Tappa 16: Fosdinovo - Aulla
Località toccate
Fosdinovo – Foce di Fosdinovo – Foce del Cuccu – Pendici sud del Monte Nebbione – La Vagina – Le Prade – Fosso del Campaccio – Ca Malaspina – Maestà dei Sarigori – Podere Ronchi – Ponzanello – Fosso della Cova – Fosso di Serra Canali – Fosso della Cobarda – Fosso di Faeta – Fosso di Serrabertola – Foce del Messale – Canale del Torchio – Canale della Piaggia – Vecchietto – Fosso Acqua Chiara – Bibola – Piana dei Rossi – Monte della Liccia – Case Burcione – via Frascara – Aulla.
La tappa
Siamo all’epilogo, ossia all’ultima tappa del Trekking Lunigiana, quella che dal territorio comunale di Fosdinovo riconduce dopo sedici giorni di cammino in quello di partenza, cioè ad Aulla. Nonostante ad oggi la tappa risulti percorribile, segnaliamo che il tratto Ponzanello–Vecchietto potrebbe presentare alcune problematiche più che altro legate alla pulizia del sentiero, con piante selvatiche invasive che a tratti minacciano l’infrascamento. Tuttavia lo spazio per passare c’è, basta armarsi di un po’ di pazienza, in ogni caso esiste una valida variante che più avanti indicheremo.
A Fosdinovo (m. 519) (foto 1) per riprendere il Trekking Lunigiana è necessario riportarsi al trivio stradale per Castelpoggio (Carrara) e San Terenzo Monti e imboccare nuovamente via Monte Carboli, una stradina in parte asfaltata che sale all’interno di un bosco ombreggiato da conifere. (foto 2) Assieme al segnavia 290, ci si appresta ad aggirare il poggio della Svizzerina, ma quando la stradina diviene sterrata l’ambiente in parte muta e assume connotati caratterizzati da promiscuità arborea. (foto 3)
Raggiunte le prime case di Monte Carboli, siamo alla Foce di Fosdinovo (m. 577), dove al primo bivio (civico 30) si ritrovano i segnavia della tappa precedente provenienti da destra. Ovviamente si volta a sinistra, si oltrepassa la proprietà de La Selva e su buona mulattiera, chiusa ai lati da vegetazione impenetrabile, si scende a un nuovo impianto a conifere, (foto 4) in parte inserito all’interno di una recinzione. Di nuovo in promiscuità arborea, ci si avvicina a un traliccio dell’alta tensione, quindi, senza possibilità d’errore, si cala un po’ più ripidamente a confluire sulla Provinciale 72, in via Campagna Ponzanello, qualche metro a nord dalla Foce del Cuccu (m. 520). (foto 5)
Si va a destra, ma dopo pochi metri è importante intraprendere a sinistra una mulattiera in salita che sùbito incontra una capanna (foto 6) e diviene ben panoramica verso le Alpi Apuane. Lasciata a destra un’area con tettoia per cavalli, (foto 7) ci si muove fra alternanze boschive e spazi un po’ più aperti inselvatichiti, poi, tenendosi a sinistra a una biforcazione, si comincia a salire decisamente su terreno friabile un castagneto (foto 8) che digrada dalle pendici meridionali del Monte Nebbione.
Al di là d’un traliccio, lo scenario muta totalmente per intrusioni di carpini, ginestre e lecci, intanto, confluiti su una traccia trasversale ben battuta proveniente da est (anch’essa dalla Provinciale 72), si piega a sinistra, prossimi a distendersi su una bella radura sfacciatamente aperta verso il mare del golfo spezzino, l’isola Palmaria, il promontorio di Montemarcello, la piana con la foce del Magra, Sarzana e così via fino alla città di La Spezia, con la dorsale che ripara le Cinque Terre. Oltrepassata un’area recintata, si torna nel bosco per camminare comodamente arrivando abbastanza velocemente al bivio a destra con l’itinerario contrassegnato 286 diretto a Tendola (nei pressi c’è pure un’altra magra traccia che consente la salita al Monte Nebbione).
Camminando alle pendici di un altro poggio, s’inizia a scendere verso un’abetaia intervallata da brughiera quando, ad un certo punto, in curva, si lascia a destra il vecchio tracciato del Trekking Lunigiana (che resta alto), oggi giustamente dirottato verso il sottostante complesso de La Vagina (m. 544), sede di un locale ristoro, ma soprattutto di un museo audiovisivo dedicato alla Resistenza. (foto 9)
Nel 1948 su una proprietà ceduta da un privato al Comune di Sarzana, fu edificata, con il lavoro volontario di ex partigiani e di cittadini, una colonia montana estiva che dal periodo dell’immediato dopoguerra fino all’estate del 1971 ha ospitato migliaia di bambine e bambini. In séguito, per la mancanza di adeguata manutenzione, l’edificio si era gravemente deteriorato. A partire dal 1994, per iniziativa dell’ANPI di Sarzana e in accordo con l’amministrazione comunale, si decise di destinare il fabbricato a Museo della Resistenza delle province di La Spezia e Massa Carrara, decorate di medaglia d’oro al Valore Militare per il contributo dato dalle popolazioni alla riconquista della libertà e della democrazia. Si è quindi provveduto, con il concorso di numerosi enti pubblici, associazioni e privati cittadini, al recupero del fabbricato dell’antica colonia, per trasformarlo in un monumento alla pace in una zona che è stata teatro di violenti scontri tra partigiani, tedeschi e fascisti e che ha subìto distruzioni e stragi di popolazioni inermi.
La struttura edilizia del Museo è stata completata nel 1999. Il Museo è stato inaugurato il 3 giugno del 2000 ed è costituito da una moderna installazione audiovisiva e da supporti multimediali, che consentono organici percorsi d’indagine storica e di approfondimento didattico sui temi della Resistenza e della costruzione della democrazia in Italia. Il museo è dedicato alla memoria dei comandanti partigiani Alessandro Brucellaria “Memo” e Flavio Bertone “Walter” e di tutti coloro che hanno combattuto per la libertà.
Una volta in strada (via Prade, Provinciale 9), si va a destra e all’altezza d’una casa si lascia a sinistra l’imbocco dell’itinerario 283 che scende a Giucano attraverso la valletta del Calcandola. Sempre su asfalto, panoramici verso ovest, si salicchia fino a uno slargo in curva, ove si esce a sinistra per seguire uno sterrato pianeggiante prossimo a delinearsi sull’ampio e verdeggiante semicerchio de Le Prade (m. 531), un declivio prativo che digrada dal Monte Carbolo un tempo preso d’assalto da ragazzini che proprio qui praticavano le colonie estive. (foto 10) Il fascino di questo luogo non sta però soltanto nell’amena visione bucolica e naturalistica di cui si resta inevitabilmente ammaliati, ma anche per l’ampia finestra panoramica affacciata verso mare che, al di là del promontorio di Montemarcello, ci regala l’arcipelago di Portovenere. (foto 11)
All’altezza della colonica Casa Menichelli (civico 13), con fonte nei pressi, si scavalca l’asciutto Fosso del Campaccio, poi, ancora sugli ampi ripiani prativi, (foto 12) si perviene velocemente ai ruderi di Ca Malaspina, edificio storico cui un tempo fu dimora del marchese Alfonso Malaspina. (foto 13)
Per sentiero, alla destra del rudere, si traversano le pendici meridionali del Monte Carbolo, dove ci s’insinua fra macchie impenetrabili costituite perlopiù da erica arborea, lecci, rovi e ginestre, fino a raggiungere in una decina di minuti circa le unità abitative de Le Prade. Percorrendo la sterrata d’accesso, presto si confluisce sulla Provinciale 57, proprio di fronte alla cappelletta intitolata alla Maestà dei Sarigori, al cospetto del trivio stradale con a sinistra la Provinciale 9 di via Canepari. Qui si evita a destra la strada che scende a Ponzanello e s’imbocca verso monte una via sterrata (foto 14) che, mantenendosi alla sinistra di un poggio, traccia una linea verso nordovest accompagnata da belle fioriture, cinte arbustive, una sparuta macchietta a pino, (foto 15) filari di prugnoli, roveti e insolite esplosioni di ginestre di notevoli dimensioni. (foto 16) Una volta al fianco d’una recinzione, ci si trova sul crinale, ad oggi in buona parte coltivato, quindi, dopo rapida apertura su Ponzanello, s’arriva a un importante bivio dove si lascia proseguire a diritto l’itinerario 290, il quale, assai lungamente, andrà ad allacciarsi alla Via Francigena a monte di Caprigliola, sull’alta valletta del Figaro, nei pressi del Monte Boscoleto (valida alternativa poiché a Vecchietto si riallaccia al TL). Si piega a destra, in discesa, su un’altra buona mulattiera che oltrepassa i cancelli e le recinzioni del Podere Ronchi (m. 573), (foto 17) circondato da pascoli, orti e animali d’allevamento. Superata un’ultima casa bianca, si scende a ritrovare la Provinciale 57 proprio nel punto in cui è sistemata una cappelletta dedicata alla Madonna. In discesa, sull’asfalto, con copertura boschiva perlopiù costituita da lecci, ci si affaccia sulla valletta del Diavolo e dopo circa cinque minuti, all’altezza d’un palo della luce, si esce dalla strada scaalcando il guardrail, per seguire sulla destra un esile viottolino nascosto nell’erba, inizialmente poco sicuro, che funge da scorciatoia in quanto poco sotto, esattamente di fronte a un’altra cappelletta dedicata alla Madonna, datata 1959, ritrova la rotabile (questa breve bretella potrebbe risultare malagevole o infastidita dalla vegetazione spontanea; in questo caso si consiglia di rimanere in strada).
Prima di proseguire nella descrizione riteniamo importante fare una segnalazione da prendere in considerazione qualora il tratto Ponzanello-Vecchietto risultasse impraticabile: dalla cappelletta, retrocedendo lungo la strada fino a una vicina curva a gomito, ove scorre il Fosso della Cova, si diparte sulla destra l’itinerario contrassegnato 285 il quale, con un bel percorso sul versante settentrionale della Costa dei Cerri, va ad allacciarsi al 290, alternativa precedentemente menzionata che, confluendo sulla Via Francigena, consente di raggiungere ugualmente Vecchietto.
Tornando al nostro Trekking Lunigiana, attraverso via Castello si fa ingresso in Ponzanello (m. 505), (foto 18) borgo appollaiato su un alto crinale ai piedi delle squadrate mura dell’antico castello malaspiniano.
Prima di diventare uno dei tanti esempi negativi fra le strutture fortificate in Lunigiana che versano in pessime condizioni, Ponzanello fu l’archivio, la biblioteca e la cassaforte dei vescovi di Luni, dei Malaspina e, per un breve periodo nel XIII secolo, dell’imperatore Federico II. La prima testimonianza storica risale al 1185, quando Federico Barbarossa confermò al vescovo di Luni Pietro i suoi possedimenti, citando il castrum di Ponzanellii (altre fonti però lo fanno risalire all’anno 963). Libero comune della Lunigiana (XIII secolo), Ponzanello, come già accennato, nel 1239 divenne possesso di Federico II, per tornare ai vescovi soltanto dopo la sua morte. Restaurato da Enrico da Fucecchio (1273/1292), fu la volta di Castruccio Castracani ad occuparlo nel 1319, il quale però dopo un breve periodo lo ricedette ai vescovi. Tuttavia, in séguito alla strage della Verrucola, avvenuta nel 1418 e al ritorno su quel seggio marchionale di Spinetta Malaspina, Ponzanello divenne definitivamente possesso malaspiniano. Da questo punto le sue sorti subiranno un lungo e lento decadimento assoggettato al destino di Fosdinovo.
Il paese rivela tre portali d’accesso (un quarto è andato perduto), ancora integri e ben leggibili, e tracce delle cinte murarie frutto di ampliamenti avvenuti in varie fasi storiche. Le tre porte sorgono lungo la direttrice che conduce fin sotto le mura della fortezza, ancora oggi percorso obbligato per raggiungerla, in linea con la splendida porta che si apre verso il borgo, originario accesso al cuore della fortificazione. All’interno della fortezza sono andati perduti gli edifici del palatium magnum, mentre restano visibili i locali interrati, ma la cresciuta vegetazione e i continui crolli rendono l’accesso tutt’altro che agevole.
In paese si osservano la chiesa dedicata a San Martino (in pessimo stato di conservazione), l’ex edificio scolastico, i resti di un acquedotto e l’antico oratorio dedicato a San Filippo Neri.
La chiesa, ubicata vicina all’oratorio, ha copertura a capanna con il presbiterio ridotto rispetto all’aula, ma ha perduto quasi completamente l’aspetto medievale che compare nella documentazione della seconda metà del secolo XIII. Ne rimane traccia nell’arco ogivale dell’ingresso parzialmente ridimensionato dalla torre campanaria addossata all’antica facciata alla quale nel secolo XIX si aggiunse il grazioso portico neoromanico che oggi caratterizza il prospetto. Anche la grande bifora che illumina l’interno, inserita nella lunetta dell’apparecchiatura voltata seicentesca, sembra rimaneggiata in quel periodo. L’interno è un’armonica composizione barocca ad aula unica, con arco trionfale schiacciato, a causa del contrasto tra l’ampia curvatura della volta a botte lunetta che ne ricopre lo spazio e l’apertura a tutto sesto del presbiterio. Le finiture bianche e grigie richiamano la vicina parrocchiale di Fosdinovo, ricostruita nel secolo XVII, e l’intervento dei Malaspina dai quali il borgo di Ponzanello, almeno dal 1481 dipendeva stabilmente. Il sobrio apparato decorativo si coordina con le pregevoli pale marmoree degli altari delle cappelle composte nel proporzionato disegno della trabeazione sulla quale scarica il peso della struttura voltata.
Antico paese di pastori e contadini (a metà XIX secolo annoverava quasi cinquecento abitanti), Ponzanello oggi conta una trentina di residenti.
Nei pressi di Villa Osvaldo, si fa ingresso in Piazza Neno Micheli e con occhio attento, quasi in fondo, si ricerca sulla destra una piccola apertura da cui prende vita un viottolo lesto a penetrare in un bosco promiscuo, maggiormente rappresentato dal castagno. Contrassegnato pure col 287 e costantemente minacciato dalla vegetazione invasiva, il sentiero si abbassa a scavalcare il Fosso della Cova, dopodiché procede assai lungamente chiuso nella morsa di un ambiente selvaggio e a tratti ostile. (foto 19)
n vista del Monte Porro, alle cui pendici sudest si sdraia Vecchietto, e del cocuzzolo in cui s’erge l’arroccato borgo di Bibola, si prosegue in costa (foto 20) attraversando le diverse scanalature che alimentano il Fosso della Cova, infatti, a consolidare quanto scritto, si compiono una lunga serie di saliscendi che restano comunque alti rispetto all’alveo vallivo. I passaggi successivi sono soltanto per conoscenza toponomastica, dato che l’ambiente resta il medesimo e i fastidi per farsi spazio pure. Alle pendici settentrionali della Costa dei Cerri si scavalcano in ordine il Fosso di Serra Canali e, pochi minuti dopo, il Fosso della Cobarda, (foto 21) affluenti principali (in secca in estate) della sottostante valletta del Rastellaro. Difficile accorgersi del punto giusto in cui si passa dal territorio comunale di Fosdinovo a quello di Aulla, unica certezza è che lo stesso avviene nel momento in cui il sentiero volge improvvisamente a nord, prossimo al guado del Fosso di Faeta. Toccata una foce ombreggiata da lecci, querce, erica e felci, si resta per un bel po’ sul crinale di una spina dorsale (foto 22) che fa letteralmente a pugni con l’ambiente ostile fino ad ora percorso.
Intrapresa la discesa tutto prosegue regolarmente finché non ci s’immerge totalmente in una selva di felci, (foto 23) ov’è possibile perdere l’orientamento. La segnaletica per fortuna oggi è buona, in ogni caso, importante è ad un certo punto piegare a sinistra per continuare a perdere quota finché non s’arriva di nuovo ad essere infastiditi dalla vegetazione spontanea. L’ultimo guado è quello del Fosso di Serrabertola, (foto 24) doppio se consideriamo il ramo successivo quasi sempre asciutto che si attreverserà di lì a poco. In viva salita si fatica per una quindicina di minuti circa finché non si sbuca alla Foce del Messale (m. 279), dove sono presenti coltivi in parte abbandonati, una sterrata proveniente dal Pradaccio, una capanna (foto 25) e, quasi del tutto scomparsi, i resti di un’antica cappelletta. Attraversata la sterrata, s’imbocca alla sinistra della capanna una magra traccia la quale, disturbata dalla vegetazione spontanea e confinante terrazze a vigna, si abbassa, con passaggi scomodi e accidentati, ad incontrare un altro ricovero che si scorge a destra. Da qui, su larga pista a fondo naturale, si confluisce sulla carrozzabile proveniente da Pomarino, da seguire a sinistra per andare a scavalcare su pontetto il Canale del Torchio, originario del Monte Boscoleto.
In salita, su asfalto, ci si porta pure verso il successivo guado del Canale della Piaggia, ora alle pendici di un poggio erboso, oltre il quale crescono coltivi ma anche molti terreni abbandonati. Oltrepassato un ricovero agricolo, si presta attenzione alla segnaletica perché ad un certo punto occorre uscire dalla strada a sinistra per intraprendere un acciottolato che sale fra i vigneti, guada un rivolo e, fra chiocciate, cinguettii e canti del gallo, entra in quel di Vecchietto (m. 266). (foto 26)
Nacque come dipendenza del castello di Bibola, di cui divenne la Villa per eccellenza, tanto che ancora oggi i residenti si citano come “abitanti della Villa”. Storicamente però non si hanno certezze sulla data di fondazione: esiste una citazione in un documento del 1223 del Codice Pelavicino ove si accenna a una Serra de Vecheto, ma che si tratti di Vecchietto e non di Vecchieda (altra località vicina a Ponzanello) i dubbi restano. Di certo c’è il passaggio nel 1543 dai Malaspina ai Centurione di Genova che lo tennero fino al 1714, anno in cui lo ripassarono ai marchesi Malaspina che vi rimasero fino alla soppressione dei feudi (1797). Conversando con gli abitanti vengono alla luce un paio di storielle riguardo la toponomastica del borgo: una vanta come protagonista principale addirittura il Padreterno che, girovagando per i monti con un cavagno contenente tutti i nomi dei paesi in attesa della loro attribuzione, non si accorse di un buco attraverso il quale scivolò via il nome di Vecchietto. Esso, rotolando giù per le montagne, s’arrestò nei pressi di un manipolo di case, proprio quelle di Vecchietto, e quando il Padreterno si accorse di non avere più nomi nel cavagno e un paese ancora da nominare esclamò: “fate come volete, siete ugualmente benedetti!”; la seconda versione narra di un vecchietto che nel tentativo di fuggire alla tirannia dei marchesi di Bibola (storicamente fra i due borghi c’è sempre stata rivalità oggi fortunatamente ammorbidita), si sarebbe nascosto in mezzo ai boschi che un tempo qui ricoprivano l’intera zona. Una volta passato il pericolo egli avrebbe deciso di rimanere dando così origine al paese costruendovi la prima casa, che gli abitanti di oggi ancora indicano con assoluta certezza.
Da non perdere a metà luglio la festa della Madonna del Carmine, con tutto il paese impegnato a preparare il pane servendolo con affettati, pizze, dolci e vini del posto, tutto offerto senza pretendere nulla in cambio o magari contribuendo con l’acquisto di qualche biglietto della lotteria locale il cui ricavato è destinato alla chiesa. Davvero singolare infine, sempre in occasione di tale festa, il cosiddetto “er gioco da bala”, che si disputa nella stretta via maestra del borgo con squadre composte di tre giocatori intenti a conquistare più terreno possibile. Il premio in palio è un fiasco di vino. In paese ad oggi resistono circa 120 residenti stabili.
Percorrendo via Chiesa, al civico 22 si volta a sinistra e fra scantinati perlopiù abbandonati, si perviene al bivio con la Via Francigena, proveniente da Ponzano superiore, alternativa di rientro nel Trekking Lunigiana di cui abbiamo precedentemente scritto. Sempre lungo l’arteria centrale cementata, s’arriva in fronte alla chiesa dedicata a San Bartolomeo, (foto 27) il cui sagrato ospita un monumento eretto alla memoria dei Caduti della Seconda Guerra Mondiale.
Ubicata sul lato orientale del borgo, presenta una facciata a doppio spiovente con fastigio centrale più elevato, fiancheggiato da un corpo minore con falda unica, ma unificati dallo stesso tipo di coronamento. Risalente al XVI secolo, il suo interno si configura come un’aula coperta da volta a botte lunettata, chiusa da un presbiterio absidato, preceduto da un arco trionfale ridotto in modo da non interrompere la continuità del vano. Colpisce la ricchezza degli stucchi, che ornano l’architettura dell’altare, e ancora di più quelli che sontuosamente decorano la cappella della Madonna del Carmine, protettrice della potente Confraternita che, nel 1639, ebbe sede nella chiesa parrocchiale.
Continuando alla sinistra della chiesa, si esce dal paese e ci s’immette sulla rotabile lasciata prima di fare ingresso in Vecchietto. Seguendola verso nord, oltre un curvone, si passa appena al disotto di Casa Lertola e con sguardo verso Bibola, s’aggira ad est il poggio de La Novera, restando a monte di vigneti che digradano lungo l’area di Solecchiedo. Con questa comoda passeggiata su strada scarsamente trafficata, (foto 28) si passano altri vigneti, l’area cimiteriale, una deviazione a destra per il Lunezia Resort “lo Schiado” e un ruscello che cala dal versante orientale del Monte Porro. In salita, ci si porta verso un secondo balcone su Bibola, dove s’abbandona la strada per imboccare a sinistra una via sterrata che lambisce la costa di Serino.
Tra lecci, erica arborea, carpini, ma anche pini, cerri, ulivi e fichi, si supera l’incavo del Fosso Acqua Chiara e s’arriva appena al disotto del paese di Bibola (m. 381), (foto 29) in una zona sempre ventilata, esattamente collocata sul fianco ovest. Alla fermata dell’autobus si va a sinistra, così come all’imminente bivio al civico 2 di via Goldoni. Sarebbe un errore però rinunciare a dedicare qualche minuto al borgo, cui si accede con la rampa di destra (fonte), dalla cui sommità, in pratica ai ruderi del castello, si gode d’un ampio panorama sia sull’intera vallata del Magra sia verso le Alpi Apuane. (foto 30)
Di origine romane il borgo si raccoglie in modo circolare, con numerosi passaggi in galleria (foto 31) e tra volte di pietra, attorno al castello. Già ricordato in un documento del VII secolo, Bibola passò, dopo alterne vicende storiche, sotto il dominio malaspiniano in séguito alla pace di Castelnuovo del 1306. Dopo aver fatto parte della signoria di Aulla, nel 1451 il feudo fu venduto ai marchesi di Fosdinovo.
Bibola fu uno dei “kastron” bizantini a difesa del porto di Luni e acquistò importanza con l’affermarsi della Via Francigena che toccava il paese nella sua variante in Lunigiana. Il castello è il risultato dell’aggregazione successiva di diverse costruzioni, individuabili in quattro fasi distinte. La prima fase costruttiva, risalente al XII secolo, coincide con un tratto di muratura ad ovest della fabbrica.
L’impianto generale del castello, a pianta quadrilatera con due torri circolari allungate a forma di ogiva, è riconducibile alla seconda fase costruttiva risalente al XIV secolo. Alla terza fase risale l’edificazione della torre nell’angolo sudest, con un diametro di circa sei metri e un notevole spessore murario, che presenta ancora due livelli agibili collegati da una botola, dove i resti di una canna fumaria e la presenza di un camino fanno ipotizzare una funzione anche abitativa.
Secondo la tradizione a Bibola sarebbe sepolta la moglie del conte Ugolino della Gherardesca, morto di fame assieme ai figli e ai nipoti nella torre delle Sette Vie a Pisa, chiamata poi “torre della fame”. Il sepolcro, senza alcuna iscrizione, si trova nella chiesa del paese. Che dentro vi siano i resti di Margherita De Pannocchieschi, contessa di Montingegnoli (così si chiamava la moglie di Ugolino) è una fola che ogni tanto viene rispolverata da cronisti a corto di argomenti. La favola è nata all’inizio del 1900 allorché un giornale di Carrara, lo “Svegliarino”, riportò il resoconto di una conferenza sul XXXIII canto dell’Inferno, nel corso della quale qualche “studioso” disse, appunto, che nel vicino borgo di Bibola era sepolta donna Margherita. La notizia suscitò la curiosità dello storico Giovanni Sforza che andò a investigare. In effetti, nella chiesa parrocchiale c’era e c’è ancora una lapide di marmo, senza iscrizione, raffigurante un leone rampante. Sotto quella lapide si diceva che vi fosse la tomba della contessa. Un’ipotesi che poteva avere qualche fondamento se si pensa che Landuccio, figlio illegittimo di Ugolino, aveva sposato una marchesina dei Malaspina di Giovagallo, castello non molto distante da Bibola. Ma lo Sforza stabilì che lo stemma non era quello dei della Gherardesca e nemmeno dei Pannocchieschi, poiché la lapide non era del XIII secolo né di quello successivo bensì del XVII secolo. Non contento, andò a frugare nei registri parrocchiali e trovò nelle notazioni dei legati perpetui, uno scritto che diceva di far celebrare quattro messe basse per la signora Eleonora Ugolini di Pisa per le terre olivate lasciate dalla medesima alla parrocchia. La parola “signora” che precedeva il nome di Eleonora era abbreviata e quel “ra.” superiore accompagnato da una lunga coda o svolazzo, rassomigliava ad una grossa “C”. Insomma, un vecchio parroco scambiò lo svolazzo per una “C”, cioè la lettera iniziale della parola contessa e scrisse nei documenti Signora contessa Eleonora Ugolini di Pisa. Nella sua fantasia le parole “contessa” e “Ugolini” diventarono l’infelice vedova di Ugolino. La leggenda prese piede e venne rispolverata nella conferenza aullese, scatenando la fantasia di molti “eruditi”.
Come Vecchietto, anche Bibola ha la chiesa dedicata a San Bartolomeo: preceduto da un sagrato chiuso da un cancello, l’edificio ha copertura a capanna e campanile inglobato nello spigolo destro; presenta sul fronte uno spiovente unico, limitato alla larghezza della torre, con la cella campanaria a quattro fornici e la cornice di copertura che lo sovrasta. Il doppio spiovente viene richiamato sulla pagina del prospetto principale con una serie angolata di mensole, costruite nel secolo scorso, per sostenere il passaggio che dal lato settentrionale conduce al campanile. È in cemento come la sottostante bifora cuspidata e il trittico appoggiato sull’architrave del portale, sempre in cemento, dov’erano collocate le immagini di San Bartolomeo, Santa Margherita e Santa Lucia, oggi ricollocate all’interno del sacro edificio. Il fianco contro monte è articolato da una serie di contrafforti collegati da arcate a sesto ribassato, corrispondenti ai pilastri delle campate coperte dalla volta a botte lunettata che configura lo spazio interno, unitario e ben composto, con l’arco trionfale che precede il presbiterio chiuso dall’emiciclo absidale. Nulla rimane dell’antica cappella medievale, forse a tre navate con colonne sormontate da capitelli ornati con foglie, come quelli oggi reimpiegati come sostegni all’ingresso dell’edificio. Il volume del campanile, incastrato nella volta della prima campata, genera la dimensione della cantoria sostenuta da robusti pilastri in muratura e collegata al piano terreno con una scala in marmo. Al fabbricato principale si affiancano la casa canonica e la sacrestia. (foto 32)
Bibola oggi conta all’incirca una trentina di residenti.
Tornando al nostro Trekking Lunigiana, si percorre una sterrata aperta fra coltivi fino a un curvone, dove si piega a sinistra su un sentiero la cui indicazione potrebbe nel tempo scemare se non adeguatamente mantenuta. Rimontando un poggetto coperto da lecci, si perviene a una sella, dove si trascura a sinistra il sentiero che conduce alle interessanti rovine di Burcione, paese misteriosamente distrutto nel 1409, ubicato nei pressi del Monte Porro, rilievo che ha tutte le caratteristiche della montagna sacra perché popolata di leggende. Su uno sperone del monte, alcuni giganteschi massi in bilico vengono chiamati Grotte delle Donaneghe. Si narra che lì abitavano le Donaneghe, streghe con unghie lunghe e sporche che uscivano di notte per rubare nei campi dei contadini, ma che avrebbero anche insegnato ai paesani a cucinare le focaccette, piatto povero già menzionato nel corso della prima tappa.
In discesa, (foto 33) s’arriva a un’edicola con statuetta rappresentante la Madonna, mentre più in basso si ritorna sulla sterrata lasciata al curvone. Ancora in discesa, si trascura a sinistra una mulattiera diretta al cosiddetto Valico d’Annibale, quindi, dopo qualche minuto, si raggiunge la Piana dei Rossi (m. 301), uno slargo recintato un tempo preda dei motocrossisti da cui si dipartono un paio di diramazioni a sinistra: la prima è diretta a Pra di Martino, la seconda invece conduce a Calamazza.
Si va a diritto, puntando la gobba boscosa del Monte della Liccia, (foto 34) da aggirare sul versante occidentale, spesso tormentato da frane. Sempre sulla comoda e larga sterrata contornata da lecci, si continua a perdere quota portandosi a balcone su Aulla, disturbati come nella prima tappa dal frastuono dell’autostrada. Dopo qualche minuto, una volta ricoperti dal bosco, si deve prestare attenzione al punto in cui occorre abbandonare la sterrata per imboccare a sinistra, ben segnalato, un sentiero che cala sempre più all’interno del lecceto. (foto 35) Poco più avanti il bosco annovera carpini, cerri e castagni e a una sorta di pianella propone il proprio sentiero a destra, ora in falsopiano. In breve però si torna a calare speditamente, anche a serpeggi, ad incontrare le pochissime Case Burcione (m. 174), (foto 36) dove una volta arrivati sulla stretta stradina d’accesso, si volta a destra e la si percorre per una decina di metri circa, piegando subito dopo a sinistra in una porta sentieristica inizialmente poco chiara, ma che passato un grosso gabbione per animali meglio si definisce tra fioriture di ranuncoli, margherite e filari a vigna.
Usciti dal recinto, si evita una traccia a sinistra e si cala ancora per sentiero imboscato (foto 37) arrivando più sotto ad affiancarsi ad un fosso con rio e poi a una recinzione che chiude coltivi.
Con un breve tratto inselvatichito, si sbuca improvvisamente fra case e orti sulla stradina di via Frascara, (foto 38) dove si cala a destra per agguantare la rotabile che conduce a Bibola. Su questa, in discesa, in vista della Fortezza della Brunella, s’arriva prima al bivio con via del Molino, dopodiché al desueto passaggio ferroviario della vecchia linea pontremolese (fonte nei pressi). Una volta sulla trafficatissima strada della Cisa, si va a destra, sul lungo ponte che scavalca il Fiume Magra, oltre il quale si fa ingresso in Piazza Corbani ad Aulla (m. 64), (foto 39) punto di partenza e arrivo del nostro fantastico Trekking Lunigiana.
- Ostello San Caprasio, ad Aulla – 0187 420148
- Albergo Ristorante Pasquino, ad Aulla – 0187 420509
- Demy Hotel, ad Aulla – 0187 408370
- B&B Al Castello di Bibola di Aulla – 3703318871
- Ca di Rosa, a Lo Schiado di Aulla – 3351350801
- Lunezia Resort, a Lo Schiado di Aulla – 0187 408299
- Casa vacanze da Narcisa, a Vecchietto di Aulla – 3488837278
- Affittacamere Orazio, a Ponzanello di Fosdinovo – 0187 670701
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