Tappa 15: Monzone - Fosdinovo
Località toccate
Ponte di Monzone – Fosso Tufo – Isolano – Fosso Romaso – Fosso di Rubiana – Terma – Canale del Perpisano – Pieve di San Martino (o Viano) – Canale del Macerone – Campiglione – (Vezzanello) – Montimerla – Capanna del Logo – Viano – Cecina – Bardine – Torrente Bardinello – Fosso di Pomazza – Casa Mannara – Posterla – Poceta – Fosso della Calda – Fosso della Prada – Zuccheletto – Casa Antoniago – Torrente Pesciola – Pulica – Fosso di Boceda – Monte Carboli – Fosdinovo.
La tappa
La penultima tappa del Trekking Lunigiana sarà quella che ci condurrà verso l’ultimo territorio comunale che ci resta ancora da scoprire, ossia quello di Fosdinovo. Viste le quasi otto ore di cammino e la difficoltà di suddividere la tappa, si consiglia la partenza di buon mattino.
A Ponte di Monzone (foto 1) si ritorna verso il passaggio ferroviario, dove ci s’immette a destra nell’ampio piazzale adibito a parcheggio per le auto. Passati gli uffici postali, ci si porta per sentiero verso una vicina area di sosta con giochi per bambini, a monte della quale, con una traccia un po’ nascosta, si sale una macchietta alberata da castagni fino a confluire sulla carrozzabile per Tenerano. Si va a destra e in curva si scavalca il Fosso Tufo, quindi, in dieci minuti circa d’asfalto, in leggera salita, circondati da boschi di carpino e castagno, s’arriva all’arroccato borgo di Isolano (m. 274), (foto 2) appollaiato su un dosso alle cui pendici ruotano coltivi.
Adagiato ai piedi del Monte Spolverina, il borgo conserva ancora ben poco rispetto a quando veniva chiamato Insulano, epoca in cui i Malaspina di Gragnola vi esercitavano il loro potere prima di cederlo nel 1504 alla Repubblica di Firenze. Interessante all’interno l’oratorio dedicato a San Martino, datato 1818. A Isolano oggi risiedono stabilmente circa 50 persone.
Al bivio di Isolano si abbandona la strada principale per seguire a destra via Borgo, quella che accede al paese, ma senza percorrerla più di tanto si volta sùbito a sinistra per scendere accanto ad alcune baracche verso l’interno d’un bosco promiscuo, fornito di pioppi, aceri, carpini e canneti. Sulla buona pista a fondo naturale, (foto 3) che ora implementa pure felci e castagni, si guadano in ordine il Fosso Romaso e, poco più avanti, quello più consistente del Fosso di Rubiana, entrambi comunque destinati ad unirsi per immettersi poco più a valle nel Torrente Lucido. In leggera salita, prima nel bosco e poi più all’aperto, (foto 4) si costeggiano roveti e qualche appezzamento coltivato a vigna, poi, quasi in piano e su fondo sterrato, si avanza compiendo una sorta di torsione fra coltivi e fioriture di ranuncoli, questo finché non s’arriva ai piedi del caseggiato di Terma (m. 300). (foto 5)
Un tempo abitato da agricoltori, Terma risale al XVII secolo, infatti, nella parte più vecchia, oltre alla chiesa dedicata a Santa Apollonia, sono conservate molte icone marmoree tra le quali spicca un San Domenico incastonato in un rudere. A Terma risiedono una quarantina di abitanti.
Proprio dove comincia l’asfalto si volta a sinistra, in via Bezzecca, dove al civico 55 si nota un pergolato ricco di kiwi. Attraversato l’intero caseggiato lungo la via maestra, s’incontra sulla sinistra una maestà con bassorilievo dedicato alla Madonna venerata da Sant’Antonio, San Domenico e San Gaetano, quindi, si ritorna in strada, affacciati su distese prative e in vista del minuscolo caseggiato di Colognola. Ancora fra case indipendenti e vigneti, si pianeggia fino ad arrestarsi nel punto in cui la strada tende ad abbassarsi e sulla sinistra, incastonato sulla colonna d’un rudere, appare un tondo marmoreo raffigurante l’effigie di San Domenico di Guzmán.
Qui, con attenzione, si lascia la stradina per intraprendere a lato della colonna un viottolino che funge da scorciatoia e torna a collegarsi alla carrozzabile prossima a raggiungere in curva il guado del Canale del Perpisano. Assai comodamente, lungo un filare di abeti, ad un certo punto si esce sulla sinistra con una traccia erosa che rimonta un poggio erboso, scoprendo poco sopra il residuo d’un acciottolato oramai perduto. Dopo esser transitati all’interno d’un cerreto, si esce allo scoperto sbucando qualche metro più avanti sulla strada che collega Terma a Viano, al cospetto di un impianto a conifere da risalire per pochi secondi finché non si guadagna il sito della Pieve di San Martino (m. 344) o di Viano, con il suo bel sagrato prativo e i pochi edifici che la circondano. (foto 6)
Edificata sul sito di una chiesa romanica, è ricordata nel 1148 come concessione di papa Eugenio III al vescovo Gottifredo di Luni e poi ceduta ai Bianchi di Erberia, ai Viano e infine ai Malaspina. Attualmente si presenta in veste rinascimentale con inserimenti barocchi (nel bozzato esterno si notano i resti dell’antico edificio romanico) e una facciata con impianto a tre navate salvata grazie ai restauri del 1593 e del 1788. Il portale d’ingresso è sormontato da un bel bassorilievo marmoreo.
Siamo prettamente inseriti nel vernacolo del “pioero” (piviere), qui sanno di cosa si tratta, dove si riprende passando alla destra di una fonte sormontata da un pilone che ricorda l’Anno Santo del 1934. Trascurata dunque la prosecuzione della strada, si segue a destra la via asfaltata che conduce al camposanto.
Fiancheggiando orti, alla prima curva si piega a sinistra su un sentiero prossimo al guado del Canale del Macerone, oltre il quale, tenendosi un po’ a destra, si passa chiusi fra siepi e brughiera. (foto 7)
Continuando a monte di terrazzine ad ulivo e poi, quasi in sommità, al fianco di vigneti, si passa ad un contesto meravigliosamente disegnato da faggi e nocciòli, (foto 8) spiritualizzato ad un certo punto dalla presenza di una cappelletta con all’interno un bassorilievo dedicato alla Madonna. (foto 9) Con un ultimo breve strappetto, s’agguanta via Botteghino, in quel di Campiglione (m. 395), esattamente alle case posizionate più a sud rispetto al cuore del borgo. Qui il Trekking Lunigiana volta a sinistra, ma nulla vieta di seguire a destra la strada per compiere un giro ad anello che, oltre ad approfondire la conoscenza di Campiglione (deviare poi a sinistra in Via dell’Aia), permette di visitare il borgo di Vezzanello (all’inizio del paese, a sinistra, una rampa riconduce in via Botteghino). (foto 10) Questa variante intorno al 2012 era stata pure marcata con i segnavia biancorossi, pertanto è ancora possibile incontrarli.
Voltando dunque a sinistra, si scopre una nicchia con bassorilievo raffigurante un angelo e Maria e dopo alcune case (fonte), si perviene al bivio stradale con a destra la via per Cecina e a sinistra quella che torna a Monzone. Dopo aver goduto dell’ampio panorama rivolto verso le Alpi Apuane, si ricerca a diritto, cioè fuori dalle strade, una rampa che sale passando alla destra di una casa indipendente (civico 1) e che va ad immergersi all’interno d’un bel bosco di faggi dopo aver tagliato alcune radure. Dopo un breve tratto abbastanza sostenuto, si raggiunge la cappelletta dedicata a San Giuseppe con bassorilievo del 1913 posto per devozione da un certo Ferdinando Cortili. (foto 11) Il bellissimo e pulito sentiero sale ora senza faticare fra antichi terrazzamenti riconquistati da faggi, nocciòli, carpini, ma anche robinia, cerri e pungitopo, poi, dopo un ulteriore strappetto, lascia a destra una diramazione, oltre la quale procede verso la sommità del poggio di Montimerla (m. 510), in questo punto coperto pure da giovani aceri.
Dove il sentiero comincia a pianeggiare, s’incontra la Capanna del Logo, da tempo caduta in disuso, poi, trascurata una traccia proveniente da sinistra, ci si allunga con rotta a sud sempre all’interno del bosco (foto 12) fino ad uscirne a monte di vigneti e in vista di San Terenzo Monti. Toccata un’altra capanna con alberi da frutta nei pressi, (foto 13) ci si avvicina a un’edicola del 1680 dedicata alla Vergine, purtroppo razziata della sua originale marginetta. Qui si trascura a destra una variante per Viano e piegando tosto a sinistra s’inizia a costeggiare un vigneto (foto 14) affacciati splendidamente verso la vallata del Lucido, il Pizzo d’Uccello (foto 15) e la Cresta Garnerone. Ai lati del sentiero prativo s’alternano pianelle con piante da frutta, boschine, roveti impenetrabili e orticelli, tutto ciò finché, incontrata una recinzione e alcune baracche (trascurare una mulattiera che cala a sinistra) non s’arriva a Viano (m. 500), (foto 16) in via San Rocco, nei pressi del cancello di una casa (civici 7 e 9). Lungo la stradina asfaltata, con retrospettiva appenninica, si supera una fonte e si perviene in Piazza San Rocco, dove ci si stacca dal trekking per effettuare una doverosa visita al borgo e alla torre.
Schierato in maniera concentrica attorno alla torre, conserva come elementi della vecchia cerchia muraria la porta d’ingresso e alcuni caratteristici vicoli chiusi da volte. Citato una prima volta nel 1106, in quanto legato a una cappella di San Biavo (edificio sacro ubicato all’interno del castello), fu frequentato da famiglie longobarde (Casolani, Bosoni, Attoni, Gragnana) tra le quali spicca quella dei Bianchi d’Erberia.
Un’altra citazione riguarda una contestazione tra i signori d’Erberia e il vescovo (1188), con i primi a sostenere che “homine abitante in curte Viani” nulla dovevano al vescovo circa l’erbatico.
L’ultimo ramo dei Bianchi a lasciare i propri possedimenti furono i Mercadante di Viano, infatti, addirittura nel 1648 un Mercadante genovese tornò a Tenerano per coltivare i terreni che ancora possedeva in quella zona. Per la divisione del feudo di Spinetta, Viano fu compreso nel ramo di Fosdinovo e, per successive divisioni, pervenne prima al Castello dell’Aquila e dopo, nel 1621, nuovamente sotto Fosdinovo. Oltre alla caratteristica chiesa dedicata a San Rocco, (foto 17) la cui facciata esprime una singolarità davvero unica, all’interno del borgo spicca l’antica torre, (foto 18) unico elemento sopravvissuto del castello feudale che in origine probabilmente faceva parte di un antico pago romano.
Tornati in Piazza San Rocco, si evita la strada che scende a Vezzanello e si sale a destra (civico 10) lungo l’asfalto, fino a perderlo nel punto in cui a sinistra un tracciato porta verso l’inferriata dell’Oasi Verde Carlo Bini. Il Trekking Lunigiana segue invece l’ampia sterrata di via Brigate Partigiane, la quale, per bosco, arriva velocemente alla chiesetta di Viano dedicata alla Madonna, (foto 19) nei cui pressi si trova una cappelletta intitolata alla Madonna della Pace, curiosamente corredata da scritte varie, metafore e targhe poste alla memoria dei Caduti di guerra.
Evitate a destra due vie per Vezzanello (sentiero di Pernungola quella più a destra), si passa a sinistra della chiesetta per far ingresso alle pendici nord del Monte Fernocchiola in un castagneto da attraversare in costa con leggera pendenza seguendo le numerose sinuosità che originano scanalature asciutte. Ginestre, erica arborea e felci si aggiungono agli onnipresenti castagni, (foto 20) intanto, un comodo falsopiano e poi una ripida discesa alle pendici settentrionali del Monte Grosso conducono verso i coltivi a vigna e ai baraccamenti di Noleto, la cui parte abitata rimane a noi nascosta dalla vegetazione. (foto 21) Lasciata l’area coltivata e il castagneto, si cala sulla buona e pulita mulattiera compiendo una lunga serie di serpeggi fino a confluire sulla carrozzabile per Cecina, che si segue a sinistra. Guardandosi attorno si ha la percezione d’essere come puntini immessi all’interno d’un vasto circondario boschivo caratterizzato da modeste alture che affondano le loro foreste nella Valle del Bardine. All’infuori della rigogliosa vegetazione non v’è altro, non vi sono punti di riferimento, soltanto tanto verde e tanto bosco.
Superata la cosiddetta Macchiaia, si trascura a destra la stradina che conduce a Marciaso e si prosegue in direzione del ben visibile borgo di Cecina (m. 411), (foto 22) al cui ingresso si trova una cappelletta con all’interno un piccolo altare e un bassorilievo dedicato alla Madonna col Bambino.
Vale la pena farsi un giretto all’interno del borgo che si raggiunge passando prima davanti all’edificio dell’ex scuola oggi adibito a circolo e poi alla chiesa dedicata a San Giovanni. (foto 23)
Le strette e articolate arterie di via Mascagni e via Firenze sono la testimonianza di un passato che qui pare essersi davvero fermato. (foto 24 e foto 25)
Cecina, che fu filiale della Pieve di Viano, è ancora oggi caratterizzata dalla sua enorme porta d’accesso, mentre la chiesa, dedicata a San Giovanni Evangelista, che conserva una croce in argento del ‘400 e bassorilievi marmorei del XVI secolo, pare un tempo fosse ubicata presso l’attuale parcheggio, ricostruita nel 1783 grazie all’interessamento di alcune compagnie laicali.
All’interno di un casale è stata rinvenuta un’iscrizione votiva al Divo Nerone e alla Diva Poppea (oggi conservata presso i Musei Capitolini di Roma) risalente all’anno 66 dopo Cristo. Tale iscrizione si presume fosse stata commissionata da un politico locale per accaparrarsi il benvolere dell’imperatore, ma c’è anche chi suppone che sia stato un industriale del marmo abituato a lodare i suoi migliori clienti.
Gli abitanti di Cecina raccontano storie campanilistiche contrapposte ai paesani di Marciaso, quasi a voler significare l’appartenenza a due etnie differenti; ma raccontano pure di una leggenda che parla di un tesoro contenuto in tre campane nascoste in località Bocciari sul culmine del Castellaro. Qualcuno si è messo a scavare, ma le uniche cose venute alla luce sono state resti di possenti fortificazioni e un mortaio di pietra. A Cecina risiedono una sessantina di persone.
Alla cappelletta si evita la stradina che sale al cimitero e si cala a diritto, al fianco d’una murata, su una mulattiera che, fra i coltivi (foto 26) e poi nel bosco inselvatichito con piante che invadono il tracciato, precipita fino ad affiancarsi a un canaletto. Per un breve tratto si nota riaffiorare l’antico acciottolato, poi, piuttosto scomodamente, su sentiero irregolare, dissestato e perennemente minacciato da erbacce, s’arriva a Bardine (m. 276), (foto 27) sbucando accanto a un piccolo oratorio con fonte dedicato alla Madonna della Gioia. (foto 28)
Nel borgo di Bardine sopravvivono ancora una quindicina di anime ed è soltanto grazie a qualche recente intervento di recupero che alcune abitazioni sono tornate in sesto. Si racconta che in località Val di Prada a Bardine si nasconda un tesoro, ma alcuni sostengono che sia stato già scoperto e portato via all’inizio del XX secolo. Un’altra diceria spiega che in passato v’era una radura che aveva fama d’essere luogo di convegno delle streghe. Esse, vestite rigorosamente di bianco, davano vita a danze sfrenate che eseguivano agitando fiaccole accese.
Dopo aver osservato un’ultima volta il dirimpettaio borgo di Marciaso, si scende a destra verso le case, fiancheggiando terreni e coltivi, poi, superata un’altra fonte, si prosegue in via San Giovanni, sottopassando a sinistra un’arcata oltre la quale ci ospita una piccola porzione di giardino che muore alle scalette cementate poste a ridosso della carrozzabile proveniente da Cecina. Trascurata a sinistra la prosecuzione del Sentiero dei Ducati diretto come il TL a Pulica ma passando da Marciaso e dalla valletta del Pescioletta, si volge a destra per pochissimi metri, infatti, alla prima sterrata che si diparte a sinistra, (foto 29) la si abbandona per calare su questa andando a toccare una capanna e, dopo un paio di svolte, finire paralleli al corso del Torrente Bardinello. (foto 30)
Ci si mantiene lungo la destra idrografica del corso d’acqua finché non s’arriva alla passerella cementata che consente di guadare il torrente, oltre il quale ci si trova all’interno di un’amena area privata abitata, tipicamente agricola, sede di un vecchio mulino. (foto 31)
Se da un lato scorre il torrente, dall’altro s’arrampicano vigneti per oltre un centinaio di metri di dislivello, i quali, tra l’altro, dovranno essere risaliti lungo il proprio confine per tutta la scalata che occorre affrontare per mezzo dell’unica mulattiera che rampa verso nordovest rispetto al sito rurale. Già nel comune di Fosdinovo e assai faticosamente perché in forte pendenza, si taglia all’interno d’un bosco misto in località Caprigliora fino al guado di un ruscello, oltre il quale, su mulattiera ciottolosa, si riprende a faticare raggiungendo presto il Fosso di Pomazza. Usciti su ripiani erbosi in parte riconquistati dalla selva, in splendida vista su Cecina, Bardine (foto 32) e Marciaso, si comincia a pianeggiare su un’ampia traccia e poi su viottolo a monte di Caniccio. Con un taglio in costa, si supera un non recente tratto franato ripianato nel passaggio, oltre il quale si perviene all’isolato rudere di Casa Mannara (m. 394), segnato da un bassorilievo incastonato sulla facciata raffigurante la Madonna col Bambino.
Si continua restando appena al disotto d’un vigneto, poi, nel bosco, (foto 33) si riguadagna qualche metro di quota arrivando a balcone sul Pisanino e su tutta la catena appenninica che sfila al di là delle digradazioni boschive delle alture di Fogliadoro, Nungoli e Calesciaio, nonché dello sperduto caseggiato di Gallogna. Incontrata una recinzione, si passa fra i coltivi che precedono l’ingresso voltato di Posterla (m. 413), (foto 34) sormontato da un bassorilievo riproducente la Madonna che sorregge Gesù. In via Olmo, si sottopassa una seconda arcata, dopodiché si volta a destra (altro bassorilievo) in direzione d’una terza arcata, (foto 35) oltre la quale ci si trova nei pressi della chiesa dedicata a San Bartolomeo, con portale datato 1862; di fronte al civico 13 vi è un architrave del 1761, mentre più a lato è addossata a una parete una scultura marmorea che ricorda i Caduti delle due guerre mondiali (fonte nei pressi).
Il toponimo deriva dal latino “posterula”, da cui postierla o posterla, ossia la porta secondaria e d’emergenza costruita nelle fortificazioni per permettere una via di fuga attraverso i campi. Citato per la prima volta nel Codice Pelavicino nel 1078 col toponimo di Pusterla, entro fin da sùbito a far parte del marchesato di Fosdinovo, in particolare ai Malaspina, rimanendovi fino al loro tramonto (1797). All’interno dell’abitato si diramano un esiguo numero di vie lastricate che presentano edifici in pietra, passaggi voltati, maestà e portali sia in marmo sia in pietra arenaria. La minuscola piazzetta ospita la chiesa dedicata a San Bartolomeo, il cui prospetto è a capanna, semplicemente intonacata, con un portale a incorniciatura in marmo sormontato da una finestra rettangolare con stipiti, davanzale e architrave in arenaria. L’aula rettangolare, coperta da una volta a botte, ripartita in tre campate rettangolari irrigidite da arcate trasversali, è adornata con altari in marmo e stucco, da fastigi talvolta ridondanti, ma indicatori di un gusto diffuso, che applicava liberamente gli schemi architettonici derivati dalla reinterpretazione dell’ordine classico. L’arco trionfale dalla ghiera concava, ornato con un fastigio, incornicia il presbiterio rettangolare coperto a crociera, al centro del quale si compone l’immagine dell’altare in marmi policromi, dai vivaci motivi floreali. In testa al paese svetta in maniera del tutto singolare la torre campanaria. (foto 36)
Di grande interesse la quercia secolare all’interno del borgo segnalata fra gli alberi monumentali della Regione Toscana. A metà XIX secolo Posterla contava 340 abitanti, oggi nemmeno quaranta.
Alla chiesa si va a sinistra e ci si porta fuori dall’abitato, in prossimità della fermata dell’autobus. Si continua ora sull’asfalto, in leggera salita, passando al disotto della torre merlata prima citata e di alcuni terrazzamenti coltivati a vigna. Oltrepassata una piazzola pavimentata e arredata con baracche (saltuariamente utilizzata per le feste), si continua a salire fino a un evidente curvone, dove ci si stacca a destra su una pista in ghiaia che transita appena al disotto del camposanto.
Affacciati su terrazze lavorate e su boschi, è importante a un certo punto evitare di proseguire sul sentiero che scende perché, nei pressi d’una frana, occorre piegare a sinistra, per rimontare brevemente e con un po’ di attenzione proprio quest’ultima.
Ritrovata la trattorabile ben battuta di Poceta, circondata da vegetazione mista, si traversa alle pendici settentrionali del Monte Tomaggiora. Dopo una decina di minuti circa, s’arriva a una biforcazione di piste: a noi interessa quella di sinistra, prossima a scendere fra scaglie d’arenaria e a tagliare in costa una serie di modeste alture boscose. Aggirato il valloncello del Fosso della Calda, si prosegue ancora nel bosco (foto 37) pianeggiando lungamente quando ad un certo punto, nei pressi d’un traliccio, si spalanca una finestra panoramica di tutto rispetto proiettata addirittura fino al Monte Orsaro, con in primo piano il paese di San Terenzo Monti. Si comincia a scendere in modo assai leggero arrivando in località Fredana al guado dei rii che originano il Fosso della Prada, (foto 38 e foto 38bis) da cui si risale a guadagnare una selletta incisa sul crinale che discende dal Monte Tomaggiora. Affacciati sul nuovo versante del Pesciola, anche se a dire il vero il bosco non concede vedute, trascorrono pochi altri minuti prima di confluire su un’altra pista forestale. Seguendola in discesa (sud) e cercando più avanti, a destra, una scorciatoia, si confluisce su un’altra pista, quindi, proseguendo a sinistra per una cinquantina di metri, s’arriva ad uno slargo (località Zuccheletto), dove poco oltre si abbandona la sterrata principale diretta a Marciaso per imboccare tosto a destra una larga mulattiera che in séguito diverrà dissestata e si avvicinerà alle rovine di Casa Antoniago.
Compiuta una torsione obbligata, si cala improvvisamente a destra (anche qui si può sbagliare) su un’altra mulattiera rottamata che insiste a rimanere nel bosco. (foto 39)
Lasciata ad un certo punto a destra la traccia più erosa, ci s’immerge tra macchie di pungitopo, cerri, aceri, carpini, castagni, nocciòli e betulle, in pratica il classico mix boschivo caratteristico di questo versante della Lunigiana, poi, vinto un breve tratto aperto tra i rovi, si continua a scendere infinitamente con svolte regolari finché non s’incontra un altro punto strategico di rilevante importanza ai fini della giusta prosecuzione della tappa. Infatti, non appena i nocciòli si mostrano maggiormente numerosi, occorre abbandonare la mulattiera più evidente per imboccare a sinistra un esile e ripidissimo sentiero che precipita fra i carpini andando velocemente ad accostarsi a un canale particolarmente eroso, (foto 40) che di lì a poco confluirà le sue magre acque in quelle del Torrente Pesciola.
Una volta sul letto vallivo, in una zona chiaramente soggetta a intridersi d’acqua, ricca di piante tipiche delle zone umide, occorre non allontanarsi mai più di tanto dal Pesciola, infatti, il Trekking Lunigiana lo segue controcorrente mantenendosi in un habitat selvaggio e splendidamente tenebroso. Con una svolta improvvisa a destra, si ritorna a contatto del Pesciola, proprio nel punto in cui lo si deve guadare (foto 41 e foto 41bis) poiché di fronte si leva la mulattiera che riprende a salire l’opposto versante.
Con rotta a sudovest, ci si stressa pesantemente con un’altra tosta salita nel bosco (la peggiore a questo punto della giornata) con la quale, dopo una ventina di minuti circa, s’arriva a confluire su una mulattiera proveniente da destra.
Il successivo aggancio ad una sterrata viene gradito come l’acqua nel deserto: si va a destra (da sinistra confluiscono il ritrovato Sentiero dei Ducati e l’itinerario 284), ben riparati da nocciòli e carpini (foto 42) e si sale con meno fatica raccogliendo a un certo punto da destra una variante proveniente da La Ripa (sentiero di Tendola). Passata una capanna, si continua senza deviare finché, nel punto in cui s’attenua la salita, poco dopo una curva, si devia tosto a sinistra su un’altra carrareccia più stretta che dopo una cinquantina di metri presenta l’ennesima biforcazione: si va a destra, in viva salita, ma al sorgere di vigneti e uliveti significa che l’ingresso in Pulica (m. 461) (foto 43 e foto 44) è oramai imminente.
Arroccato su una piccola collina, Pulica viene citato una prima volta in un atto notarile redatto il 7 settembre 879, nel quale il vescovo di Lucca, con l’approvazione del duca Adalberto, permutava alcuni terreni di proprietà situati in Lunigiana. Nel 1186 è segnalata una disputa con i Signori di Fosdinovo che pretendevano dagli abitanti di Pulica manodopera gratuita per la costruzione di case in quel di Fosdinovo. Parzialmente distrutta e saccheggiata dal mercenario pisano Raimondo di Monteverde (1343), seguì in séguito le sorti di Fosdinovo, con l’unica eccezione riguardante l’antico castello (costruito dal vescovo di Luni nel 1211) che, attorno al 1600, fu trasformato in chiesa dedicata a San Giovanni Battista.
Il toponimo deriva probabilmente dalla via pubblica, una strada d’origine romana che a suo tempo univa Luni a Lucca, dismessa con l’apertura della via medievale per Fosdinovo.
Ciò che caratterizza questo borgo meravigliosamente solitario e sperduto tra le foreste, è la presenza di un percorso interno dedicato al pellegrinaggio, condito da innumerevoli edicole e maestà che riportano immagini sacre della Madonna e dei Santi che spesso indicano le orazioni e le modalità per ottenere le indulgenze. Scrutando fra via Galliano, via Toselli e via San Rocco si fanno molte scoperte, ma più interessanti resta-no la torre della parrocchia di San Giovanni, l’oratorio di Santa Maria, (foto 45) eretto nel 1726 con campanile a vela e pavimento in marmo bianco e nero, e la cappella di San Rocco, contenente un’immagine in marmo raffigurante la Madonna con i santi Rocco e Sebastiano di pregevole fattura.
La chiesa di San Giovanni si erge su un alto podio, fiancheggiato a sinistra da un prato, forse un tempo utilizzato come cimitero. La domina la mole della robusta torre campanaria archivoltata, raccordata con il muro della facciata e ricostruita sull’allineamento della cinta muraria. L’ingresso è situato sul lato destro e occupa la prima campata dell’aula in asse con il fonte battesimale ricavato all’interno di un sacello dall’estradosso semicircolare addossato al fianco opposto. Il vano rettangolare, ripartito in tre campate leggibili nel ritmo della trabeazione corinzieggiante è coperto da una volta a botte lunettata che, tramite l’arco trionfale semicircolare si raccorda con il presbiterio, di dimensioni inferiori, addossato alla parete. L’impianto, riconducibile a modelli utilizzati nella Lunigiana dei secoli XVII-XVIII, fu modificato ancora dopo il 1771, quando fu aperta la terza cappella di destra per collegare l’oratorio del Santissimo Sacramento iniziato in quella data. La facciata presenta un portale con incorniciatura in marmo ad angoli superiori di rinforzo ornati con rosette. Lo sovrasta una nicchia con l’immagine del Battista, delimitata da una bordo rettangolare con inserto di marmo nero sostenuto da una base in arenaria, e sormontato da un fastigio curvilineo inghirlandato, con il monogramma di San Bernardino, riconducibile ai secoli XIX-XX. Nella parte più alta, sotto la gronda dello spiovente destro della copertura si apre la finestra dalla profonda strombatura che illumina la prima campata dell’interno.
Nel 2001 il borgo di Pulica è salito agli onori delle cronache per un’importante scoperta archeologica avvenuta nel corso di uno scavo nei pressi dell’abitato. È stata in pratica rinvenuta una tomba fatta a capanna e formata da lastre di pietra, databile al III secolo a.C., che custodiva le ceneri di un guerriero ligure apuano all’interno di un’olla coperta da una coppa. Il corredo funebre era apparso fin da sùbito di straordinario interesse, infatti, oltre a una coppa e a una brocca, sono stati ritrovati numerosi accessori militari tra cui un prezioso elmo bronzeo, una lancia e una spada. La pregevole fattura e la presenza di corna sull’elmo fanno presumere che si trattasse d’un personaggio importante nella gerarchia militare, mentre analisi metallografiche hanno stabilito che la spada, trovata spezzata, è stata fratturata volontariamente, forse a scopo rituale. A Pulica oggi risiedono una settantina di abitanti.
Da sotto l’arcata di via Galliano (civico 40), si prosegue stretti nel carruggio (foto 46) ricco di maestà e portali del XVII secolo. Prima del civico 14, si volta a sinistra e sùbito dopo a destra, in via Toselli, (foto 47) dove si sottopassano altre arcate prima di accedere in Piazza Graziano Battistini (campione di ciclismo nativo di Pulica), straordinariamente panoramica a sudest verso tutta la vallata chiusa dallo sfondo del Pizzo d’Uccello. Scendendo lungo la strada obbligata di via San Rocco, si evita una discesa a sinistra e fra le case (foto 48) si tocca un’edicola dedicata alla Regina del Cielo. Arrivati al cospetto dell’Oratorio di San Rocco, si piega a destra su una traccia chiusa fra recinti che scende a incontrare una stretta carrozzabile interposta fra estesi coltivi. (foto 49)
Si tratta di un piccolo sacello dedicato a San Rocco con copertura a capanna e volta interna a botte. Il prospetto principale è caratterizzato da un’unica arcata, ridotta nella parte inferiore da due tratti murari orizzontali. Dalla cancellata si può osservare il semplice interno ornato con la pregevole ancona cinquecentesca raffigurante la Vergine in trono con Bambino fiancheggiata dai santi Rocco e Sebastiano. Sul paliotto della piccola mensa un’iscrizione in marmo ricorda i nomi degli operai di Pulica, immigrati negli Stati Uniti d’America, che favorirono, con i proventi del loro lavoro, il restauro della cappella nel 1894.
Ignorato l’itinerario trasversale contrassegnato 297 che verso sud conduce in località Monteromano, s’imbocca frontalmente una pista in ghiaia che, ancora fra terreni, passa accanto all’ultima abitazione di via San Rocco (civico 40). Successivamente si fa ingresso nel bosco (ad un certo punto se ne va a destra l’itinerario 282 diretto a Tendola), dove si cala velocemente a saltare il Fosso di Boceda. Qui ci si alza a sinistra su un tratturo che fra i carpini tende poi a scendere ai guadi dei diversi canali che alimentano più a valle il Fosso Ceppina, tutti affluenti del Pesciola.
Una successiva dura salita nel bosco, prima su ampia traccia e dopo su sentiero scavato, conduce ad altri due guadi, l’ultimo dei quali (in secca nei periodi più caldi) scorre proprio sul sentiero formando una vistosa incisione erosiva. (foto 50) La dinamica naturale di questo progressivo incavo ha dell’incredibile, non tanto per il processo in sé stesso, ma quanto per l’estensione in lunghezza che non accenna ad interrompersi finché non raggiunge il suo punto sorgivo.
Dopo una breve pausa pianeggiante, si riprende a salire con andamento irregolare all’interno d’un bosco sempre più solitario fino all’attraversamento dell’ennesimo fosso (asciutto), poi, con una nuova impennata su traccia dissestata, si punta verso un edificio bianco, nei cui pressi (poco sotto) si piega un po’ a destra, per spostarsi su un viottolo chiuso ai lati da roveti. Sbucati su una mulattiera trasversale, appena sotto le ultime case di Monte Carboli (m. 583), (foto 51) si trascura a sinistra l’itinerario 295 diretto a sud verso il Monte Bastione e per viottolo ci si porta verso il civico 28, oltre il quale s’incontra il bivio che presenta a destra l’imbocco della tappa successiva.
Monte Carboli è una località residenziale di lusso posizionata a nord di Fosdinovo, completamente immersa all’interno d’un bosco perlopiù costituito da conifere che si elevano lasciando rari spiragli al punto che da lontano ostenta un esplicito e invidiabile senso di riservatezza. Monte Carboli oggi conta circa una cinquantina di residenti.
Assieme all’itinerario 290 si volta a sinistra e senza mai deviare dalla stradina principale in un quarto d’ora circa s’arriva sulla Provinciale 72, all’altezza del trivio stradale per Castelpoggio (che si lascia a sinistra), San Terenzo Monti (che si trascura a destra) e Fosdinovo, in discesa, nostro senso di marcia. Accompagnati da copertura alberata, si lascia ad un certo punto a destra via Vallacara (Provinciale 56 per Sarzana) e poco più avanti, sempre a destra, l’itinerario contrassegnato 293 diretto a Giucano. Sopra di noi il castello malaspiniano da cui si allunga verso sud il borgo di Fosdinovo (m. 519). (foto 52)
Panoramico verso la costa ligure e la Versilia, il borgo s’allunga secondo una struttura nastriforme adattata all’andamento di una dorsale dominata a nord dal castello. Non si hanno dati certi circa le origini del territorio, ma con molta probabilità la zona era già nota agli albori della storia quando si presume fosse abitata da gruppi di pastori che s’erano trasferiti anche da lontano in cerca di pascoli migliori. I primi scritti che ne attestano l’esistenza risalgono al 1084, quando il piccolo borgo compare in un atto di donazione con il nome di Fosdenova. Non si conosce l’esatta provenienza della sua denominazione, visto che alcuni documenti vorrebbero farla derivare da Faucenovo, dalla foce che si apre dietro il paese verso la Lunigiana e l’Appennino, oppure da Fosdenovum, riferito al fossato che si trovava sotto le sue mura adatto ad ostacolare attacchi nemici. Da altri documenti risulta che nel 1124 il territorio apparteneva ai nobili Erberio e Buttafava che avevano fortificato il colle a controllo della Val di Magra. Dopo alterne vicende e aspri conflitti per la supremazia tra nobili dinastie, nel 1300 il potere passò ai Malaspina che lo mantennero quasi ininterrottamente fino al 1800. Ciò avvenne anche grazie all’autorevole intervento di Dante, grande amico ed estimatore dei Malaspina, che si trovò spesso a soggiornare nei vari castelli di famiglia distribuiti sul territorio.
Nel 1340 per Fosdinovo iniziò un periodo di grande espansione ad opera di Spinetto Malaspina, a cui si deve l’ampliamento del castello che, collegato alle mura del borgo, divenne uno dei maggiori centri politici e militari della Lunigiana. Per la gente del posto questo fu il miglior periodo storico, in quanto vennero apportate grandi innovazioni in tutta la zona e di conseguenza migliorarono notevolmente le condizioni sociali della popolazione. Ciò ha lasciato evidenti impronte nei monumenti, negli edifici dell’epoca e nelle tradizioni popolari, molte delle quali tramandate con orgoglio ai giorni nostri.
Questo lungo periodo di tranquillità fu interrotto nel XIV secolo, dopo oltre cent’anni di travagli, causati spesso da grosse fratture all’interno della potente dinastia malaspiniana, nonché dalle mire di potere provenienti dall’esterno, quali il Granducato di Toscana. L’ultimo marchese di Fosdinovo fu spodestato dai Francesi nel 1798 e il territorio fu aggregato alla Repubblica Cisalpina e, in séguito al Congresso di Vienna, al Ducato di Modena. Nel 1666 Pasquale Malaspina ottenne dall’imperatore Leopoldo I il privilegio di battere moneta, onore che però gli fu revocato pochi anni dopo, in séguito alla scoperta della coniatura di monete false. Nonostante le sue bellezze ambientali il territorio possiede scarse risorse economiche, fatta eccezione per la buona produzione d’olio e vino e per il settore turistico che in questi ultimi anni ha dato un nuovo impulso ad un’economia povera da secoli, legata soprattutto ai prodotti dell’agricoltura e della pastorizia, con il conseguente abbandono di molti piccoli villaggi.
Oltre al castello, di cui tra poco parleremo, a Fosdinovo è interessante visitare la bella chiesa parrocchiale di San Remigio, la cui costruzione primitiva, in stile romanico, risale al XIII secolo. Fu ricostruita in stile barocco e notevolmente ampliata da Pasquale Malaspina nel 1600 dopo che un violento incendio l’ebbe quasi completamente distrutta. Al suo interno si conservano preziose opere d’arte, tra cui uno stupendo fonte battesimale del XVI secolo, il sepolcro gotico monumentale, nonché la statua trecentesca di San Remigio e quella del XVIII secolo della Madonna.
Una visita meritano anche i due caratteristici oratori: quello dei Bianchi, costruito nel XVII secolo che si presenta con una bella facciata marmorea e un portale sovrastato da un’Annunciazione, e quello dei Rossi, detto anche del Santissimo Sacramento, dov’è custodita all’interno di una stupenda nicchia un’importante scultura di un Cristo del XVII secolo.
I più antichi signori di Fosdinovo non dovevano possedere che case/forti per ciascuna famiglia con una torre di difesa comune situata forse nel luogo medesimo dove poi sorse il castello. (foto 53)
Per questo motivo l’origine dell’attuale costruzione non è databile con assoluta precisione: sicuramente esisteva come opera di difesa già prima del 1200 ed altrettanto sicuramente a Spinetta Malaspina il Grande e a suo nipote Galeotto deve attribuirsi la costruzione della parte più notevole del castello.
Si tratta di una costruzione maestosa e complessa, con una base all’incirca quadrangolare che ospita centralmente il cortile. Agli angoli si elevano quattro torri unite fra loro nella parte più antica da camminamenti di ronda e merlature. Il materiale impiegato per la costruzione è laterizio frammisto a pezzi di macigno e pietre molto dure dette “sassi rospari”. Sicuramente in antichità era dotato di un ponte levatoio, fatto che si deduce dalla feritoia del posto di guardia collocata a lato dell’odierna porta d’ingresso. Sopra la porta v’è un bassorilievo di marmo che rappresenta un cane seduto sulle zampe posteriori e che tiene lo Spino Fiorito in bocca: gli emblemi di Spinetta Malaspina e di Cangrande della Scala, uniti da parentela e amicizia.
L’interno del castello, la cui parte più antica è la Piazzetta dei Cannoni, sùbito dopo il portone, presenta molte cose rilevanti e curiose. Particolare attenzione meritano i numerosi affreschi (tutti, escluso quello posto nella nicchia della cameretta di Dante raffigurante un Ecce Homo con uno dei Malaspina che parte per le Crociate, eseguiti nel 1882 dal fiorentino Gaetano Bianchi, riprendono lo stile quattrocentesco), i pregevoli mobili antichi, la stanza circolare del “trabocchetto” nella torre di mezzogiorno, sul cui pavimento un tempo si apriva una botola offrendo un suggestivo effetto acustico, e infine la stupenda struttura interna del castello con la sua maestosità sottolineata da un panorama che si spiega davanti agli occhi del visitatore che sale sul camminamento della fortezza fra i merli ghibellini. Chi visita il bel castello di Fosdinovo si sente spesso dire che in una determinata stanza ha dormito Dante. Bene, non è vero! Dante non ha dormito nel castello per la semplice ragione che quando si recò a Fosdinovo per la pace fra i Malaspina e il vescovo di Luni, il maniero non esisteva ancora. A Fosdinovo Dante fu ospite dei Bianchi d’Erberia, all’epoca padroni del sito. Il castello venne costruito a partire dal 1340 (quando Dante era già morto) da Galeotto Malaspina. Si dice pure che nella stanza in cui si vuole sia dormito il poeta, avvengano cose misteriose, tipo statue che si spostano da sole e ombre evanescenti viste di notte attraverso le finestre. Per venire a capo di questi fenomeni, fu fatta anche una seduta spiritica nel corso della quale i medium parlarono con gli spiriti di Dante e di alcuni dei Malaspina.
La marchesa Cristina Pallavicino, vedova d’Ippolito Malaspina assassinato dal fratello che voleva impadronirsi del ricco feudo, è stata dipinta dal popolino come donna lussuriosa e crudele, abituata ad ospitare nella sua alcova amanti d’ogni razza che poi uccideva freddamente. In una stanza del castello c’è ancora il segno di una botola, chiusa da qualche anno, dentro la quale la messalina sprofondava gli occasionali amanti dopo averli spremuti come limoni. I malcapitati venivano legati, issati con una corda appesa ad un anello ancora visibile sulla cupola del soffitto e poi lasciati cadere nel baratro irto di taglienti lame comunicante con un orrido canalone. In realtà si tratta di una leggenda. La marchesa, dopo la morte del marito assai più anziano, aveva avuto una relazione con un certo Francesco Precetti, ufficiale delle sue guardie, da cui ebbe un figlio fatto nascere nel vicentino dove la marchesa aveva dei possedimenti. La Pallavicino è stata descritta dagli storici come una donna di grande carattere, esperta nell’arte del governo nonché ottima amministratrice dei suoi beni. Dal marito aveva avuto un figlio nato poco dopo la morte del padre. Si chiamava Carlo Agostino e morì a cinquant’anni, un anno prima della marchesa, lasciando la moglie e sette figli. Due di essi, lo stesso anno della morte del padre, furono protagonisti di un avvenimento straordinario che ben si lega con le storie di fantasmi che circolano nel maniero di Fosdinovo. I due fratelli, mentre stavano recandosi a una loro casa di Caniparola prediletta dal padre, la stessa in cui era morto, lo videro affacciato a una finestra, quasi stesse attendendo il loro arrivo. Essi si precipitarono verso l’ingresso e fattolo aprire dal fattore che li stava aspettando, salirono al piano superiore per visitare ogni stanza dove però non trovarono nessuno. L’apparizione suscitò così grande scalpore che ne fu informato pure il Granduca di Toscana. Dei fantasmi in azione, fra le storie raccolte un po’ in tutti i paesi della Lunigiana, il più famoso di tutti è quello della giovane marchesa Bianca Malaspina di Fosdinovo. Un’apparizione che, periodicamente, ancora oggi smuove troupe televisive alla ricerca dello scoop. La giovane s’era innamorata di uno stalliere, fatto riprovevole per i genitori. Il padre, per far espiare la figlia, decise d’isolarla imprigionandola in una stanza del castello, priva di porte e di finestre, con un cane e un cinghiale. Dopo qualche anno di stenti, la marchesina morì, ma nelle notti di luna piena lo spirito della fanciulla vaga per il castello con una veste bianca e i lunghissimi capelli biondi sciolti sulle spalle. Nel corso dei lavori di restauro del castello, stando a quanto raccontava una cicerone in gonnella, sarebbero stati trovati i poveri resti: ossa ammucchiate assieme a quelle del suo fedele cane.
A Fosdinovo oggi si contano circa 400 residenti.
Le immagini numero 43 e 52 sono state gentilmente concesse dagli amici di Lunigiana World
- B&B Il Girasole, a Fosdinovo (Gignola) – 3294238327
- B&B Castello, a Fosdinovo – 0187 68891
- Appartamento Il Palancà, a Fosdinovo – 3351602959
- B&B Le Stelle sul Mare, a Fosdinovo (Gignola) – 3479351386
- Agriturismo Gignola, a Fosdinovo (Gignola) – 0187 68898
- B&B Les Jardins de Coco, a Fosdinovo (Paghezzana) – 3351475253
- Agriturismo Il Borghetto, a Fosdinovo (Paghezzana) – 0187 68626
- A Casa di Marilù, a Pulica di Fosdinovo – 0187 68218
- Ristorante Da Flavio, a Pulica di Fosdinovo – 0187 68796
Legenda
Profilo altimetrico
Clicca sull’immagine