Tappa 12: Comano Castello - Sassalbo
Località toccate
Località toccate lungo il percorso: Comano Castello – Croce – Piano – Summocomano – Fosso del Re di Sambuca – Canale di Ardenasso – Fontana del Pozzo – Monte Rozzo – Prati di Monte Fiascone – Canale dei Ragadoni – Canale dei Cavallini – Rio di Luscignano – Rio di Paleroso – Torsana – Canale Trauri – Canale di Finestrelle – Castello di Camporaghena – Camporaghena – Torrente Taverone – Arella – Fosso dell’Avorno – Prati di Camporaghena – bivio itinerario 100 – Tecchia Bianca – Canale dell'Acqua Torbida – Torrente Rosaro – Sassalbo.
La tappa
Tappa spettacolare, meglio se affrontata in una giornata soleggiata successiva ad un periodo di abbondanti piogge visti i numerosi corsi d’acqua che s’interpongono lungo il percorso. C’è poi l’avvicinamento alla dorsale appenninica, raggiungibile attraverso alcune diramazioni che si dipartono verso nord nella seconda parte dell’itinerario. Infine, ma non per ordine d’importanza, le magnifiche praterie del Fiascone e di Camporaghena, dove proprio al di là di quest’ultima si fa ingresso nel territorio comunale delle cento frazioni, ossia quello di Fivizzano. A causa della confusionaria apposizione della segnaletica, proprio ai Prati di Camporaghena potrebbero insorgere problemi di orientamento.
A Comano Castello (m. 575) (foto 1) per riprendere il Trekking Lunigiana vi sono due possibilità: la prima, più immediata, procede con rotta fissa a nord; la seconda, più dolce e remunerativa, fa ritorno a Summocomano ripercorrendo le tracce della tappa precedente.
Alternativa 1: una volta scavalcato il ponte sul Canale Ardenasso, si risalgono le scalette che conducono al castello fino alla cosiddetta Casa Carolina, dove s’imbocca la prima lunga arcata che sbuca su un’altra via proveniente da sinistra (in alto, a destra, si nota una maestà). Nulla vieta a questo punto di uscire temporaneamente dal tracciato per dedicare qualche minuto alla visita del castello, il cui ingresso si raggiunge deviando a destra alla vicina arcata.
Posizionato sulla sommità di un colle, fu donato al Comune di Comano dalla famiglia Blandini il 12 luglio 1996. In passato fu fulcro esponenziale sia per la posizione strategica sia per il valore economico del suo centro agricolo. Citato per la prima volta in un atto di donazione dell’884 di Adalberto I a favore del monastero benedettino di Aulla, lo ritroviamo una seconda volta (937) nella corte di re Ugo che lo offrì in dote alla moglie Berta. Passato al controllo degli Estensi e poi alla famiglia dei Dallo che avevano un rapporto di vassallaggio con i Malaspina, il castello fu teatro di un sanguinoso fratricidio (XIV secolo) risolto da Spinetta Malaspina che uccise gli assassini e annesse il fortilizio al feudo della Verrucola. Dopo un breve periodo in mano a Castruccio Castracani, Spinetta si rimpossessò del feudo e alla sua morte, per via testamentaria, passò alla Repubblica Fiorentina. Il circuito murario del castello è dotato di torri di fiancheggiamento e un’unica porta d’accesso. La torre cilindrica (XIII secolo) è caratterizzata da una merlatura guelfa e beccatelli in pietra, mentre la cinta muraria, al cui interno sono individuabili i ruderi di una residenza probabilmente costruita in epoca successiva, è d’inizio XV secolo. All’epoca l’ingresso avveniva ad un piano rialzato tramite scale retrattili, come d’uso nei sistemi difensivi medievali.
Al bivio dunque si va a sinistra e in breve si sbuca su un crocevia interno al borgo (portale del 1877 e fonte), dove si prosegue a diritto in direzione di un’evidente arcata (uscendo a destra si raggiungerebbe il capolinea del bus). Siamo ora all’interno della parte esposta a nord, che si risale sottopassando l’arcata prima citata, poi, continuando lungo la stradina asfaltata d’accesso, alla prima curva si devia a sinistra su una larga traccia ricavata sui pascoli e chiusa fra recinzioni. (foto 2) Toccato un isolato podere, si piega tosto a sinistra lungo una mulattiera spaziosa aperta tra rovi e biancospini. Con questa si sale a incontrare un bosco di castagni di breve durata, infatti, nuovamente allo scoperto, nel bel mezzo di un impianto arbustivo che in parte si è riappropriato di quelle che un tempo erano radure pascolive, (foto 3) si punta un evidente poggio, da aggirare sulla destra, circondati da una particolare ricchezza d’erica arborea combinata a ginestre e cerri. Nel frattempo, alle spalle, si gode di un’ultima bella panoramica su Castello e Comano basso, ma la costante salita, per nulla faticosa, una volta compiuto l’aggiramento del poggio, esce improvvisamente dal contesto arbustivo per accasarsi all’interno di un nuovo sistema boschivo capeggiato da cerri e castagni. Nei pressi di un’evidente costa erosa, s’incontra a sinistra la variante 2 del Trekking Lunigiana che ora andremo a descrivere.
Alternativa 2: un po’ più lunga, ma per nulla faticosa, è sicuramente quella più interessante e, soprattutto, da scegliere perché attraversa ambienti integri e meglio attinenti allo spirito del Trekking Lunigiana.
Da Comano Castello si ripercorre in senso inverso la tappa precedente fino a Summocomano, anzi, poco più in su, lungo la carrozzabile che in leggera salita raggiunge un bivio a destra con una stradina vietata al transito veicolare. Imboccata quest’ultima, dopo pochi metri s’arriva a una biforcazione presenziata da un’abitazione: ci si tiene a destra e nel punto in cui subentra lo sterrato (foto 4) si passa leggermente a monte di Summocomano. Ci troviamo all’interno d’un bel castagneto, presenziato ad un certo punto da un capanno, (foto 5) premessa di un quadro migliore a cui si assisterà una volta valicato un dosso. Ciò che ci aspetta è una graziosa piana ombreggiata da castagni, (foto 6) resa ancor più suggestiva da trincee in arenaria tradotte in cinte a secco. Oltrepassati due fossi asciutti, ci si avvicina, nei pressi di una dolina verdeggiante, a un serbatoio, poi, con una breve e leggera discesa, si guada un primo rio e, poco più avanti, il corso del Fosso del Re di Sambuca. (foto 7) La comoda pista, ora accompagnata pure da felci ed erica arborea, a un certo punto sale leggermente ad ascoltar sempre più da vicino il forte rumore provocato dalle acque del Canale di Ardenasso, il quale si supera abbastanza agevolmente con qualche problemino in più soltanto nei periodi di abbondanti piogge. (foto 8) In questo punto termina la pista forestale e tramite una breve ma ripidissima erta si passa ad un viottolo ombreggiato da querce e faggi, (foto 9) con il quale si pianeggia in costa, pure fra macchie d’erica, talvolta un po’ scomodamente, arrivando ad uno scarico di pietre e, più sotto, a un vistoso gobbone di roccia sedimentaria, alla cui base s’incontra la variante breve del TL che sale da Castello di Comano (alternativa 1). Si volta a sinistra, chiusi fra erica e ginestre, sul residuo di un acciottolato che in costante salita ci riporta fra i castagni. (foto 10) La larga e rottamata mulattiera sale ora un po’ più decisa a guadagnare un punto panoramico verso il caseggiato di Camporaghena, con lo sfondo appenninico de La Nuda, intanto, con una piega a gomito, si ritorna nel bosco per serpeggiare qualche minuto fino a scoprire, un po’ defilata a sinistra, la Fontana di Pozzo, (foto 11) quasi sempre in secca. Camminando a lato dello scorrimento d’un rio, si esce tra felci, rovi, erica arborea, cerri e pratine, questo finché non ci si addentra nel cuore di un singolare querceto a magro e alto fusto che sfoggia un verde rilucente. (foto 12)
Alla ripresa della salita, si taglia, al contrario di quanto indicano molte mappe, il versante orientale del Monte Rozzo, la cui sommità, interamente alberata, dista circa un centinaio di metri di dislivello più in alto. (foto 13) Su ampia traccia s’arriva al termine della salita, dove frontalmente s’impongono le asperità del Monte Acuto, la Punta Buffanaro, i Groppi di Camporaghena e il Monte Alto, (foto 14) uno degli scenari appenninici più ravvicinati e suggestivi dell’interno circuito del Trekking Lunigiana. Al termine del pianeggio si riprende a salire moderatamente nel solito contesto verdeggiante, (foto 15) ma una volta arrivati a una doppia biforcazione è importante seguire la prima a destra e la seconda a sinistra, di nuovo in leggera salita.
I successivi comodi saliscendi sono quelli che ci conducono verso una nuova prospettiva, quella rivolta verso il Monte del Giogo e il Monte Palerà, ma soprattutto il Monte Fiascone, dato che ci troviamo alle sue pendici meridionali, in quei Prati di Monte Fiascone (m. 1.000 circa) che un tempo ospitavano armenti qui dediti al pascolo. (foto 16) Con molta attenzione, qualora la segnaletica risultasse carente, una volta raggiunta una sorta di depressione prativa è importante non proseguire sia lungo la pista che volge a sinistra sia intraprendere a diritto una traccia che conduce al Passo del Giogo, ma piuttosto ricercare sulla destra, nascosta nell’erba, una labile anonima traccia, quasi impercettibile, la quale poco più avanti tende a farsi largo perché disturbata dagli invadenti arbusti di ginepro e biancospino che qui si generano incontrollati. Ancora qualche stretto passaggio e il sentiero cala verso destra in direzione del semplice guado del Canale dei Ragadoni, (foto 17) oltre il quale, si muove più tranquillamente in un contesto quasi tropicale, ricco di vegetazione e corredato da blocchi rocciosi.
Ricevuta da nord la nuova traccia del Sentiero dei Ducati proveniente dal Passo del Giogo, si scavalca pure il Canale dei Cavallini, la cui sorgente è alle pendici meridionali del Monte Palerà, quindi, in pochi minuti si perviene al bivio con l’itinerario contrassegnato 108 che a sinistra sale alla Foce di Torsana per poi innestarsi al 659a che dalla diga del Lago Paduli conduce alla vetta del Monte Acuto. Scesi dunque a destra, per bosco, ora decisamente più ospitale, si passa a sud della Costa Spiaggi e con perdita imponente di quota ci si adagia su un viottolo erboso che, pianeggiante, vince un tratto franato (prudenza!) e va a sbattere contro la forza e il fascino del Rio di Luscignano, generoso di bozze e cascatelle. (foto 18 e foto 19)
Detto che il guado potrebbe rivelarsi un po’ complicato, in particolare durante la stagione invernale, dall’altra parte si salicchia brevemente per poi proseguire nuovamente su viottolo erboso che per bosco (presenza del maggiociondolo), in una decina di minuti circa, va ad introdursi nella gola del Rio di Paleroso, (foto 20) originario della Punta Buffanaro. Appena oltre il guado, colpisce a sinistra lo scivolo di un rio alto almeno una decina di metri. Sempre per bosco, ci si affianca a un’imponente cinta a secco che va a morire nello spazio di pochi minuti, ma che più avanti ricompare, anche se resta evidente quanto gli antichi ripiani ad oggi siano dimora di arbusti. Quasi in falsopiano lo stretto viottolo (foto 21) approda al minuscolo camposanto di Torsana, caratteristicamente raggiungibile soltanto per sentiero, al cui interno riposano una quarantina di anime. Un ultimo tratto su manto prativo fiorito di margherite conduce a Torsana (m. 936), il borgo più elevato di tutta la Lunigiana. (foto 22)
Gli ultimi abitanti stabili a Torsana si erano arresi anni fa, ma oggi, questo piccolo borgo in larga parte ristrutturato, senza però rispettare quanto promesso e dovuto a fine anni ’90, quando l’Unione Europea stanziò più di un miliardo e mezzo delle vecchie lire per il suo recupero e manutenzione, ha da non molto ritrovato una manciata di coraggiosi e tenaci permanenti, oltre ovviamente a quelli impegnati a trascorrervi periodi stagionali o weekend. A Torsana, toponimo che potrebbe derivare dalla divinità eugubina Tursa (definizione però che lascia molte perplessità), domina il grigio scuro della pietra arenaria, valida testimonianza di una cultura ancestrale fatta di scalpellini e contadini. Le strutture, tutte con pietra a vista, mostrano le semplici peculiarità architettoniche in stile rustico studiate nei minimi dettagli, come finestrini squadrati, colonne, archi, scalini, tetti a piagne, nicchie, ecc. (foto 23, foto 24, foto 25 e foto 26) Isolato e immerso fra boschi impervi, fu un tempo borgo dedito alla pastorizia, alla transumanza e alla lavorazione di prodotti di sottobosco, in particolare castagne, funghi, mirtilli, fragole e noci. In loco è presente la Chiesa di San Giacomo Maggiore, risalente al XII secolo.
Trascurata a destra la carrozzabile per Comano e a sinistra l’itinerario contrassegnato 106 diretto sui Groppi di Camporaghena, s’imbocca la via che si addentra in paese, ove si osserva nel primo edificio che s’incontra una maestà del 1850 dedicata alla Madonna delle Grazie. Passando fra le prime case, ci si porta velocemente nei pressi di una fonte con abbeveratoio (portale del 1661 nelle vicinanze), quindi, verso destra, si sottopassa una lunga arcata, oltre la quale si cala ancora fra case e memorie perdute. Nonostante quasi sempre non ci sia anima viva, ci si muove con un po’ d’esitazione, quasi a non voler turbare quel rapporto istauratosi fra ambiente e solitudine. Tra l’altro oggi la stabilità del paese è pure messa a rischio da un evidente moto franoso attivatosi sul fianco occidentale in corrispondenza d’un dirupo.
Dopo un’ultima arcata, poco prima che il camminamento viri a destra, dove da una staccionata ci si affaccia verso il bosco, il Trekking Lunigiana piega a sinistra, sfrutta per un brevissimo momento una finestra verso la Punta Buffanaro (foto 27) e cala fra erba promiscua e faggi fino al pontetto sul Canale Trauri, (foto 28) originato dai Groppi di Camporaghena, spettacolare nelle sue movenze, in particolare quelle nascoste, ma raggiungibili con un passaggio dietro al ponte. Nei pressi sorge l’antico mulino ad acqua di Torsana. (foto 29) Si prosegue su sentiero ben battuto all’interno di un bosco capitanato da noccióli e castagni, pianeggiando comodamente per una quindicina di minuti, tempo necessario per oltrepassare una groppa e inserirsi in un secondo valloncello vestito di cerri: si tratta del Canale di Finestrelle (foto 30) e la sua spettacolare cascata alta non meno di quindici metri, la quale trae origine dalla Costa di Giannandrea e dal Monte Alto.
Con qualche saliscendi (rotta a sud), s’attraversano nuove alternanze boschive maggiormente rappresentate dal faggio e dal castagno, un tratto questo tanto generoso quanto singolare in Lunigiana poiché collega due frazioni mantenendosi sempre pianeggiante, integro e ricco di benessere per chi lo affronta. (foto 31) Per un attimo addirittura propone una finestra che in lontananza scorge il Castello di Comano, alla cui destra s’intuisce tutto il percorso di questa tappa fin qui effettuato. Confluiti su un sentiero trasversale protetto da un ripiano murato, si volta a sinistra, arrivando in pochi secondi a Castello di Camporaghena (m. 842), (foto 32) altra piccola frazione segnata dallo spopolamento (ad oggi vi risiedono meno di dieci abitanti). Toccati i lavatoi, nei cui pressi sgorga una freschissima fonte, (foto 33) si percorre l’unica via presente (portale del 1813 al civico 39) fino al piazzale in cui arriva la strada d’accesso al borgo, da seguire per una trentina di metri, deviando alla prima diramazione sterrata a sinistra. Confinando pianelle, s’incontra l’anomala area cimiteriale di Camporaghena apparentemente improvvisata, poi, piegando a destra, verso un breve tratto boschivo, si fa ingresso in quel di Camporaghena (m. 842), sùbito dinanzi alla parte esterna presbiteriale della chiesa dedicata a San Pietro. (foto 34)
Nominata nelle Decime Bonifaciane del 1296-97 come dipendente della Pieve di Crespiano, è un edificio in pietra con l’abside rivolto a occidente, frutto delle trasformazioni piuttosto ingenti di un precedente edificio settecentesco. Esso affacciava sull’ampio sagrato utilizzato nel secondo decennio del ‘900 per costruire il presbiterio dell’attuale fabbricato rivoltando la facciata del nuovo organismo verso una delle strade principali del borgo. L’unico elemento fisso fu il bel campanile a cuspide piramidale, dalla doppia cella costruito con saldi filari di pietra sbozzata. La sobria facciata è coronata da un timpano triangolare, illuminata da un occhio circolare e ornata con un portale macigno dalla semplice cornice rigirante, appoggiata su due plinti diamantati. L’interno della chiesa richiama palesemente quegli edifici che dopo il crollo delle volte, seguìto al sisma del 1920, furono ricostruiti con solai piani. La partitura del vano rettangolare scandita in quattro campate da arcate a tutto sesto, irrigidite da catene trasversali, restituisce l’immagine di uno spazio luminoso ornato con motivi geometrici, fitomorfici, piccoli simboli e figure aventi come oggetto il tema eucaristico, chiaramente evocato dalla raggiera dell’ostensorio collocato nel cielo del catino absidale.
Trascurato a sinistra l’imbocco degli itinerari 102 e 104, rispettivamente diretti a nord alle Sorgenti del Secchia e sul Monte Alto, si cala a diritto a sottopassare un’arcata, (foto 35) da cui si scende verso il civico 26 (portali del 1893 e del 1902). Sempre lungo la via maestra (marginetta dedicata a San Filippo), s’arriva ad una fresca fonte, dove giungono da destra altri segnavia da trascurare poiché provenienti dalla strada d’accesso al paese.
Circondato da boschetti, prati e coltivi, Camporaghena (foto 36) si presenta con strutture edilizie a corte, caratterizzate dal colore grigio rosato della muratura e fino a qualche anno fa pure dalle coperture dei tetti a piagne in pietra rosa. Infatti, oltre alla disponibilità in loco del macigno, il borgo si sviluppa su un affioramento di scaglia rossa, una formazione silicea sedimentaria di colore rosso cupo, formatasi nelle profondità marine. Le case si stringono lungo i tracciati secondo semplici forme architettoniche, puntualmente e significativamente definite, caratterizzate e abbellite da portali finemente lavorati, (foto 37) ricchi di fregi, stemmi e figure grottesche, (foto 38) nonché da edicole disegnate con varietà di elementi plastici. Artisti della pietra e validi contadini, questi erano gli oltre seicento abitanti che attorno al 1930 vivevano a Camporaghena (oggi ne rimangono una ventina), con migliaia di ovini e centinaia di bovini (dati forniti dai registri parrocchiali). Una leggenda ci dice che il toponimo pare derivi da Campo degli Uragani, forse perché dai severi e aspri groppi di crinale talvolta irrompono violente tempeste che sferzano il paese. A Camporaghena da qualche anno è presente il B&B Viandanti, Artisti e Sognatori, piacevole struttura che promette di vivere in armonia e relax questo ambiente fantastico.
Senza mai deviare, si esce dal paese e per bellissimo sentiero prativo, a lato recintato da palizzata in legno, si tocca una maestà con marginetta del 1856 dedicata alla Madonna del Buon Consiglio, (foto 39) dalla quale si procede fra antiche piane abbandonate e qualche area pascoliva. (foto 40) Incontrata un’altra edicola votiva del XVII secolo, si perviene velocemente al sito delle Tre Fontane, caratterizzato dalla presenza di un’area di sosta attrezzata e di un muro a secco rinforzato con avancorpo strutturato a vasca di raccolta acque, ricche di elementi oligominerali, che fuoriescono da tre sbocchi uno dei quali d’aspetto antropomorfo. (foto 41) Dominati da uno scenario spettacolare con in primis la Punta Buffanaro e il Monte Alto, (foto 42) si prosegue in falsopiano con uno splendido camminamento in costa, (foto 43) arrivando in pochi minuti ad incontrare il rudere del Mulino Nardini (m. 840 circa), abbandonato da decenni, il quale annuncia l’oramai imminente guado del Torrente Taverone, altro momento esaltante di questa tappa che, con vista dal suo pontetto, ci regala una bella cascata. (foto 44)
Sin dal Medioevo, nei pressi dei borghi e di un corso d’acqua, in Lunigiana era presente almeno un mulino ad acqua che serviva a macinare grano, granoturco, castagne, orzo e avena. Il numero dei mulini crebbe fino all’avvento dell’energia elettrica, poi vennero via via chiusi e oggi sono davvero pochissimi quelli ancora funzionanti. L’acqua veniva captata da un torrente e arrivava al mulino passando in un canale artificiale detto gora, al cui termine in genere l’acqua veniva accumulata in un piccolo bacino detto bottaccio. Da lì l’acqua era incanalata per farle acquistare energia e al termine del salto incontrava le ruote a rotazione orizzontale. I cucchiai (coppi) in legno ne raccoglievano il movimento, l’asse vertivale della ruota (rodese) attivava la rotazione della macina esclusivamente in pietra che trasformava le sementi in farina. Nel Mulino Nardini erano presenti due macine, una delle quali in arenaria esclusivamente dedicata alla molitura delle castagne, da cui si ricavava una farina molto calorica alla base dell’alimentazione delle popolazioni di montagna.
Incontrata un’altra edicola del 1900 (per devozione di Girolamo Asti), con fatica si ricalca un antico acciottolato che dopo alcune svolte attenua la pendenza e fa ingresso nel cerreto della località boschiva di Arella. Sui sedimenti scagliosi rossastri ci si porta verso l’ennesima maestà, questa volta più recente, dedicata a San Giovanni Bosco (caso raro in Lunigiana), oltre la quale si riprende a salire restando alti lungo la destra orografica della valle che man mano riscopre antichi terrazzamenti. Il bosco non muta, alle querce si aggiunge soltanto l’orniello, intanto, toccata un’altra maestà quasi illeggibile, con bassorilievo del XIX secolo dedicato alla Madonna, (foto 45) la mulattiera tende ad allargarsi, ora ombreggiata pure da noccióli, ove risaltano le trincee d’arenaria che in tempi remoti delimitavano i confini di aree destinate ad uso agricolo.
Camminando alle pendici meridionali della Cima ai Madoni, si passa un abbeveratoio con fonte in secca, quindi, in viva salita, si perviene a una biforcazione ove a sinistra si fiancheggia un rinforzo a tronchi posizionato su un rivolo. Il tratto successivo è finalmente pianeggiante, esso si sviluppa perlopiù fra noccióli, che a seconda della stagione regalano immagini del tutto differenti, ma ognuna ricca di fascino. (foto 46 e foto 47) Scavalcati il Fosso dell’Avorno e poco dopo un altro quasi sempre asciutto, si perviene a un importante bivio: ad oggi la nuova segnaletica verticale aggiunta a quella orizzontale crea abbastanza confusione, ma non al punto da rischiare di perdersi; entrambe le direzioni vanno bene, quella a sinistra, contrassegnata pure con il 100, taglia frontalmente la meravigliosa spianata erbosa dei Prati di Camporaghena (m. 1000 circa) e in vista di una porzione de La Nuda (foto 48) rimonta un ripiano e prosegue lungo un margine caratterizzato dal morbidissimo manto erboso fino alla selletta che a sinistra stacca definitivamente l’itinerario 100; quella a destra, la più bella, passa fra cinte a secco e non appena s’addolcisce sul prativo, allo scoperto, raggiunge un laghetto innominato e ai più addirittura poco conosciuto, con preziosa cornice del Monte Alto. (foto 49) In ogni caso, per chi avesse difficoltà d’orientamento, basta seguire il tracciato originale del TL (quello di sinistra), non perdendo mai di vista i paletti di legno verniciati in testa di bianco e rosso.
Questo importantissimo sito silvopastorale che in passato contribuì fortemente allo sviluppo dell’economia del territorio, oggi ha in parte perduto la sua filosofia esistenziale ed è rimasto perlopiù punto di scorrazzamento di caprioli, cinghiali, daini e volpi. I Prati di Camporaghena per secoli sono stati utilizzati come pascoli per ovini e bovini, ma anche coltivi, tutte funzioni andate perdute per un’eredità limitata all’interesse naturalistico.
Per chi avesse seguito il tracciato originale, una volta arrivati al bivio con l’itinerario 100 occorre piegare tosto a destra ignorando il fitto alberato che ricopre il versante destro del vallone dell’Acqua Torbida. Con una lunga diagonale prativa proiettata verso sudovest, s’attraversano splendidi tappeti fioriti, (foto 50) poi, volgendo a sud, ci si porta in direzione dell’evidente alberato, facendo però attenzione, poco prima di raggiungerlo, a imboccare a sinistra una magrissima traccia che penetra in faggeta e cala con discreta pendenza incontrando pure noccióli e maggiociondoli. (foto 51)
Restando costantemente nell’ombra del bosco, si continua a perdere quota, ma nel momento in cui si avverte un crescendo di affioramenti calcarei, significa che il fondovalle è oramai prossimo, annunciato dalla parete evaporitica della Tecchia Bianca, che si taglia in costa. (foto 52) (foto 53)
Alla base dell’imponente sperone calcareo si volta a destra, verso la sterrata (ora nel comune di Fivizzano) che in pochi metri va a confluire sulla provinciale 68 diretta a Bottignana. Attraversato il Canale dell’Acqua Torbida, (foto 54) (foto 55) toponimo più che pertinente vista la colorazione assunta dalle acque una volta a contatto con il fondo sabbioso, si pianeggia circondati da radure e doline boscate fino al successivo guado del Torrente Rosaro, (foto 56) qui asciutto in estate. Divenuta asfaltata, la stradina va ad attraversare un’area occupata da castagni secolari, in parte radicati in aree recintate, poi, oltrepassato il camposanto, incontra i primi stabili di Via Margine, dove a un certo punto perviene al bivio a destra con la via che cala verso la parte bassa di Sassalbo (m. 860), la più caratteristica. (foto 57)
“In Alpe de Centum crucibus Ecclesiam Sancti Laurentii et Hospitale. In Faxo Albo (Sassalbo) Episcopatu Lucense Cappaellam Sancti Michaelis”. Questa citazione, estrapolata dalle Memorie Istoriche dell’Affarosi, proviene da un diploma dell’imperatore Lotario II (1137), che evidenzia il sito di Sassalbo a quell’epoca già attivo, sottolineandone così anche la sua preesistenza, risalente probabilmente al IX secolo, quando le cronache del periodo riportavano la traslazione della salma di San Venerio dall’isola del Tino a Reggio Emilia, facendola transitare proprio a Sassalbo.
Dell’evoluzione urbanistica di Sassalbo dall’Alto Medioevo a oggi sono rimaste poche tracce a causa di frequenti terremoti (l’ultimo più catastrofico nel 1920) e di numerose frane. Grazie alla sua collocazione territoriale, fu importante centro di transito, ma con la realizzazione della strada statale del Cerreto (1848) iniziò a decadere, perché troppo distaccato e profondo rispetto alla nuova via.
L’impatto originario che si respirava arrivando da sud, era quello di un centro fortificato, con il suo castello, oggi non più visibile se non attraverso le sue scarse rovine sulla destra all’inizio del paese, per poi trovare in direzione nordovest i prati della Taverna, dove esistono tutt’oggi perimetri di antiche costruzioni trasformati in orti. Da qui si raggiunge un’altra zona detta “il Giardino”, dov’era ubicata l’antica chiesa, costruita fuori il perimetro delle mura fortificate, con il campanile e la canonica (di questo edificio rimane oggi visibile soltanto il campanile dal momento che nel 1834 una frana ha inghiottito tutto il resto). Un poco più a sinistra, si trova la piazza dei Lochi, in cui spicca l’antico innesto di un vecchio tracciato viario, disegnato dal semicerchio costituito dalle case vecchie ancora esistenti. Da questo punto in poi l’abitato s’allarga e all’interno di esso si snoda la strada dei Lombardi, quella stessa che più a monte, in mezzo ai castagni, conduce al Passo dell’Ospedalaccio.
Le strette stradine lasciano di tanto in tanto spazio a piazzette, dove un tempo si svolgeva la vita socioeconomica del paese; questo, ad un certo punto, si divideva in due, una parte bassa detta “dei lochi” e una parte alta residenziale. Tra gli edifici ancora esistenti sono meritevoli d’attenzione due mulini e diversi essiccatoi oggi in disuso tranne uno, testimoni di un’economia prevalente fino alla metà del XX secolo. Nella zona alta del paese sorge la moderna chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, edificio di notevoli dimensioni la cui erezione risale a metà del XIX secolo, praticamente poco dopo la scomparsa della chiesa precedente crollata a séguito di una frana.
Proprio per il fatto che la zona da secoli è stata sottoposta da sconvolgimenti naturali, tipo alluvioni, frane e terremoti altamente distruttivi, in paese sono sorte storielle e misteri profondamente stimolanti.
I sassalbini, per il loro forzato isolamento nel fondovalle, praticamente lontani da tutto e da tutti, nascosti dall’ombra dei loro monti, sono sempre stati visti con occhi sospetti e oggetto di numerosi pregiudizi.
Ciononostante, recandosi in paese, storia e cortesia si leggono attraverso i gesti spontanei della gente, oppure osservando le profonde rughe delle care vecchiette in “grembialon”, sintomatiche di chi è abituato a lottare contro ogni avversità senza mai arrendersi. Fino a qualche decennio fa la singolarità di Sassalbo era dovuta alle case prive di camini: si diceva che il fatto era da attribuire ai pirati, ritenuti fondatori del borgo, i quali, per non essere scorti da eventuali antagonisti, avevano costruito le case senza camino per non tradire col fumo la loro presenza; ma c’è pure chi di questa singolare caratteristica offriva spiegazioni più prosaiche, tipo che le case sarebbero state senza camini per consentire ai fuochi e al fumo di seccare le castagne stese sulle grate.
All’inizio del XX secolo a Sassalbo veniva celebrava una funzione religiosa a rievocazione della gigantesca frana che, in tempi remoti, scendendo dal Monte Cunella, seppellì quasi tutto il paese.
Secondo la tradizione però non fu questa la sola disgrazia naturale avvenuta nella zona, infatti, a parte i numerosi terremoti di cui si hanno notizie certe, nel 1930 si aprì una voragine dentro la quale scomparve il torrente Rosaro che tornò alla luce ben cinque chilometri più a valle.
Stando alle leggende sassalbine, in qualche punto dell’antica strada che valicava il Cerreto, in località Piano delle Cascine, vi sarebbe sepolto un grosso tesoro. Tre grosse campane colme di monete d’oro, trasportate su uno di quei veicoli a struscio chiamati “tragia”, trainato da robusti buoi, sarebbero sprofondate in una zona paludosa. Il carico d’oro era diretto in Lunigiana e proveniva da Modena. Qualcuno si è poi messo alla ricerca del tesoro, ma senza risultato. Peraltro si dice che esista un altro tesoro fra le rovine del castello, all’epoca abitato da un prepotente tiranno. Si racconta che un gruppo di uomini andò di notte a scavare fra le rovine, ma mentre erano intenti a cercare il tesoro, a poca distanza passò un branco di capre capitanate da un caprone zoppo. Uno dei cercatori si mise a deridere l’animale, rompendo il silenzio che era la condizione necessaria per riuscire a scovare l’oro nascosto. A quel punto un soffio di vento spazzò via tutti i malcapitati disperdendoli sui vari monti e torrenti della zona, dove furono ritrovati soltanto dopo alcuni giorni morti e stecchiti. Vi è infine un mistero che ancora oggi è attuale: gli anziani del paese sostengono che nelle vicinanze esiste una sorgente dalla quale sgorga acqua curativa molto efficace contro le malattie della pelle. Oltre al Trekking Lunigiana, Sassalbo annovera altri tre itinerari CAI: il già citato 100 diretto al Passo dell’Ospedalaccio; il 96 (allacciamento alla Grande Escursione Appenninica all’altezza del Bivacco Rosario); infine, il 98 con destinazione Passo del Cerreto.
A sudovest del paese vale la pena visitare l’Orto Botanico Frignoli, struttura dedicata allo studio del patrimonio naturalistico e culturale dell’Appennino settentrionale, con finalità di far conoscere le piante spontanee, le varietà di piante locali coltivate e le specie introdotte e naturalizzate.
In paese è possibile trovare vitto e alloggio grazie alla presenza del Ristorante Albergo Famiglia Fiorini, d’alto spessore qualitativo. Il locale, a conduzione familiare, rinvigorito soprattutto dalla straordinaria simpatia e bravura di Serena, offre antipasti di gustosi salumi, sgabei, bruschette, polenta fritta ecc.; oltre al tipico piatto sassalbino la “polenta incassata”, intrisa di sugo di funghi o salsiccia, tra le prelibatezze troviamo i ravioli di castagne e ai mirtilli, gnocchi, tagliolini paglia e fieno, cinghiale, maialino con i funghi, ecc.
Altra soluzione è il Ristorante Albergo Casa Giannino, ubicato però lungo la tappa successiva, esattamente sulla Statale 63, a due chilometri e mezzo da Sassalbo, il quale offre cucina casereccia a base di funghi.
- B&B Viandanti, Artisti e Sognatori, a Camporaghena di Comano – 3381512454
- Albergo Ristorante Famiglia Fiorini, a Sassalbo di Fivizzano – 0585 874470
- Albergo Ristorante Casa Giannino, in via Nazionale Nord 97 (Strada Statale 63) – 0585 949707
- B&B La Bredia, in via Nazionale Nord 53 (Strada Statale 63) – 3342376815
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