Tappa 10: Treschietto - Tavernelle

4h:00m
9,4 km
416 mslm
871 mslm
435 mslm
416 mslm
Tempo di percorrenza: 4h:00m
Lunghezza percorso: 9,4 km
Altitudine minima: 416 mslm
Altitudine massima: 871 mslm
Altitudine partenza: 435 mslm
Altitudine arrivo: 416 mslm

Località toccate

Treschietto – Torrente Tanagorda – Canale di San Biagio – Sommovalle – Iera – Torrente Bagnone – La Maestà – Rio di Ori – Compione – Sella del Monte di Santa Maria – Torrente Bagnolecchia – La Cubia – Foce del Monte Colla – Canale di Gauta – Apella – Agriturismo Montagna Verde – Taponecco – Canale di Gauta – Tavernelle.

La tappa

Una delle tappe meno faticose dell’intero circuito, la quale, oltre all’attraversamento di bei castagneti, consente di avvicinarsi a piccole borgate tra le più interessanti del versante sinistro orografico della Lunigiana, in particolare Iera, Apella e Taponecco, un viaggio tra fascino e storie d’altri tempi.

Riprendendo dal bivio stradale per Bagnone, si prosegue in direzione sudest passando fra la proprietà Giovannini e l’Ostello La Stele. Trascurata a sinistra la via per il cimitero, tra l’altro punto d’inizio dell’itinerario 118 diretto in quattro ore circa al Passo di Badignana, ci si accorge grazie alla presenza d’una targa marmorea, d’essere sul sito in cui il 7 luglio 1969, durante i lavori di allargamento della strada, fu rinvenuta a una profondità di un metro e mezzo circa una statua stele acefala, di tipo femminile. (foto 1)

Alta m. 1,30 e larga 39 cm., è nota oggi con il nome di “Venere di Pietra”. Questa scultura in arenaria reca frontalmente un monile a voliera formato da anelli a bande parallele sullo stile degli amuleti metallici in uso nella prima fase dell’Età del bronzo.

Fino alla fine degli anni novanta, il Trekking Lunigiana proseguiva il suo tragitto scendendo per qualche minuto lungo la carrozzabile per Bagnone, deviando poi a sinistra in corrispondenza del ponte sul Torrente Bagnone, dove con un bel tracciato risaliva il valloncello in senso antiorografico fino a Iera.
Oggi, a causa di alcune problematiche legate a infrascamenti, smottamenti e frane, l’itinerario è costretto a seguire la carrozzabile per Compione per circa due chilometri, nel corso dei quali si scavalca il Torrente Tanagorda, s’incontra una maestà con bassorilievo raffigurante Sant’Antonio (c’è pure una targa che ricorda un certo Antonio Donati, morto a ventiquattro anni nel 1930), si supera il Canale di San Biagio, si scorge in basso un curioso ponte di legno e, alle pendici meridionali de La Fosa, si supera un altro rio, dove ci si apre a monte di abbondanti pascoli che si estendono a lato di un lungo rettilineo.

Dopo aver camminato per almeno una trentina minuti, si lascia a sinistra la via che conduce al camposanto, quindi, ai primi edifici di Sommovalle (m. 503), ci si avvicina a una maestà del 1956 dedicata alla Madonna, dove nei pressi si nota una croce posta a ricordo delle sacre missioni predicate dai cappuccini nel 1935. Superati i vecchi lavatoi, è possibile alla prima casa a destra (civico 8) discendere uno stretto vicolo che consente di conoscere più a fondo il piccolo borgo di Sommovalle, (foto 2) un passaggio che fino a pochi anni fa era parte del Trekking Lunigiana, anch’esso successivamente dirottato su strada per problemi di stabilità soprattutto una volta toccato il fondovalle inciso dal Torrente Bagnone. (foto 3)

Restando dunque in strada, in pochi istanti si perviene al bivio a sinistra (tra l’altro corrispondente all’inizio dell’itinerario 116 diretto al Passo Compione) che consente di far ingresso nel bellissimo borgo di Iera (m. 515), (foto 4) deviazione che consigliamo d’intraprendere purché al termine del caseggiato si abbia l’accortezza di ridiscendere in strada.

Antico feudo di Treschietto (dal 1350 al 1750), Iera è adagiato sulle terrazzate pendici sudest de La Fosa. Davvero impressionanti le alterazioni toponomastiche subite nei secoli, infatti, alcuni testi la citano Hera (1296), Heri (1298), Era (1355), Jära, Giarón, Gianda, anche se, in definitiva, le radici andrebbero soltanto individuate fra tre distinti ordini: quello territoriale, quello religioso e quello leggendario. Il primo lo farebbe risalire al latino glarea (ghiaia), parola poi storpiata e rimodellata ad uso e consumo autoctono, ad indicare un luogo ricco di sedimenti; il secondo lo farebbe derivare dal latino ieraticum, richiamando la presenza di un antico monastero di cui però non v’è certezza; il terzo, quello leggendario, lo collegherebbe alla lettera dell’alfabeto runico “jera” o “jara”, simboleggiante il cambiamento ciclico della vita, segno propizio di raccolta delle messi, dopo la faticosa semina, nel rispetto della naturalità delle cose per cui esiste un tempo per ogni cosa e dopo un tempo ne viene un altro. La vita della montagna con le sue insidie e i suoi ostacoli rappresenterebbe la trasposizione e insieme l’icona della normale evoluzione di tutte le cose di questo mondo. In Iera in pratica si delineerebbe il luogo mistico della difficoltà e dell’armoniosità dell’esistenza, quintessenza del significato del vivere terreno, nel suo bene e nel suo male.
Il borgo si caratterizza per la presenza di quattro distinte contrade: Cordelana, Sommocanale (distinto a sua volta in “Smarcanal dad’ki e dad’là”), Borgo e Sommovalle. Talune parti di queste contrade assumono poi dei nomi caratteristici come la Scodikiara, la Manghinela, i Sassi, Sgropal e la Montada. Perlopiù ristrutturato, Iera conta oramai pochissimi abitanti (una cinquantina circa), fatto dovuto alla forte emigrazione avvenuta a metà del XX secolo.
Curiosando fra viottoli, cunicoli e volte (interessanti i tetti d’ardesia rimasti), s’arriva prima o poi alla chiesa dedicata a San Matteo, ricordata nelle decime bonificiane del 1296 e poi ricostruita con facciata neoclassica nel 1652, come testimonia una lapide posta sul portale. In paese si trova anche un antico edificio marchionale, sulla cui facciata sono murate lapidi in arenaria con scritte indecifrabili. È inoltre presente un’antica muraglia, forse un vecchio acquedotto romano, allineato con i vecchi mulini, azionati dall’acqua del Torrente Bagnone. Infine, la cappella di San Biagio, cui la tradizione vuole che nel corso delle notti invernali si odano i lamenti dei sacrificati. Infatti, i paesani raccontano che in epoca medievale un marchese malaspiniano costringeva a ballare nude fino all’alba le giovani più belle del contado, uccidendo i genitori che intendevano salvarle gettandoli in una macabra fossa già piena di scheletri.
Ricordando i “topi” di Treschietto, gli ieresi si contrapponevano con la nomea di “gatti”, ad indicare il carattere sornione di questa popolazione.
Come già accennato nella tappa precedente, in paese è presente il Ristorante Albergo “La Nuova Jera”, dov’è possibile gustare la tipica cucina locale anche se la tradizione la vuole fatta d’ingredienti poveri, esaltati da dosi mirabilmente proporzionate dalla combinazione di odori e sapori, dalla fusione armonica e dalla confezione finale con farina, formaggio e olio di produzione locale.

Riprendendo la descrizione dal bivio con l’itinerario 116, si continua su asfalto ancora per pochi metri, finché sulla destra, dove si scorge una fontana, si devia in direzione d’un pontetto in sasso, alto sul Torrente Bagnone, oltre il quale, dopo averne osservato la vivacità delle sue acque ricche di trote e anguille, nonché gli antichi edifici sorretti su arcate, (foto 5) si piega a sinistra su una magra traccia che, fra sedimenti rocciosi, faggi, erica arborea e castagni giunge su un bel ciglio panoramico rivolto verso Iera.

Qui, con attenzione, occorre tenersi un po’ a sinistra, su una traccia che potrebbe essere infastidita dalla vegetazione, la quale rimonta diagonalmente la costa fino a sbucare sulla carrozzabile per Compione.
La si attraversa per imboccare di fronte un tracciato confuso, difficilmente decifrabile (seguire attentamente la segnaletica), ma che in sostanza spara verticalmente spendendo fatica finché non ritrova per la seconda volta la strada per Compione.
La si segue a sinistra, passando nei pressi di un’area privata recintata, circondati da castagni che costituiscono il rivestimento primario di questo versante. (foto 6) In leggerissima salita, ci si allunga finché non s’incontra una maestà (guarda caso questa località boschiva si chiama proprio La Maestà), dove si devia a destra su un esile viottolo che, sempre fra erica arborea e castagni, va a tagliare uno scoscendimento in parte prativo di bell’effetto. (foto 7) Questo piacevole tratto pianeggiante, vera e propria custodia d’esemplari di castagno ultracentenari nonché patria della fauna avicola, conduce al facile guado del Rio di Ori, (foto 8) tributario del Torrente Bagnolecchia che scorre trasversalmente qualche metro più in basso.

Con una breve salita per nulla faticosa, che sul finire si presenta incassata fra cinte a secco (tenersi a sinistra ad una biforcazione), si raggiungono le case di Compione (m. 693), (foto 9) anche se, a dire il vero, è decisamente più interessante, una volta al bivio prima citato, tenersi a destra per sottopassare un’arcata e poi salire fra le case camminando così nel cuore del borgo.

Costituito da un esiguo numero di case, Compione è per estensione il borgo più piccolo del territorio bagnonese, un tempo assai attivo nell’esercitazione rurale come testimoniano i resti di alpeggi disseminati sull’alto versante appenninico (Capanne Compione, Garbia, Tornini). Desta sicuramente stupore il dato odierno che ci racconta di un borgo popolato da meno di dieci persone, in contrapposizione alle seicento che lo animavano agli inizi del XIX secolo.
Probabilmente il toponimo originario è Compiano, dato che nel 1355 il luogo veniva attestato come Compianum, diventato successivamente Compione per effetto di arcaismi dialettali. È interessante a un certo punto della salita fra le case, seguire a destra un camminamento pianeggiante che in breve porta a conoscere un bel portale del XVIII secolo.
Riprendendo il discorso dei topi di Treschietto e i gatti di Iera, è doveroso ricordare che i terzi rivali campanilistici erano i lupi di Compione, così chiamati a indicarne il carattere isolato e solitario.

Una volta saliti alla Cappellania di San Leonardo, (foto 10) caratteristica per il suo insolito rosone a cerchi concentrici e dove una targa ricorda i Caduti di guerra, si segue nuovamente la strada passando accanto alle ultime abitazioni. Fra castagni e conifere, s’arriva al vecchio e minuscolo cimitero, all’interno del quale ad oggi sono sepolti una ventina di defunti, perlopiù bambini deceduti nella prima metà del secolo scorso.

È questa la strada che sale alle capanne Tornini, figlia di un’idea malsana utile soltanto alla distruzione dell’integrità di un territorio violentato da presunzioni assurde. Il voler accomodare l’accesso ai pastori per gli alpeggi come fosse l’unico problema per scongiurarne l’abbandono, ma anche l’intenzione d’apportare un collegamento diretto a favore di un carosello sciistico improbabile con la stazione di Prato Spilla, alla fine è stato soltanto un inutile fallimento: dei pastori neanche l’ombra e gli impianti (per fortuna) sono rimasti nelle menti bacate degli speculatori; le frane lungo il taglio stradale invece si, tantissime, quelle di sicuro non mancheranno mai.

Oltrepassata la sbarra che vieta il traffico veicolare (e vorrei vedere!), si continua nel bosco fino a un tornante, proprio nel punto in cui tra l’altro la strada perde l’asfalto e diviene sterrata. Si va a destra per un sentiero imboscato che, scavalcato un fosso, taglia una costa e perviene alla Sella del Monte di Santa Maria (m. 750), (foto 11) dove a sinistra si diparte un sentiero segnalato diretto alle Capanne Tornini.
Qui sono ancora evidenti i prati terrazzati che, un tempo coltivati, oggi stazionano assorbiti in un paesaggio naturale in cui assolvono, come allora, alla funzione di controllo idrogeologico del pendio.

Si cala a diritto (evitare un altro sentiero a destra) e tra faggi, castagni, cerri, erica arborea e qualche blocchetto d’arenaria, si precipita a serpentine fino ad arrivare al guado del Torrente Bagnolecchia, (foto 12), le cui origini sono da ricercare nella stretta gola chiusa a monte dal Tecchio dei Merli, il Monte di Santa Maria e Cima La Barca.

Dall’altra parte, si rimonta in breve a ritrovare l’evidente sentiero che, scavalcato un fosso, si accinge ad affrontare la dura salita de La Cubia, (foto 13) caratterizzata da un contorno di giovani faggi tendenzialmente invadenti (oggi il passaggio è ben mantenuto), nonché da una pietraia che in parte ricopre questo versante.
Accompagnati da scorci panoramici verso le cime preappenniniche, s’arriva allo scavalcamento di un ruscello, oltre il quale, trascurata una diramazione a destra, si procede a svolte attenuando in séguito la ripidezza fino al raggiungimento della Foce del Monte Colla (m. 863). (foto 14)

Alti sulla vallata del Bagnolecchia, alle pendici meridionali del Monte Cinollo, ci si trova nel punto in cui, a destra, arriva la variante del Monte Tre Castelli, lasciata al ponte sul torrente Bagnone, non più allacciata al Trekking Lunigiana a séguito delle modifiche apportate nei pressi di Sommovalle; a sinistra, invece, cala una pista d’esbosco che ritroveremo più sotto, infatti, il Trekking Lunigiana, un po’ a sorpresa, si getta a diritto sul ripido pendio boscoso di una scarpata (l’imbocco potrebbe rivelarsi non molto evidente), ove più in basso ritrova la traccia del sentiero più chiara che cala abbastanza velocemente a confluire sulla pista sterrata prima citata che sale da Apella. Trattasi dell’itinerario 114 diretto a nord al Passo Giovarello (appena al disotto del Monte Bragalata), con il quale però si scende alla testata del Canale di Gauta, ove s’incontra una fresca sorgente le cui acque sono curiosamente raccolte in un paio di vasche. (foto 15)

A un certo punto la sterrata comincia a scendere fra i castagni (foto 16) scavalcando un buon numero di affluenti minori del Gauta, poi, trovata una recinzione che chiude un vasto pascolo, (foto 17) si abbassa ulteriormente fra altre pianelle di castagni fino ad arrivare ad Apella (m. 673), (foto 18) nel comune di Licciana Nardi.

Sorto in corrispondenza dei terreni meno fertili della zona, così da permettere la coltivazione dei fondi circostanti, Apella ha origine medievale, quando dominava e controllava tutti i traffici commerciali e militari della zona. Antica sede pastorale, è dominata a nord dal complesso del Monte Bragalata, dalle cime dell’Uomo Morto e dal Monte Bocco.
Fra le case del borgo spicca per interesse storico quella natìa di Biagio e Anacarsi Nardi, eroi risorgimentali, rispettivamente zio e nipote, il cui cognome dal 1883 è stato ascritto accanto a quello del comune di Licciana. Biagio fu tra i promotori dei moti di Modena del 1831 che sancirono la decadenza della casata ducale; inoltre tentò di unire Modena e Reggio Emilia sotto un medesimo governo di liberazione. Il fallimento del colpo di Stato lo costrinse nel marzo del 1831 all’esilio nell’isola greca di Corfù, dove morì quattro anni più tardi all’età di sessantasette anni. Anacarsi fu chiamato dallo zio durante i moti del 1831 per essere nominato segretario del governo provvisorio. Esiliato pure lui a Corfù, entrò in contrasto con lo zio Biagio e unitosi ai Fratelli Bandiera, nel 1844 intraprese la spedizione nel Regno delle Due Sicilie con l’intenzione di provocare una rivolta in quelle terre. Sopravvissuto al conflitto a fuoco contro i borbonici, il 21 luglio del 1844 venne fucilato assieme agli altri superstiti nel vallone di Rovito.
Nonostante il borgo sia rinato con le ristrutturazioni apportate di recente, soprattutto in funzione di una fruibilità turistica, oggi ad Apella risiedono stabilmente circa una decina di persone.

Seguendo la via interna, si passa nel retro della casa natale dei Nardi, poi, sotto un’arcata, s’incontrano interessanti portali come quello al civico 19, dove si piega a sinistra per incontrarne un altro all’altezza del civico 18. Proseguendo ancora a sinistra, si perviene all’ingresso principale della casa natale di Biagio e Anacarsi Nardi, (foto 19) (affittacamere nei pressi), patrioti italiani tendenti al liberalismo moderato.

Dall’edificio ristrutturato di recente, ci si porta verso gli antichi lavatoi (foto 20) e con un ultimo passaggio al disotto di un’arcata, si perviene al civico 1, con portale del 1867. Una volta giunti sulla strada che sale da Taponecco, la si segue passando fra terreni erbosi fino ad arrivare al cospetto dell’oratorio dedicato a San Domenico e Santa Caterina. Poco più avanti si perviene ad una maestà con statuetta della Madonna, nei cui pressi si devia a destra, su un tracciato che attraversa piane e terrazze pascolive. (foto 21)

Con questo segmento si è evitato un lungo tornante stradale, infatti, ritrovata la carrozzabile, si ricerca di fronte la prosecuzione del sentiero che ora si porta verso il guado di un canalino. Sul prativo, al fianco di una recinzione, si cammina su un rinforzo a secco restando appena alti su altri pascoli e terreni lavorati, (foto 22) poi, con un tratto finale su viottolo riparato da un boschetto di cerri, si confluisce su una pista oramai prossima all’area in cui sorge il complesso agrituristico Montagna Verde. (foto 23)

Ci troviamo di fronte ad un ex eremo costruito sulle spoglie di una torre di controllo risalente all’anno mille, poi ampliata a rocca difensiva nel XIII secolo. Nei secoli successivi fu soggetta a continui rifacimenti dovuti a danni causati da fulmini e per la sopraelevazione realizzata per ricavare una cella campanaria. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, con l’edificio già sconsacrato, vi fu accasermato il distaccamento Giannotti della brigata Leone Borrini composto da quarantacinque partigiani volontari.
Oggi il grosso edificio ospita l’Agriturismo Montagna Verde (ma le campane suonano ancora), una soluzione davvero opportuna che ha consentito una generale riqualificazione e valorizzazione del territorio attraverso processi del tutto naturali mirati ad offrire soggiorni e prestazioni culinarie di ottimo livello. La cucina, semplice e curata, propone piatti tradizionali della Lunigiana preparati con prodotti biologici sani e genuini, di produzione propria. Le carni di razza zerasca, la selvaggina, i funghi freschi e conservati, i prodotti del sottobosco sono materie prime essenziali con le quali vengono confezionati i gustosi piatti proposti agli ospiti, tra i quali la torta d’erbi, la pattona, le tagliatelle ai funghi, le pappardelle al cervo, i tortelloni con ricotta fresca e borragine, la cacciagione, i funghi cucinati in vari modi, le tagliate di manzo, l’agnello al testo, ecc. Su richiesta è possibile visitare il laboratorio dove viene prodotto il miele, gli essiccatoi delle castagne, il bioparco e l’azienda agricola stessa. La struttura, splendidamente organizzata e diretta dalla famiglia Maffei, i cui punti di forza stanno nelle mani del sommo chef Luca e nell’intraprendenza della bravissima Barbara, dispone di alloggi sia nel corpo centrale della torre sia nel borgo di Apella, ov’è possibile in estate usufruire pure di una piscina.

Il Trekking Lunigiana prima d’arrivare al piazzale antistante il complesso, devia a sinistra su un buon tracciato che dopo pochissimi metri lo abbandona per seguire poco indicato a destra un viottolo più ristretto (c’è la possibilità che il varco sia chiuso da un cancelletto) diretto a tagliare un pendio erboso in parte alberato da querce e faggiole.
Incontrato un pilone votivo con bassorilievo del 1931 raffigurante Sant’Antonio da Padova, si compie una netta inversione di marcia per arrivare ad una stretta stradina asfaltata a monte del borgo di Taponecco (m. 530). (foto 24) Qui i segnavia piegano tosto a destra verso un incrocio stradale, ma il nostro suggerimento è quello di procedere in modo differente, ricalcando cioè il vecchio tracciato del Trekking Lunigiana che se non altro consente di approfondire la conoscenza di Taponecco (tanto alla fine ci si riallaccia nuovamente al percorso principale e comunque i segnavia ci sono).

In direzione dell’abitato, s’abbandona l’asfalto non appena si scorge a destra una via che cala all’interno del borgo e che, acciottolata, presenta al civico 36 un antico portale purtroppo rovinato. Senza possibilità di errore la ricognizione termina sulla piazzetta dove arriva e muore la strada. Seguendo quest’ultima, in breve, ci si riallaccia al nuovo Trekking Lunigiana.

La frazione di Taponecco (una trentina di residenti) è un esempio ben conservato d’architettura medievale, con costruzioni a galleria che nascondono origini probabilmente risalenti all’Età del bronzo. Altri portali, suggestivi tunnel ad arco, (foto 25) vicoli e logge (foto 26) invitano ad esplorare ogni angolo di questo gioiello architettonico, capace di stupire passo dopo passo il visitatore. Sempre all’interno del borgo è ancora oggi possibile osservare alcune case che hanno mantenuto gli arredi poveri e gli interni risalenti al periodo bellico, con l’utensileria in legno, i soffitti di canniccio, le stufe a legna e il caratteristico gradile, essiccatoio per le castagne. La torre castrense, inglobata dall’ex canonica come torre campanaria, è curiosamente in corrispondenza visiva con le torri di Varano e del Nocciolo.
Non lontano da Taponecco, precisamente in località Cavallino, nel 1975, durante i lavori d’allargamento della strada, fu rinvenuta una statua stele maschile d’epoca neolitica (3400/2000 a.C.). Essa presenta corpo trapezoidale con collo troncoconico e testa semicircolare. Il volto, incavato, è piuttosto lungo e stretto, a forma di “U”; il naso, in rilievo, è largo e lungo; anche la fascia clavicolare è in rilievo; gli arti superiori sono piegati e staccati ai gomiti; le mani sono tese con dei tratti paralleli. Un pugnale, raffigurato sotto le mani in posizione leggermente inclinata verso l’alto, presenta una lama triangolare larga con costolatura mediana e un manico con pomo semicircolare.

Confluiti sulla Provinciale 22 bis (collegamento Tavernelle-Bagnone via Collesino), si va a destra, in salita, finché non s’incontra, poco prima di una curva, la bretella a destra che ritrova i segnavia del nuovo Trekking Lunigiana. Dalla parte opposta, invece, il TL prosegue su sentiero, il quale, con un netto taglio in costa, prima scende a ritrovare la stessa strada e dopo, a monte di un uliveto, in curva, devia a destra, ove cala in vista del campo di calcio di Tavernelle nonché di abbondanti pascoli.
Superato un costone roccioso, il sentiero divenuto rottamato ritrova ancora una volta la rotabile, da seguire sempre verso destra, in direzione del pontetto che scavalca il ritrovato Canale di Gauta.

Continuando lungo la strada, si attraversa una splendida area rimboscata con pini a magro e altissimo fusto (alcuni esemplari superano addirittura i trenta metri), ma all’incontro di due case si devia a destra, su una stradina cementata circondata da orti destinata ad inserirsi sulla meravigliosa mediana maestra di Tavernelle (m. 416). (foto 27)

Deve probabilmente il nome al fatto che in passato era un luogo ricco di taverne, essendo situato lungo l’antica Via del Sale o Via di Linari e pertanto soggetto a punto di sosta indispensabile. Citato in un atto notarile del 1331, pare però che l’origine del borgo sia da ricercare su un’altura poco distante a nord denominata Montecastello e che soltanto in séguito abbia subìto il trasferimento a valle. Il borgo storico si sviluppa lungo una strada maestra splendidamente pavimentata sulla quale si affacciano edifici prevalentemente quattrocenteschi. (foto 28)
Lo sguardo cade inevitabilmente sulle finestre incorniciate nell’arenaria, sulle caratteristiche insegne scolpite nella pietra che spesso sovrastano antiche botteghe di mercanti, un tempo ricche di prodotti tipici da vendere ai numerosi viaggiatori che a piedi o a cavallo entravano o lasciavano la Lunigiana; oppure sugli splendidi portali (sono veramente tanti!) con architravi finemente lavorati, (foto 29) effigiati con simboli o figure antropomorfe.
È indispensabile dimenticarsi dei segnavia del Trekking Lunigiana per seguire in tutta la sua lunghezza la via maestra (arriva fino al civico 110) e studiarne capillarmente le sue strutture architettoniche, in particolare una casa torre risalente al 1516 (sul portale è inciso addirittura il committente Alfonso Saffi, probabilmente un commerciante dell’epoca), vari palazzi e nientemeno la vecchia prigione.
Nella prima metà del 1400 Tavernelle fu teatro di un tragico fatto di sangue che vide protagonista un capitano dell’esercito locale scagliatosi contro tre fratelli Malaspina colpevoli d’aver usato violenza sulla consorte.
Percorrendo via del Borgo, si passa accanto alla chiesa dedicata a San Rocco, (foto 30) risalente al 1500 ma dichiarata parrocchia soltanto dopo il secondo conflitto mondiale dato che originariamente era un oratorio. La facciata, corniciata da un frontone triangolare, è semplicemente ripartita da due coppie di lesene di arenaria appoggiate su uno zoccolo che s’interrompe allo squadrato portale, sempre in arenaria, sormontato da un’incisione datata 1601 e da un bassorilievo raffigurante San Rocco. Sopra al portale si apre un finestrino con inferriata, unico punto luce della struttura. L’interno, piuttosto arioso, è ritmato dalle paraste che sostengono le volte a vela, impostate sul piano ben disegnato dalla trabeazione. Due altari simmetrici sono collocati nella campata centrale, mentre il presbiterio, a forma di semiottagono, è ornato da un fastigio dalla cuspide rettilinea.

Per uscire dalla via maestra e arrivare al termine della tappa è sufficiente imboccare una qualsiasi via laterale verso est che, in breve, sbocca sulla Provinciale 74 in via Val d’Enza (strada per il Passo del Lagastrello), ove si trova il confortevole Bar Ristorante Il Capriolo, di Meloni Stefano, a conduzione familiare, con rapporto qualità-prezzo più che soddisfacente. Su suggerimento della clientela (e mio), sono particolarmente gustosi i ravioli e gli gnocchi. Il locale, oltre al vitto offre pure alloggio grazie alla disponibilità di alcune camere. Altra possibilità d’alloggio consiste nel settecentesco Palazzo del Duca, con corte interna privata, piscina e cinque appartamenti indipendenti, dotati di cucina e riscaldamento autonomo.

 

L’immagine numero 27 è stata gentilmente concessa dagli amici di Lunigiana World

Legenda

Tempo di percorrenza
Lunghezza del percorso
Altitudine minima del percorso
Altitudine massima del percorso
Altitudine tappa di partenza
Altitudine tappa di arrivo

Profilo altimetrico

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