Tappa 04: Montereggio - Coloretta

5h:30m
14 km
499 mslm
933 mslm
645 mslm
675 mslm
Tempo di percorrenza: 5h:30m
Lunghezza percorso: 14 km
Altitudine minima: 499 mslm
Altitudine massima: 933 mslm
Altitudine partenza: 645 mslm
Altitudine arrivo: 675 mslm

Località toccate

Montereggio – Case Bronzo – Baita Monte Carbone – Foce della Fiscala – Versante ovest Monte Carbone – Ca’ della Rossa – Ca’ Gaggióli – Fosso della Fiscala – Fosso Campo Albertino – Torrente Orsara – Foce Monte Orsara – Torrente Teglia – Ponte della Vecchia – La Colla – Chiesa di Rossano – bivio Piagna – Crosa – Foce di Terriola – Ca’ Pinolin – La Dolce – Torrente Dorgiola – Coloretta.

La tappa

Sicuramente una delle tappe più affascinanti dell’intero Trekking Lunigiana, ma anche una delle più complesse, infatti, nonostante l’itinerario sia ben battuto e segnalato, le passate alluvioni hanno in parte compromesso il transito, per carità sempre fattibile, ma da affrontare con molta accortezza, in particolare durante i periodi maggiormente piovosi. Va però detto che recentemente l'Unione dei Comuni della Lunigiana ha provveduto ad effettuare imponenti opere di ripristino e messa in sicurezza (cavi, scalette e travi di rinforzo), restituendo finalmente agli escursionisti un qualcosa di particolarmente unico.

Oltre a rivelarsi un percorso splendidamente naturalistico, esso regala momenti davvero unici, soprattutto nei frangenti in cui s’avvicina ai corsi d’acqua dell’Orsara e del Teglia, importanti affluenti occidentali del Fiume Magra. Non da meno però sono i vasti boschi di castagno, che un tempo costituivano una delle principali fonti di sostentamento per il territorio zerasco; e che dire poi del villaggio fantasma di Gaggióli (davvero affascinante e malinconica la sua storia), per non parlare della pagina conclusiva del trekking in quel di Rossano, meravigliosamente inserito all’interno di una cornice bucolica che la popolazione zerasca conserva e anima con virtuosismo, tenacia e sfrontatezza a dispetto del sempre più incalzante ritmo progressista.

Partendo da piazza Angelo Rizzoli, nei pressi di un sottostante parcheggio per auto, sùbito s’incontra l’antica chiesa fortificata dedicata a Sant’Apollinare, risalente al XV secolo. (foto 1)

Dominata dal campanile e da un imponente abside, fu restaurata con pietra a vista e tetto in piagne. L’edificio ha pianta a croce e nel portale della facciata, come in un rosone in arenaria, sono incise le date d’origine, ossia 1520 e 1571. Qui, nel 1839, fu battezzato San Francesco Fogolla, missionario e martire in Cina. La torre campanaria un tempo aveva un ruolo di difesa del borgo e comunicava con altre torri oggi non più presenti sul territorio.

Sempre in piazza Angelo Rizzoli si affaccia il palazzo dei marchesi Malaspina, (foto 2) una residenza feudale che si è aggiunta al più antico castello di cui rimangono le due torri cilindriche inglobate nella costruzione.
Camminando lungo il carruggio, che altro non è che una sorta di contro crinale del Monte Carbone, si passano in ordine Borgo Aldo Garzanti, l’arcata che precede piazza San Francesco Fogolla (sede della nuova chiesa dedicata a Sant’Apollinare (foto 3) e di una vistosa lapide che ricorda i Caduti della Prima Guerra Mondiale), Borgo Ugo Mursia (interessante un portale del 1709), dove s’incontra la casa del bersagliere di Porta Pia Francesco Tarantola, e Borgo Umberto Mauri.

Lasciato a sinistra l’acciottolato di via Tiziano Barbieri Torriani, s’arriva in piazza Arnoldo Mondadori, (foto 4) con al centro l’antica fontana appoggiata sulla solita e caratteristica pavimentazione di ciottoli e lastre d’arenaria. Qualche metro più avanti si esce per un attimo a destra soltanto per ammirare in piazza Arnoldi la porta che un tempo segnava l’ingresso vero e proprio al borgo, (foto 5) oggi curiosamente riposizionata al contrario, ossia con il bugnato verso l’interno anziché verso l’esterno.

Ripreso il carruggio, si passa in Borgo Giangiacomo Feltrinelli (portale del 1891), quindi, in salita, dopo un’arcata sormontata da uno dei tanti bassorilievi incastonati che si notano sulle facciate delle case, (foto 6, foto 7) si segue la successiva Passeggiata Mario Spagnol, dove termina l’abitato.

Affacciati sulla valletta di Fontanella, si oltrepassa una cappelletta dedicata a Nostra Signora del Carmine, (foto 8) poi, fra pini e castagni, si perviene al bivio stradale dove si trascura a destra la carrozzabile per Barcola, Locara e Crocetta, in sostanza la stessa che conduce al Santuario della Madonna del Monte, utilizzata per anni dagli abitanti di questa vallata in alternativa a quella principale franata dopo l’alluvione del 2011. Seguendo a diritto la strada che passa accanto al cimitero, si torna fra i castagni, dove a sinistra s’ignora una pista che conduce a una casa.

In salita, con bel panorama su Montereggio, si perviene in località Case Bronzo (m. 725), quindi, all’interno di un altro impianto a castagno che annovera esemplari secolari, ci s’insinua fra pianelle in cui affiorano antichi muretti a secco.
Restando sempre sulla strada (trascurare una pista a sinistra che conduce al guado del Fosso del Gorgo), s’arriva al margine superiore del caseggiato di Bronzo, osservato da una maestà e alto su piane coltivate. Oltre la curva, la carrozzabile perde l’asfalto, sfiora un convogliatore e sale con moderata pendenza restando in compagnia del castagno.

Superato uno stabile isolato, si compie un tornante e si fatica con maggiore pendenza, un po’ più all’aperto, affrontando un lungo rettilineo bordato da ginestre, rovi, erica, felci e castagni, questo finché non si raggiunge la nuova Baita del Monte Carbone, (foto 9) che dà le spalle alla valletta del Gorgo (fonte nella pianella sottostante).
A questo punto la salita si fa meno intensa, (foto 10) (foto 10b) il castagno un po’ si dirada accompagnandosi a rare betulle e il crinale, che dal Monte Carbone si allunga coinvolgendo il Monte Colmo e il Monte Maggio, già si delinea. Ancora una decina di minuti circa e si raggiunge la Foce della Fiscala (m. 933), (foto 11) segnata dai pochi resti di una cappelletta, sullo spartiacque della valletta del Gorgo e di quella più imponente dell’Orsara.

Si tratta di una depressione d’alto interesse paesaggistico in quanto consente di spaziare verso le Alpi Apuane che s’ergono al disopra dei dossi collinari della Val di Magra, mentre affacciandosi sul bacino idrografico dei torrenti Orsara e Teglia, è possibile abbracciare l’intero comprensorio della Valle di Rossano, con le frazioncine di Castoglio, Piagna, Chiesa, Paretola, Valle, Chioso e Montelama. A destra della Foce della Fiscala, le pendici del Monte Mugnano sono ricoperte da fitti boschi di betulle, mentre il territorio circostante è dominato da rovi, cerri e castagni, in rappresentanza della caratteristica flora della mezzacosta lunigianese.

Qui si trascurano a sinistra la sterrata per Manfreda (ma soprattutto direttrice per l’Alta Via dei Monti Liguri al Passo dei Casoni [via monti Colmo e Maggio], nonché collegamento con Bosco di Rossano per la Valle del Moretta) e a destra quella che, attraverso il Monte Mugnano, conduce al Santuario della Madonna del Monte e a Mulazzo, lungo un itinerario da non molto rianimato dal “Mulazzo Trekking”.

Il Trekking Lunigiana invece scolletta a diritto, piegando poi verso destra su una pista sterrata che cala in bella vista sulla vallata di Zeri, nonché sui rilievi appenninici che dal Monte Spiaggi toccano il Pitone, il Radice, il Penato, il Teccio al Sole e il Góttero. (foto 12)
All’interno di una fredda faggeta mista al castagno (è possibile trovare neve fino a marzo inoltrato), si scavalca un fosso sempre asciutto e, ripidamente, sul versante ovest del Monte Carbone, si perde quota compiendo alcune larghe svolte che conducono ai ruderi oramai scomparsi di Ca’ della Rossa (m. 826), dove ci s’affaccia ancor meglio sulla vallata di Zeri.

In una continua alternanza tra faggi e castagni, si compiono diversi ampi tornanti che comportano un’ulteriore e importante perdita di quota, poi, incontrati altri due ruderi, la larga e comoda pista (foto 13) scende ancora per qualche minuto fino a portarsi al disotto del valloncello che precipita quasi verticalmente dalla Foce della Fiscala. Questa lunga discesa è la chiave di una porta che non c’è, una sorta di boulevard che fa catapultare l’escursionista in una parvenza fantasiosa, eccitante e nello stesso tempo inquietante. Si tratta nientemeno che di un paese fantasma: Ca’ Gaggióli (m. 652). (foto 14, foto 15, foto 16, foto 17, foto 18)

Antica borgata nascosta nel bosco regolarmente abitata fino alla seconda metà del XX secolo. Erano tutti contadini e si muovevano esclusivamente con carri trainati da somari o cavalli. Difficile immaginare di sostenere a lungo un sacrificio così intenso, legati soltanto ad un’erta sterrata comunicante con un valico di quasi mille metri di quota. A Rossano qualcuno ricorda ancora che gli abitanti di Ca’ Gaggióli ogni tanto si recavano nel territorio zerasco per fare compere. Dopo il 1980 c’è stato pure il tentativo da parte degli ex abitanti di mettere in vendita il paese, ma l’unica cosa che lì ha funzionato è stato soltanto (e per un breve periodo) una forma di bivacco per boscaioli.
Segale, patate, castagne e qualche animale da allevamento, di questo vivevano a Ca’ Gaggióli; tra gli edifici c’era anche una piccola scuola per i pochi bambini presenti. Intorno al 1960 la famiglia Pappini, l’ultima rimasta, ha salutato definitivamente il caseggiato, da allora finito nelle mani del tempo.
Le case e le palazzine, costruite in arenaria macigno, conservano in parte al loro interno testimonianze di vita e usanze praticate dagli inquilini di un tempo. Ecco antiche attrezzature, mensole spartane, nicchie, pareti grezze o in certi casi verniciate, stanze per usi diversi e fondi solitamente destinati agli animali o come ricoveri per attrezzi. Le case sono assai vicine une alle altre, disposte a ripiani e separate da strettissime viuzze ombrose a tratti scalinate, sempre in arenaria macigno.

Lasciato il paese fantasma, si continua seguendo la larga pista da tempo caduta in disuso, la quale, dopo essersi avvicinata una prima volta in curva al fosso vallivo, precipita letteralmente verso il fondovalle. È questo il primo punto critico della tappa poiché la segnaletica potrebbe risultare insufficiente (ad oggi è perfetta), infatti, è fondamentale non proseguire a lungo sulla pista, ma con occhio solerte a sinistra, occorre a un certo punto abbandonare il tracciato principale per imboccare un esile sentiero visibile soltanto affacciandosi da bordo pista.
Magro e piuttosto malagevole, a causa dell’instabilità del terreno, esso cala al vicinissimo guado del Fosso della Fiscala (scalette di sicurezza), il quale si presenta con una cascatella di tutto rispetto che durante il periodo invernale, oppure a séguito di abbondanti piogge, sfoggia il meglio di sé. (foto 19)

Una volta sull’altra sponda, con un netto taglio in costa, in alcuni punti leggermente esposto, (foto 19b) si perviene allo scavalcamento di un affluente del Fosso della Fiscala, stretto e dirupato valloncello, dal terreno assai scivoloso e privo di appigli sicuri.
Con un successivo tratto più gradevole e meno impegnativo, si prosegue in faggeta (evitare un sentiero a sinistra), attraversando uno dei boschi più spettacolari di questa tappa. (foto 20) Con questo scenario, sempre a mezzacosta, si raggiunge il facile guado di un secondo affluente dell’Orsara, il Fosso di Campo Albertino, (foto 21) il cui toponimo deriva da uno sparuto gruppetto di capanne ubicate a 770 metri di quota nel bosco ad ovest della Foce della Fiscala.

Con un nuovo piacevole tratto in costa che precede un serpeggio tra i faggi, s’aggira una dorsalina e in breve s’arriva quasi a picco su un breve punto franato. Qui, recentemente, l’Unione dei Comuni della Lunigiana ha provveduto con successo a realizzare una serie di serpentine rinforzate che verso destra calano a riallacciarsi al vecchio tracciato, ora su sentiero agevole nel bosco, in prossimità dei ruderi prospicienti il Torrente Orsara, (foto 22) (foto 22b) dove si volta a sinistra fino ad arrivare nel punto in cui, precedentemente all’alluvione del 2011, un ponte ne permetteva il guado. Oggi il ponte non c’è più (così come la pista sterrata che conduceva a Bosco di Rossano), l’area è chiaramente modificata e l’innesto del Canale del Bosco nel Torrente Moretta (proprio in questo punto i due corsi d’acqua si uniscono per originare il Torrente Orsara) rende complicatissimo il guado, tant’è che, in inverno e nei periodi di abbondanti piogge, occorre spogliarsi perché l’acqua in certi punti potrebbe arrivare addirittura fino ai glutei. Comunque, in un modo o nell’altro, con la dovuta attenzione, si passa. Va detto che il Torrente Orsara (alcune carte indicano erroneamente Orsaro) ha vita brevissima in quanto nello spazio di un chilometro circa si getta nel Torrente Teglia a formare il Lago dello Scudeletto.

La prosecuzione del Trekking Lunigiana va ricercata proprio di fronte, a lato del Canale del Bosco (oggi i segnavia aiutano), dove una traccia quasi inesistente, o meglio inventata, cammina sui sassi e improvvisamente volge a destra rampando decisa sulla scarpata resa scivolosa dal fogliame bagnato. I segnavia, ripeto, aiutano molto, ma per ragioni di sicurezza, vista la marcata pendenza, è meglio sporcarsi le mani per tenersi al terreno piuttosto che rischiare di cadere.
Una volta confluiti su un sentiero molto più evidente e comodo, si sale verso destra, (foto 23) ora ufficialmente nel territorio comunale di Zeri, quello posizionato più a sud, costituito prevalentemente da boschi che digradano da cime subappenniniche.

Mentre il castagneto cede il posto alla faggeta, (foto 23b) offrendo così un tocco sempre più lussureggiante, al punto da considerare questo tratto uno dei più belli fino ad oggi incontrati nel corso del Trekking Lunigiana, la salita in costa si muove in un contesto estremamente solitario (c’è pure una finestra sull’Appennino), resta ben alta sul fondovalle e a un certo punto aggiunge tra la flora erica arborea, cerri e cuscinetti d’erica herbacea (scopina) che nei primi mesi dell’anno si colorano di fucsia grazie ai fiori campanulati.
Toccata sul crinale la Foce Orsara (m. 600 circa), ci si abbassa fra i castagni in vista del borgo di Castoglio, (foto 24) curiosamente posizionato sullo sperone di un monte interamente coltivato.

In questo borgo, tagliato fuori dal Trekking Lunigiana, ma facilmente raggiungibile una volta incontrata la strada per Piagna, la pavimentazione risulta ancora formata da belle lastre in arenaria, mentre le vecchie vie interne sono sempre linde e ben curate. Nella parte alta sorge l’oratorio dedicato alla Visitazione di Maria, con lo stipite superiore in arenaria che reca la data 1836, certamente un restauro poiché nel lato capovolto si legge invece la data 1610. Interessante al suo interno una tela della Visitazione e l’immagine della Madonna col Bambino. A Castoglio è presente l’agriosteria “Alla Vecchia Scuola”, locale semplice e genuino che, come dice il nome, è stato ricavato da un ex edificio scolastico. Oltre a piatti tipici della zona a chilometro zero, la struttura offre possibilità d’alloggio.

Toccata una capanna semidiroccata, ci si espone un pochetto costeggiando torrioni d’arenaria separati da fossi in secca, poi, giunti ad uno spigolo, in fronte al Monte Arcistla, ci si avvicina ad un’altra capanna in chiaro stato d’abbandono. Scavalcati altri fossi (tutti affluenti di destra del torrente Teglia ad oggi brillantemente sistemati con interventi a rinforzo) (foto 24b) e una sorgente a carattere invernale, si continua senza pendenza incontrando l’ennesima capanna, a testimonianza di come fino a qualche decennio fa questa porzione boschiva fosse utilizzata dai contadini per la raccolta delle castagne. Infatti, queste capanne (foto 25) fungevano da essiccatoi (eliminazione dei liquidi nelle castagne) oppure come ricoveri in generale per legna e attrezzi vari.

Raggiunto un altro spigolo, ora in fronte al gobbone su cui è adagiato il borgo di Castoglio, ci si accinge ad affrontare un nuovo taglio in costa alle pendici nord del Monte Albareto, assai piacevole, il quale, in leggerissima pendenza, cala velocemente verso il corso del Torrente Teglia e di un suo affluente.
Alzandoci un pochetto lungo la sua destra idrografica, dov’è possibile approfittare delle molteplici e strepitose immagini regalate dai flussi e dai gettiti tumultuosi che originano bozze limpide e profonde, (foto 26, foto 27, foto 28, foto 29) si supera un’altra capanna per poi pianeggiare lungo un bel vialetto fra i castagni (foto 30) prossimo a farci raggiungere lo straordinario Ponte Vecchia (m. 522), adiacente ai resti di un antico mulino. (foto 31)

Attraversato il Teglia (nasce dal Monte Carbonara allungandosi per ben 14 km.), ci si aggancia poco dopo in salita a una pista d’esbosco che si segue a diritto. All’altezza di un affluente del Teglia (Fosso di Solaro), dove nei pressi si trova un altro ponte romano, si abbandona la pista principale (itinerario R3 prossimo a confluire sulla strada per Bosco di Rossano all’altezza d’un ponticello sul Teglia) per seguire a destra un sentiero un po’ anonimo che rampa ben deciso serpeggiando all’interno di un bosco costituito da cerri e faggi. Alti sulla vallata e in vista del crinale Mazzerino-Carmuschio, si continua a salire duramente fino ad incontrare un po’ più all’aperto il castagneto che precede di pochissimo le spianate prative che attorniano il caseggiato rurale de La Colla (m. 663). (foto 32)

Ci troviamo nel cuore di un ampio circo bucolico caratterizzato da piccole aggregazioni rurali che si presentano con un fascino del tutto particolare. In questi luoghi l’emigrazione si è fatta davvero sentire, ma è anche vero che la popolazione rimasta si dedica tutt’oggi con encomiabile impegno alle attività agrosilvopastorali, in particolare patate, castagne, fagioli, grano e granoturco. Ma non è tutto, infatti, sono incredibilmente numerose le greggi di pecore e agnelli (per quest’ultimo la zona ha ricevuto un riconoscimento a carattere nazionale) che pascolano sulle vaste praterie e che s’incontrano ovunque si volga lo sguardo. (foto 33, foto 34) Tutt’attorno pullulano armenti, pascoli, coltivi, recinti, capanne, attrezzature e macchinari agricoli, un po’ come a rispecchiare quel moto del quale la popolazione di Zeri va tanto orgogliosa, ossia “Zeri mangia del proprio pane e veste del proprio pelo”.

Percorrendo l’unica via presente, si oltrepassa un cancello (da richiudere!), (foto 34b) si fiancheggiano le poche abitazioni e si perviene al cospetto del cimitero di Rossano, dove a sinistra ci s’affaccia sul vicino borgo di Paretola, (foto 35) agglomerato di case poste davanti ad uno spiazzo in cui si trova l’oratorio dedicato a San Genesio.
Arrivati sulla carrozzabile che collega Rossano Chiesa a Paretola, la si attraversa (a sinistra prosegue l’anello R3 diretto verso il Colle di Monte Fiorito) per salire di fronte un pendìo prativo che, fiancheggiando una recinzione, permette l’ingresso a Chiesa di Rossano (m. 703), dove si finisce in piazza Don Adriano Filippi, sede della Chiesa di San Medardo. (foto 36, foto 37)

Il toponimo Rossano pare derivi da Robiano, antica divinità ligure legata a fenomeni naturali, ma una prima indicazione è attestata nelle decime del 1296 come cappella dipendente dalla pieve di Saliceto. Chiesa di Rossano è probabilmente il borgo che più di ogni altro della vallata ha subìto l’ira dei nazifascisti, come testimonia un monumento posto a lato della chiesa. Molte case furono date alle fiamme nel corso dei rastrellamenti e durante le operazioni di rappresaglia. In fondo al borgo si eleva il palazzo della famiglia Schiavi, ridotto ad un cumulo di rovine in séguito alle azioni nazifasciste. Sopra la porta si legge la data del 1766, verosimilmente relativa a un ampliamento o a un rifacimento. Questa casa sembra aver sempre assolto ad una funzione vuoi di prestigio vuoi di rappresentanza nella valle. Nel periodo stesso dell’occupazione tedesca, lì soggiornarono tra fine dicembre 1943 e gennaio 1944 le milizie fasciste che davano la caccia a Gordon Lett, ai suoi collaboratori e al gruppo partigiano di Franco Coni. Dal maggio del 1944 il palazzo degli Schiavi divenne la sede del Battaglione Internazionale, costituito da combattenti antifascisti e comandato dallo stesso maggiore Gordon Lett.
La Chiesa di San Medardo venne costruita tra il 1896 e il 1902 su un precedente edificio religioso d’epoca medievale, di cui rimane soltanto il campanile. Imponente per dimensioni, all’esterno la ristrutturazione, mediante un intonaco grigio uniforme, la rende del tutto inespressiva; all’interno invece sono interessanti i suoi cinque altari (erano sei alla metà del ‘700), la splendida cupola che illumina le tre navate e gli affreschi novecenteschi dei pontremolesi Triani.

Trascurata a destra la strada lasciata al cimitero e che qui coincide con l’anello R2 diretto a Piagna, si salicchia dalla parte opposta, sempre su asfalto, confinando pascoli e abitazioni, notando ad un certo punto verso nordest il borgo di Piagna. (foto 38)

Il toponimo si rifà alle caratteristiche coperture dei tetti in pietra di piagne. All’interno del centro storico si trova l’oratorio seicentesco dedicato a Santa Maria Maddalena, sulla cui parete fa bella mostra una preziosa tela raffigurante la Beata Vergine fra i Santi, Santa Maria Maddalena e San Medardo. In questa località è presente una tradizione della lavorazione del legno che una volta era patrimonio tecnico di tutte le popolazioni della Val di Magra. Vi si costruivano infatti anche madie, tavolini, utensili domestici e attrezzi da lavoro, grazie ad artigiani che si erano specializzati nella realizzazione di maschere di legno per il carnevale o nella creazione di statue lignee di cui un esemplare è, ancora oggi, conservato nell’oratorio.

Lasciata a sinistra la carrozzabile per Chioso e Montelama, si compie una curva, quindi, all’altezza di una maestà con bassorilievo dedicato a San Rocco (1890), si sale a sinistra il residuo di un acciottolato che conduce velocemente a una casa con aree private recintate, coperte da pini e castagni, al cui interno si trovano animali da cortile. (foto 39)
In viva salita, sulla destra orografica della valletta del Tiglio, confinati da recinti che chiudono vasti declivi pascolivi, (foto 40) si attraversa una macchietta di cerri dopodiché, oltrepassata una piccola stalla, si perviene a un importante quadrivio, dove a destra si diparte la carrozzabile che in pochi minuti conduce a Piagna. Evitata pure a sinistra la strada per Montelama, si prende a diritto uno stradello da abbandonare dopo pochi metri per imboccare a sinistra una traccia di sentiero che monta su un ripiano e prosegue portandosi appena alto alla sinistra di un edificio.

Camminando ora su una traccia erosa, incassata e in inverno spesso trasformata in ruscello, si confinano altri pascoli, si sfiora un abbeveratoio (in secca nei periodi di siccità) e si sale fino a confluire su una pista a fondo naturale che si dirama nei pressi di un traliccio in località Crosa (m. 876). Si va a destra, in discesa, e fiancheggiando sterpaglie si finisce sulla Provinciale 36 che collega Coloretta a Chiesa di Rossano (qui si ritrova l’anello R2 che arriva da destra). Voltando su questa a sinistra, si raggiungono quasi sùbito alcune case addossate su un crinale (nei pressi maestà con marginetta dedicata a Maria di Montenero), quindi, trascurata a destra una stradina per Chiuse, si ricerca una decina di metri più avanti una mulattiera che cala ad incontrare una pista bianca diretta a ricollegarsi con la strada per Coloretta, precisamente in via Pradalinara. Nuovamente sulla provinciale a scarsissimo traffico veicolare, si scende per tornanti oltrepassando in ordine le località de La Foce di Terriola (m. 852) e Ca’ Pinolin (m. 814), arrivando fino al bivio de La Dolce (m. 756), (foto 41) minuscolo villaggio con oratorio dedicato a San Biagio, toccato pure dall’itinerario ad anello Z3 e dalla Via Marchesana.

Restando dunque sulla strada principale, si avanza ancora per poco più di un centinaio metri, infatti, alla curva successiva, ci s’immette a sinistra su uno sterrato che fa ingresso in un bosco di castagni. (foto 42) In falsopiano, evitando una pista a destra e, poco più avanti, un’altra a sinistra che muore a Casa Avena, ci si porta verso un cancello d’ingresso ad oggi non più esistente, oltre il quale si fa ingresso in una vasta area da sfalcio con ricovero nei pressi.
Purtroppo in questa area erbosa i segnavia potrebbero risultare carenti oppure poco intuibili, in ogni caso, per non perdersi, basta rimanere sul piano inferiore, (foto 42b) attraversare l’area prativa seguendo il filare dei pali della luce e, qualche metro prima dello sbarramento di cinta (filo spinato e rovi), piegare tosto a destra verso una chiara apertura che in breve rimonta sul ripiano prativo superiore. Tenendosi a sinistra, si cammina sull’erba fino a scoprire il varco che reintroduce nel bosco. Al di là della recinzione, il sentiero torna a farsi evidente, infatti, con piega a sinistra (rudere nei pressi) e poi a destra (sterpaglie fastidiose), la traccia cala definitivamente sulla provinciale 36. Seguendola verso sud (destra), si oltrepassa l’ingresso del Campeggio La Puledra con laghetto, si confina un castagneto e, nei pressi di un terreno con animali da cortile, si scavalca sul curvone il Torrente Dorgiola, importante affluente del Gordana che qui ha da poco ricevuto le acque del Fosso Castiglioli.

Passata una maestà dedicata alla concezione di Maria (1898), ci si allunga verso un’abetaia, oltre la quale si fa ingresso in quel di Coloretta (m. 670), (foto 43) dove ci accolgono un’altra maestà con bassorilievo dedicato alla Madonna, l’imponente campanile che si erge nel fulcro dell’abitato (foto 44) e la chiesa dedicata a San Rocco. (foto 45) Poco prima d’arrivare al campanile, dalla parte opposta di un bar, in Via Michetti, si diparte l’anello contrassegnato Z2 diretto a Castello.

Coloretta è una delle località più popolate del Comune di Zeri, il cui centro storico costituisce il nucleo del paese, attorno al quale, a partire dagli anni ’60 del XX secolo si è sviluppata la parte nuova, con numerose attività commerciali e impianti ricettivi alberghieri. Posta in parte in piano e in parte su un leggero declivio, fu fino a qualche decennio fa dipendente dalla parrocchia di Patigno. Interessante la chiesa dedicata a San Rocco, al cui interno, racchiusa entro una nicchia, si conserva una pregevole scultura marmorea seicentesca raffigurante la Madonna di Loreto, situata dietro il coro.
In paese si trova Villa Quiligotti, complesso formato da un edificio a corte lastricata in arenaria, con pian terreno e primo piano residenziale, pavimenti a mosaico in marmo e decorazioni di gusto tardo liberty.
In un’altra casa sono invece conservati gli avanzi d’una vettura a cavalli che appartenne a Don Mori, parroco della chiesa di Rossano. Essa ha una storia eloquente: quando attorno al 1910 si progettò la costruzione della strada provinciale da Pontremoli per Códolo e Coloretta, il comune di Zeri pensò alla costruzione di una strada interna da Coloretta a Chiesa di Rossano. Le due strade furono cominciate e quella per Rossano fu ben presto terminata, al contrario della provinciale per Coloretta che procedette assai lentamente fermandosi addirittura a Códolo, cioè a metà percorso. A questo punto a cosa poteva servire la strada interna comunale per Rossano se nessuna rotabile arrivava a Coloretta, unita a Pontremoli soltanto da un sentiero? Il parroco Don Mori volle anticipare il piacere di farsi trasportare in carrozzella dal centro di Zeri alla sua parrocchia e per questo fece portare a Coloretta, a dorso di mulo, una carrozza che comperò a Pontremoli. Egli si scarrozzò per diverso tempo, sperando sempre di poter usare la sua carrozza per trasportarsi a Pontremoli; sperò fino all’ultimo di veder terminata la strada provinciale, ma il tempo logorò il veicolo i cui avanzi oggi si conservano a ricordo del primo mezzo di trasporto visto nelle vallate di Zeri e di Rossano.
Oltre alla genuinità delle carni di agnelli e vitelli, ma anche la straordinaria bontà di ricotte e formaggi, le specialità zerasche sono rappresentate da piatti a base di farina di castagne. Tra questi spicca il “moghiolo”, un dolce cotto nei testi completamente ricoperto di ricotta. Nel corso dell’anno in paese, oltre alle feste religiose (Sant’Anna a luglio), vi si svolgono diverse manifestazioni di carattere sportivo e artistico.
Nonostante a Coloretta in questi ultimi decenni abbiano chiuso ben tre strutture ricettive, per coloro che necessitano di un pernotto vi sono ad oggi almeno cinque soluzioni: la prima, già citata, è a Castoglio (Agriosteria Alla Vecchia Scuola); la seconda è a Patigno, a meno di tre chilometri, Albergo La Catinella, d’antichissima tradizione e generazione (ben quattro famiglie), le cui specialità annoverano ravioli, fettuccine, il celebre agnello zerasco, le tipiche torte lunigianesi e, ovviamente, i funghi; Albergo Ristorante Belvedere a Bergugliara (circa quattro chilometri), prezzi onesti, cucina ottima, semplice e abbondante, la cui apertura certa però va da maggio a ottobre, mentre in altri periodi è meglio informarsi telefonicamente; Agriturismo Mulino Marghen, trenta minuti circa lungo la tappa successiva, a Noce, antico e caratteristico casale in pietra immerso nella quiete boschiva sulle sponde del Torrente Gordana. Locale a conduzione familiare, dotato di bellissime camere, propone una cucina che esalta i prodotti del territorio: tagliolini al finocchietto, tortelli di patate e porri, agnello di zeri, piatti vegetariani a chilometro zero e fra i dolci la strepitosa “mattonella”; infine, Agriturismo La Logia du Scurnoto, a Castello, valida struttura dotata di appartamenti molto funzionali.

  • Agriosteria Alla Vecchia Scuola, a Castoglio di Zeri – 3485615817
  • Ristorante Albergo La Catinella, a Patigno di Zeri – 0187 447125
  • Agriturismo Mulino Marghen, a Noce di Zeri – 0187 447431 oppure 3394279338
  • Agriturismo La Logia du Scurnoto, a Castello – 3491766324
  • Campeggio La Puledra 2, in via Pradalinara a Coloretta – 3476992285
  • Laboratorio del Gusto Le Modeste, a Piagna – 3396397599
  • Ristorante Qui… come Una Volta, a Noce – 0187 447392
  • Affittacamere Mon Amour, a Patigno di Zeri – 3927703802
  • Ristorante Forever, a Patigno di Zeri – 0187 447540 oppure 3459043160

Legenda

Tempo di percorrenza
Lunghezza del percorso
Altitudine minima del percorso
Altitudine massima del percorso
Altitudine tappa di partenza
Altitudine tappa di arrivo

Profilo altimetrico

profilo-altimetrico-tappa-04

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