d’appoggio migliori onde evitare traumi alle caviglie e alle ginocchia. Questo è il solco del Canale di Caslonca, il quale resta a nostro svantaggio almeno finché, con un ultimo attraversamento di un’area soggetta a disboscamento, lo si abbandona per confluire spostati a destra su una larga mulattiera recentemente aperta dalle ruspe.
La ripidissima discesa alla fine conduce dapprima alla sede del rudere della Capanna di Beppino (m. 682), il cui toponimo pare derivi da un contadino residente a Valle, e successivamente alla biforcazione attraversata dal Torrente Fiumenta, dove si va a sinistra, per far ingresso in un bosco ricco di castagni ultrasecolari che ospita altre antiche capanne (foto 15) in cui, ancora nella seconda metà del XX secolo, avveniva il rituale della raccolta, essiccazione e macinatura delle castagne (possibile l’incontro col capriolo).
Qui la vecchia segnaletica si confonde con la nuova generando un po’ di confusione, in ogni caso, è meglio seguire la carraia d’accesso, (foto 16) con la quale si perviene a una comoda e più ampia sterrata da seguire in discesa. Sempre fra i castagni e qualche cespuglio d’erica arborea, si continua a digradare il versante meridionale del Monte Fagiano arrivando presto al guado d’un rio. A questo punto si pianeggia incontrando altri ruderi, ma una volta ben alti sulla gola del Fiumenta, si riprende a perdere quota, aumentando d’intensità a più riprese. (foto 17)
Notata sul lato sinistro una capanna (assai probabile l’incontro con il capriolo), si cala velocemente fino ad incontrare il bivio con l’itinerario 122 bis che, a sinistra, lungo la via di Panigale, sale verso il Monte delle Ciliegie e il Monte Curtiglia.
Pochissimi metri più avanti, sempre a sinistra, si trascura l’itinerario contrassegnato 122, il quale, restando a lungo parallelo al Torrente Redivalle, sale verso il Monte Dongo, a sud del Monte Aquila.
Qui si lascia la sterrata per imboccare a diritto un sentiero selciato, inizialmente chiuso ai lati da macigni, che, passata una capanna, cala fra erica arborea e castagni (foto 18) fino a ritrovare qualche metro più sotto la pista abbandonata al bivio col sentiero 122.
Attraversata la strada, si scende di fronte con una traccia che conduce velocemente al pontetto inferiore sul Torrente Redivalle, (foto 19) prossimo alla confluenza con il Fiumenta.
Nei pressi si notano i resti di un mulino, ma ciò che maggiormente colpiscono sono gli estesi lastroni d’arenaria, levigati dal corso d’acqua, che conferiscono al luogo una tale caratteristica da renderlo assai invitante come punto di sosta nei periodi estivi. (foto 20, foto 21)
Dal pontetto, si prosegue pianeggiando su traccia erbosa e con un successivo strappetto in salita, ci si ricollega alla pista sterrata con la quale, dopo uno slargo, si tagliano pascoli (c’è una maestà), orti e frutteti.
Nel punto in cui la stradina diviene asfaltata, si attraversa il bel caseggiato di Vico Valle (m. 446), (foto 22) toponimo sicuramente estrapolato dal dialetto locale che in tempi remoti indicava il luogo come “an vala”, cioè valle, zona bassa e pianeggiante.
Poco più avanti, dopo una fonte e lo scavalcamento di un rio che nasce dal Montino, si passa alle pendici della minuscola borgata di Montale (m. 453), (foto 23) stretta e arroccata su un poggio in parte coltivato.
Continuando lungo la strada, si osservano coltivi, boschi, altri affluenti del Redivalle e ripiani erbosi, poi, alle prime case di Vico Chiesa (m. 404), dove c’è un vigneto e in alto a sinistra si estende il borgo di Canneto, si devia a destra su una via cementata che fra ripiani e orticelli punta in direzione del campanile della chiesa dedicata a Santa Maria Assunta.
Il borgo di Vico Chiesa (foto) è quasi completamente riattato, ma ha comunque perfettamente mantenuto il suo stile omogeneo strutturato in pietra viva. Lungo le murate è possibile scorgere le vecchie sporgenze in sasso che un tempo servivano come sostegno di paletti sui quali si disponevano artigianalmente altri manufatti utili a sorreggere delle ringhiere.
Vico nella storia ricorda nel 1351 la prima sede dei marchesi Malaspina di Treschietto, con Giovanni detto Berretta, figlio di Niccolò del ramo di Filattiera. Particolari furono gli “ordinamenti di Vico”, eseguiti da rappresentanti locali che senza il loro parere positivo impedivano ai marchesi Malaspina qualsiasi imposizione tributaria. Il toponimo (in dialetto Vik) proviene dal latino Vicus, cioè villaggio.
La chiesa, del XIII secolo, si presenta con un grande volume coperto a capanna e facciata in stile neoclassico, marcata da due lesene per ogni lato, sormontate da capitelli dal frontone spezzato per lasciar posto ad un finestrino rettangolare. Il portone d’ingresso è ottocentesco, corniciato da un portale in arenaria in cui capeggia una nicchia con all’interno una statuetta della Madonna. L’interno, ad aula unica, conserva quattro altari, due confessionali, coro e fonte battesimale.
Lungo la strada che collega Vico a Fenale di Treschietto va segnalata la presenza dell’azienda Sergio Malatesta, una delle perle del territorio bagnonese dedita alla produzione di farina di castagne e conserve con prodotti del territorio, come la Cipolla di Treschietto, preparata in tre versioni, ossia agrodolce, grigliata e sott’olio; confetture di frutta e sottobosco, come pesche, albicocche, susine, fragole, mirtilli, more, lamponi e fichi; zucchine e peperoni dolci sott’olio; peperoncini rotondi ripieni con tonno, acciuga e capperi; senza dimenticare il Morello della Val di Cornia, un carciofo pregiato lavorato fresco e sott’olio. All’interno dell’azienda è possibile degustare e acquistare questi e altri prodotti grazie alla presenza di un accogliente punto vendita.
Entrando nella viuzza che passa fra le case, si trascurano varie diramazioni laterali, quindi, oltrepassato il sagrato della chiesa, si sbuca sulla Provinciale 67, all’altezza di un cippo commemorativo dedicato ai Caduti di guerra. (foto 24)
Sull’asfalto, in discesa, si percorrono non più di una ventina di metri, quando a sinistra si devia sulla stradina che conduce al cimitero. Camminando sul fianco destro di quest’ultimo (ad oggi c’è un cartello con scritto “seniero chiuso”, ma in realtà si passa), su terreno erboso s’attraversa un castagneto macchiato da radure (foto 25) e una volta giunti alla destra di una robusta cinta a secco (siamo in una sorta di alveare costituito da pianelle utilizzate per la raccolta delle castagne), ci si porta fino ad un’estremità a destra (ad oggi sono presenti delle arnie), dove per sentiero s’inizia a scendere verso la valletta dell’Acquetta.
Fra erica arborea e faggi, si cala velocemente alla piana boscata (dove le piante si fanno invasive tenere la destra) a ridosso del letto del Torrente Acquetta, (foto 26) il cui guado è facilitato dalla posa di alcuni massi. Il torrente Acquetta trae le sue origini dal Monte Brusà, con l’unione del Fosso dei Lombardi a quello del Fracassaro che, più in basso, vengono ulteriormente alimentati dai fossi di Tremanati, Campoli, di Canal, d’Attori, del Prato e Navozola, formando bellissimi salti (uno addirittura superiore ai 22 metri) come quelli disposti fra i 600 e i 900 metri di quota. (foto 27) In inverno e in occasione di abbondanti piogge il guado potrebbe risultare complesso, da affrontare obbligatoriamente a piedi nudi facendo fronte alle gelide acque.
Sulla sponda opposta, si risale faticosamente la costa erbosa di un rilievo alberato a cerro, poi, evitato a destra un sentiero ingannevole che procede lungo un controcrinale, si piega a sinistra per salire al fianco di pianelle coltivate ad ulivo. Lasciata una seconda diramazione a destra che introduce nell’uliveto, si fiancheggia un costone roccioso tormentato da frane, ov’è necessario prestare molta attenzione soprattutto in un punto particolarmente esposto e stretto che precipita per un centinaio di metri verso il fondovalle (questa la motivazione del cartello con scritto “sentiero chiuso”).
Al termine della diagonale, si sbuca in quel di Castello di Treschietto (m. 458), sùbito accolti da una maestà, incastonata in una nicchia ricavata da un tronco d’albero, raffigurante la Madonna.
A Castello, si piega sùbito a destra, sul selciato, e al civico 16, si volta a sinistra (a destra è invece possibile avvicinarsi ai ruderi del Castello di Treschietto), per passare al disotto di un archetto.
Questa località fa parte di cinque nuclei ben distinti di Treschietto, ossia Castello, Fenale, Querceto, Palestro e Valle. Inaccessibile fino al 1950, quand’era ancora collegato soltanto da mulattiere, fu dominio dei marchesi Malaspina dello Spino Fiorito di Filattiera finché, dal 1351, toccò per eredità a Giovanni Malaspina detto il Berretta che fece costruire il castello utilizzandolo come sua residenza principale. Alla fine del XVII secolo il marchese Ferdinando, l’ultimo della dinastia, lo cedette al granduca Cosimo III, quindi, passò al principe Corsini di Firenze, per essere poi occupato dai francesi nel 1800. Unito agli Stati Estensi della Lunigiana, venne successivamente aggregato al Comune di Bagnone. In dialetto Tras’cé (in un documento antico del 1355 è citato Treschietum), origina il toponimo dal latino Transjectus, probabilmente per la notevole importanza di passaggio avuta nel passato in funzione alla propria posizione collocata tra corsi d’acqua e valloncelli invalicabili. I ruderi del castello sono costituiti da ciò che resta della cinta muraria di forma quadrilatera e della slanciata torre circolare così ridotta da un fulmine, ma un tempo coronata da merlature e apparato difensivo a sporgere retto da beccatelli, dei quali restano alcune tracce.
Gli edifici interni sono stati ricoperti dai crolli delle strutture difensive e ne restano poche tracce, così come della cappella castrense della quale è identificabile oramai solo l’abside.
Purtroppo ad oggi l’incuria del sito, in parte invaso dalla vegetazione, espone le rovine a rischi di ulteriori collassi strutturali. (foto 28)
Sul posto ci vengono segnalate un paio di leggende legate al castello: una racconta che nei sotterranei vi sia stato nascosto un vitellino d’oro, ricercato da tanti al punto d’arrivare a distruggere le parti migliori del castello e, ovviamente, mai trovato; l’altra, assai più crudele, riguarda il marchese Giovan Gasparro Malaspina, soprannominato dalla gente dell’epoca “il mostro”, che dal 1616 vessò i suoi sudditi con ogni sorta di brutalità coprendosi di turpitudini sino al 1678, quando all’età di sessantadue anni, con grande sollievo della popolazione, finalmente morì. Uno dei passatempi crudeli del Gasparro consisteva nell’animare le serate dando vita ad orge che in certi casi si concludevano con il sacrificio delle giovani vergini prescelte. Si dice che queste anime pure, che mai conobbero un modo diverso d’incontrare un uomo, vaghino ancora oggi tra i ruderi del castello lamentandosi delle inaudite violenze inflitte loro dall’immondo signorotto.
Lungo questo tratto si osservano un bel portale con stemma del XVIII secolo, (foto 29) una fonte e una caratteristica lunga arcata aerata lateralmente da quattro finestroni voltati. (foto 30, foto 31) Più avanti, dopo un’apertura su coltivi, si fa ingresso nella borgata di Fenale di Treschietto (m. 443), (foto 32, foto 33) un centinaio di residenti, sùbito in piazza Don Antonio Ricchetti, parroco di Treschietto dal 1922 al 1972, dove si trovano una fonte riparata all’interno di una nicchia ornata da un portale del 1682, una lapide posta alla memoria dei Caduti di guerra e la bella chiesa dedicata a San Giovanni Battista risalente al XVI secolo. (foto 34)
Il toponimo Fenale deriva da Finalis, inteso come limite del paese. Particolare rilevanza di questa frazione è senz’altro la storica fiera dedicata alla cipolla di Treschietto, prodotto tipico del luogo esaltato da tale manifestazione l’ultimo fine settimana del mese di maggio. La cipolla di Treschietto (foto 35) è un ortaggio piccolo, tondo e dal sapore dolciastro ottimo anche crudo, in pinzimonio o come ingrediente di piatti particolari tra i quali la Barbotta e la torta di cipolle cotta al forno. Matrice di sé stessa, la pianta nasce e si sviluppa in semenzaio, trapiantata dopo la preparazione del terreno concimato a letame. Viene poi raccolta manualmente e confezionata in reste o cassette.
La chiesa, frutto dell’ampiamento di un preesistente oratorio dedicato ai santi Rocco e Caterina, è costituita da un’unica navata con cappelle laterali ricavate nello spessore della muratura. La facciata a capanna è ingentilita da un ordine architettonico composto da due paraste alle estremità che sostengono la trabeazione. Perpendicolari al frontone sono un piccolo rosone, una seconda trabeazione, con nicchia e statuetta, e il portale in pietra. L’interno è uniforme, con coro e presbiterio assai luminosi, al contrario dell’aula che, priva di finestre, appare piuttosto buia; interessanti le lunette decorate da affreschi.
Dopo il civico 27 (portale del 1656), ci s’immette sulla strada d’accesso, da seguire fra i coltivi fino alla non lontana confluenza con la carrozzabile diretta a Vico, dove nei pressi si stacca a sinistra via delle Querce, mentre più avanti, a destra, si diparte via della Costa.
In discesa, s’arriva velocemente, passando alti sui coltivi, all’abitato di Palestro (m. 461), (foto 36) borgo arroccato su sé stesso alla sommità d’un poggio.
Localmente è nominato Palèstar, ma le origini del suo toponimo riconducono ai termini Palestris, Palensis e Palam, nel senso di “allo scoperto”, terra libera da boscaglie, zona aperta. Vista la disintegrazione urbana di Treschietto, da tempo memorabile è attribuita ai suoi abitanti la nomea di topi, a sottolineare il fatto che in passato, nonostante il visitatore potesse muoversi in tutta libertà attraverso il borgo, risultava assai arduo riuscire ad incontrare qualcuno per strada o per i campi, un po’ come a dire che tutti gli autoctoni avevano l’abitudine di rintanarsi in casa come topi. Questa vulgata viaggiava in contrapposizione alle nomee dei rivali paesi limitrofi di Iera e Compione di cui più avanti parleremo.
La tappa si chiude ufficialmente all’imminente bivio stradale a destra per Bagnone, in corrispondenza pure dell’ex edificio scolastico di Treschietto, oggi trasformato in ostello (La Stele), (foto 37) in stile moderno, forte nelle potenzialità di far conoscere ai turisti sapori e tradizioni della Lunigiana. Dotato di numerose camere, offre la possibilità di operare in autogestione oppure usufruire del servizio di pensione parziale o completa.
Altra possibilità di vitto e alloggio di valido spessore si trova una trentina di minuti più avanti, lungo la tappa successiva, in località Iera. La Nuova Jera è una struttura alberghiera dotata di sette camere, un servizio di ristoro tipico e rinomato, con in primis le mezzelune di torrente, le bistecchine d’agnello a scottadito, il pecorino del pastore al sapore di miele e la crostata di castagne. Molto interessante l’angolo dedicato ai prodotti della Lunigiana, dov’è possibile acquistare formaggi, salumi, vini, dolci, farina di castagne, funghi e miele.
- Ostello La Stele, a Treschietto di Bagnone – 3318866241
- B&B Uvafragola, a Corlaga di Bagnone – 3428856484
- La Nuova Jera, a Iera di Bagnone – 0187 428161
- La Cascina dei Chicchi, a Leugio di Bagnone – 3356179019
- Foresteria Gutula, a Bagnone – 3487656490
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